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STORIE E RACCONTI EROTICI
VIETATI AI MINORI DI 18 ANNI
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STORIE IGNOBILI
VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI
“A STICCHIUSA…” (IO E MIA MADRE.)
NOTE:
Spiare è sognare e desiderare.
Essere sorpresi a spiare è infrangere un sogno, ma suscitare altri cento desideri.
Inconsciamente e inconsapevolmente nacque in me il desiderio di spiarla, desiderarla e godere di lei. Come dice il proverbio:
… Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.”
… (Commettere errori è umano, ma perseverare è diabolico.) ...
IO E MIA MADRE.
Dedico questa storia a mia madre Rosalia (Lia) e a mia moglie Assunta (Nunzia).
SOMMARIO:
Leggendo la storia ignobile su Immoralexx de “Lo stupro di mia madre”, mi è ritornato in mente quanto accaduto a me, (forse mia madre era più giovane di qualche anno della signora), una storia simile ma non uguale, somigliante per svolgimento ed età dei protagonisti, ma con circostanze e avvenimenti diversi, anche se certi aspetti del rapporto madre e figlio, sono comuni e simili per tutti.
Mia madre era una donna eccezionale, bella, scaltra e intelligente e l’amavo.
Questo racconto è la mia confessione di una storia accaduta in una città della Sicilia più di 25 anni fa quand’ero un ragazzo e mio padre era all’estero per lavoro.
Una vacanza al mare con i miei genitori e la conoscenza alla spiaggia di nuovi amici, mi cambiarono drasticamente la vita e il modo di vedere mia madre.
Non vedevo più in lei una mamma, ma una donna …o meglio, “una fimmina.” come diciamo noi in Sicilia, sessualmente desiderabile.
Vivevamo soli io e lei, per motivi di lavoro mio padre era all’estero e un susseguirsi di emozioni, sensazioni ed eventi mi portarono dapprima a spiarla, poi a desiderarla e infine ... casualmente nel peccato ad amarla.
La solitudine, il desiderio e l’astinenza sessuale forzata, in lei prevalsero sulla fedeltà e il rispetto verso mio padre.
Nacque una storia incestuosa durata molti anni, ma che ancora ricordo con brivido e amore, finché grazie al suo aiuto non mi sposai con una ragazza bellissima di cui mi ero innamorato.
“A’ sticchiusa” era il soprannome che gli uomini in paese avevano dato a mia madre perché sola, bella e irraggiungibile.
Era un mezzo complimento, un insieme di significati.
Letteralmente deriva da “sticchiu” che in siciliano vuol dire figa e quindi esprimeva il concetto di bellezza femminile in superlativo, più che bella figa ... “Figona!”
Ma è anche la definizione di una che se la tira, che non la dà a nessuno come diremmo ora, un po’ schizzinosa, un po’ altezzosa e un po’ snob verso altra gente.
Questo perché mia madre come altre “vedove bianche” del mio paese con il marito all’estero per lavoro per lunghi periodi, era fedele e seppur corteggiata non concedeva, non solo le sue grazie, ma neanche la sua confidenza a nessuno, snobbando i corteggiatori.
Rimanendo una donna bellissima e desiderabile senza elargire nulla.
Come una ... “sticchiusa!” appunto.
CONSIDERAZIONE:
“La lontananza del marito, il desiderio e l’astinenza sessuale furono artefici e complici degli avvenimenti. Il peccato sta solo nel far male agli altri senza necessità e non nell’amare. Tutte le altre considerazioni sono sciocchezze inventate.”
Mi chiamo Lucio (Luccio) con due “ci” come mi chiamava mia madre in siciliano che metteva sempre le consonanti doppie ai nomi, e questa è la confessione di una storia vera accaduta molti anni fa ... la mia storia e quella di mia madre.
Per rendere appieno la realtà di quello che è avvenuto dovete immaginare che tra noi parlavamo il nostro dialetto siciliano, e alcune frasi o parole saranno scritte in siciliano (ma comprensibili), con la traduzione a fianco, in modo da sentire la storia spontanea e profonda come l’ho vissuta io.
Gli eventi che sto per narrare, accaddero più di venticinque anni fa, in una piccola cittadina della Sicilia orientale ai piedi dell’Etna, calda e piena di luce e di sole, poco lontano dal mare della riviera siciliana Jonica.
In quegli anni, come sempre del resto anche oggi nel sud, si emigrava per lavoro.
Molta gente andava all’estero, in Germania, in Francia, in Belgio, o in qualche altra parte del mondo in cerca di un lavoro per guadagnare di più, far vivere con dignità la famiglia e acquistare qualcosa al loro rientro. Tempi duri quelli, uguali se non peggiori a quelli che viviamo adesso.
Anche mio padre Antonio (Toni) emigrò, andò a lavorare in Germania, che mi dicevano allora i nonni essere grande e fredda.
Ricordo ancora che andavo alla stazione a vedere mio padre e altri uomini che partivano con un treno soprannominato la Freccia del Sud.
In Germania c’erano tanti siciliani, anche della mia città a lavorare lassù assieme a papà, molti, o meglio “assai” come si dice da noi.
Ritornavano a casa solo nei periodi festivi di Natale o Pasqua o in estate per le ferie e si faceva festa grande in famiglia.
Non pensavo che il pomeriggio di quel giorno e quelle nuove amicizie appena conosciute, avrebbero cambiato la mia vita per sempre.
Sono figlio unico e a quel tempo ero un ragazzino vivace in famiglia ma timido fuori casa, ora sono un uomo adulto felicemente sposato con una bella donna siciliana come me, seria e morigerata e ho tre figli un maschio e due femmine, che più o meno hanno l’età che io avevo in quel periodo.
Allora vivevamo ancora in Sicilia nella nostra terra io e mia moglie, anche se non ci conoscevamo ancora.
Era l’inizio degli anni novanta, come dicevo sopra, papà lavorava all’estero, in Germania, per una grossa impresa edile che costruiva strade, ponti e gallerie.
Guadagnava bene in confronto a qui in Italia e stava per contratto lunghi periodi senza venire a casa in Sicilia, dei mesi. Lo vedevamo solo sotto le feste di Natale e qualche volta a Pasqua, ma solo per una quindicina di giorni oppure quando c’erano le elezioni che si votava, ma poi ripartiva.
Telefonava ogni fine settimana, questi erano gli accordi con mia madre Rosalia (Lia), allora non c’erano ancora i cellulari e quando era il giorno e l’ora concordata, mia madre si sedeva davanti al telefono ad aspettare e non voleva essere disturbata da niente e nessuno.
Era un sacrificio la vita che facevano lui e mia madre, anche se sarebbe stata solo per pochi anni, per mettere via dei risparmi per farci star meglio e comprarci una casa. Era un sacrificio sotto tutti gli aspetti, per lui stare lontano dalla famiglia, dalla sua donna, ma lo era anche per mamma restare sola essendo ancora giovane e bella avendo all’epoca 37 anni.
Quell’anno mio padre non era venuto a casa a Pasqua per via del lavoro, dovevano finire un ponte e la ditta tedesca per cui lavorava lo lasciò venire in Italia solo due mesi dopo a giugno, ma solo per 10 giorni, poi sarebbe ripartito e ritornato a Natale.
Quando arrivò ci fu festa, contentezza e felicità soprattutto da parte mia e di mamma, che era arrivato suo marito, il suo uomo e si decise di andare un po’ in vacanza in una località vicina sul mare.
Passammo tutte e tre una bellissima settimana sulla spiaggia facendo bagni a mare e andando a trovare dei parenti che vivevano lì vicino.
Vennero anche i nonni con noi in vacanza, anche se abitavano in un altro paese, mamma voleva la famiglia unita.
Mamma era una donna di una bellezza incredibile, davvero una bella siciliana ... “di razza “... come le diceva sempre papà quando scherzavano, con quel suo volto pallido e gentile e gli occhi intensi, di un colore scuro e ammaliante. Era molto mediterranea.
Aveva lo sguardo vivace e enigmatico che stregava e nonostante ciò, lasciava trasparire un filo di timidezza sul viso, che seppur pallido, si tingeva di rosso, con una imbarazzata espressione sorridente che usava donare a chi le stava di fronte.
Le labbra piene, rosee e perfette creavano un sorriso che incantava sempre i suoi interlocutori.
Aveva una grazia felina quando si muoveva, leggiadra ed aggraziata, sembrava una gatta, o meglio una pantera, con tutti quei suoi capelli neri, lunghi e sciolti sulle spalle che le arrivavano sulle scapole. Era uno spettacolo guardarli. Le lunghe ciocche corvine ondeggiavano ad ogni movimento assieme al suo corpo, si cullavano quasi come onde su una pelle chiara come la luna.
Per essere una siciliana era alta e magra, come mio padre e come me, che oramai li avevo raggiunti in altezza.
Il suo seno era stupendo, prosperoso e candido in un corpo semplice ma molto sexy, che mostrava sotto gli abiti le sue forme provocanti e irresistibili.
Quando la osservavo non so dire di lei cosa fosse più bello, se i morbidi fianchi lungo i quali scendeva una fine veste leggera o il suo sedere e il suo seno che risaltavano prepotentemente sotto il vestito. Le sue mani, erano belle, perfette e sensuali, da casalinga.
La sua figura di donna era capace di tenerti in silenzio a fissarla per ore e ore come un dipinto dal quale ti senti rapito.
La sua immagine era forse la più bella e la più viva che abbia mai visto e mi rimane ancora nella memoria il suo corpo, il suo volto, il suo sorriso, e quegli occhi vivaci, timidi e scuri.
Tutto di lei era semplice e armonioso da renderla comparabile ad una dea mediterranea. E non lo dico perché era mia madre, ma perché era vero, lo dicevano anche gli altri uomini nei loro chiacchiericci.
Alla sera amava schiarire e rendere la pelle morbida e lucente togliendo le impurità, passandoci sopra il limone tagliato, come si usava da noi.
Era molto eccitante e attraente ... e soprattutto piacente e lei lo sapeva e lo sapeva anche papà che era geloso perché gli uomini, in molti, la guardavano con desiderio.
Ma non aveva motivo di essere geloso, mamma era una donna seria e fedele da buona siciliana non lo avrebbe mai tradito.
Quella settimana di vacanza al mare la passai a divertirmi alla spiaggia con loro e i nonni e due nuovi amici che avevo conosciuto lì sul posto, poco più grandi di me.
Io avevo appena finito le scuole dell’obbligo ed ero stato promosso, avrei iniziato il primo anno delle scuole tecniche, ma ero già un bel ragazzo ben sviluppato fisicamente, mi erano già cresciuti i peli sul pube e mi sentivo grande, adulto anche se sessualmente non sapevo molto.
Ero a digiuno di sesso, avevo solo imparato da poco dagli amici a masturbarmi, fantasticando su qualche coetanea compagna di scuola o pensando a qualche ragazzina del paese che mi piaceva, oppure a qualche attrice o cantante.
Come dicevo nella spiaggia che frequentavamo, feci amicizia con questi due ragazzi di poco più grandi di me, ma molto più smaliziati e passavo il tempo con loro ad ascoltarli e imitarli oppure a giocare a carte.
Uno di essi era magro e moro e si chiamava Salvatore, abbreviato “Turi”, in dialetto siciliano, l’altro con i capelli chiari e più cicciottello si chiamava Giovanni, ma lo chiamavamo “Vanni” in dialetto.
Loro pensavano sempre al sesso, alle ragazze e a spiare le signore che si cambiavano nelle cabine della spiaggia e i loro discorsi erano tutti incentrati sullo: “Sticchiu!” come chiamiamo noi in siciliano la figa.
Questi nuovi amici erano esuberanti e volgari sia nel gesticolare che nel parlare, mentre io ero molto più educato e rispettoso, ma mi piacevano quei ragazzi perché diversi da me, esperti, li ammiravo e mi sentivo attratto da loro, dai loro modi di fare differenti dai miei, e li imitavo condividendo quello che facevano, pensando che mi sarebbe stato utile e avrei imparato qualcosa.
Furono loro ad introdurmi alle prime scoperte sessuali reali a parlarmi di “Sticchiu” (figa).
In quel periodo non mi interessavano le donne e se pensavo a qualcuna, pensavo a qualche ragazzina della mia età.
Non avevo mai pensato a mia madre sessualmente prima di conoscere loro, ma solo in modo affettivo e materno.
In quel periodo mentre i miei stavano in riva al mare a fare il bagno e prendere il sole, io con il loro permesso stavo con i miei nuovi amici lontano a giocare e girare per la spiaggia.
Passavo ore a divertirmi sull’arenile, appartato con loro e non mi facevo vedere dai miei per ore, per poi presentarmi verso sera e spesso mi trovavano da dire perché non stavo con essi.
Un pomeriggio mentre i miei nonni con mio padre erano in riva al mare e mamma si era fermata a lavare i piatti e a mettere in ordine, io e Turi seduti sulla sabbia giocavamo a carte sull’asciugamano sentendo la radio e facendo commenti sulle parti anatomiche delle ragazze della spiaggia che ci passavano vicino. All’improvviso arrivò di corsa Vanni ansimante, dicendoci di seguirlo subito che:
“Na beddissima fimmina.” (una bellissima donna) Era entrata dentro la loro cabina a spogliarsi per mettere il costume.
La loro cabina, così la chiamavano, in realtà era quella pubblica, dove dietro avevano praticato più fori a tutte le altezze per spiare meglio le donne che vi entravano a cambiarsi.
“Nu sticchiu i fimmina trasiu! ...” Esclamò Vanni concitato in dialetto siciliano, che significa:
“Un pezzo di figa è entrato! ...”.
Turi lasciò le carte sull’asciugamano, si alzò correndo dietro lui, dicendo a me di seguirli e io mi accodai a loro.
Velocissimi correndo, ci portammo dietro le cabine dello stabilimento, passando tra le stesse e il muro posteriore di cinta in cui erano appoggiate, in uno spazio molto stretto, camminando lateralmente, strisciando tra il muro e le cabine e visto la nostra magrezza di allora, giungemmo dietro quella che chiamavano la loro cabina, la cabina pubblica, in un piccolo slargo che ci permetteva di stare comodi a spiare.
Sulla parete di legno c’erano vari fori fatti precedentemente da loro, chiusi con le cicche di gomma da masticare, per spiare le signore e le ragazze che si cambiavano il costume.
Li tolsero aprendo i fori e comodamente iniziammo in silenzio a spiare.
Io avevo il foro più basso, Vanni quello medio e Turi il più alto, erano in diagonale.
Io in posizione bassa, riuscivo a vedere solo il corpo della signora quasi fino al collo, ma non il viso.
La signora che si stava spogliando, tolse il vestito leggero restando in mutandine e reggiseno, aveva un bel corpo, pieno e maturo, eravamo tutti e tre silenziosi quasi senza respirare. Era la prima volta per me che spiavo una donna mentre si spogliava e mi sentivo turbato ed eccitato da quello che stavo per vedere.
Loro due iniziarono a parlare sottovoce facendosi dei segni con le mani, gesticolando.
La signora dandoci le spalle si tolse il reggiseno e poi si chinò piegandosi in avanti e tolse le mutandine, restando nuda, mostrandoci il sedere, bello, bianco con un lungo solco a dividere due glutei pieni ed eccitanti.
Eretta, esibiva un sedere alto, da giumenta, sporto in fuori con arroganza, come a offrirsi a noi che spiavamo: appendendo poi i pezzi intimi appena tolti all’attaccapanni, rigirandosi nuovamente verso noi, mostrandoci inconsapevole con mio enorme stupore e batticuore “il suo sticchiu!”, la sua figa grande e pelosa, che lasciava più pensare che intravvedere sotto i peli neri due grandi labbra gonfie e carnose, unite in una fessura nascosta.
Ero eccitatissimo, sbalordito e incantato.
Era la prima volta che vedevo dal vero la figa a una donna, un triangolo di peli neri, ero estasiato, rapito, affascinato.
Alzai di più lo sguardo e vidi due mammelle bianche, mature e invitanti, un po’ pendenti con due capezzoli rosa, trionfanti e sporgenti.
Ero senza fiato da quello che vedevo per la prima volta in vita mia, una donna nuda dal vero.
Mi staccai eccitato dal foro della cabina per darmi un respiro lungo e liberatorio, vedendo all’improvviso i miei nuovi amici abbassarsi il costume tirando fuori il pene, iniziando a masturbarsi spiando quella donna.
Vanni mi guardò dicendomi sottovoce in siciliano:
“Che fai? Non te lo meni? Dai!... Tiratelo fuori anche tu! ...Tira fuori il cazzo e masturbati con noi a guardare questa signora.”
“Tiralo fuori!” Sussurrò anche Turi il più grande, appoggiandosi di nuovo con l’occhio al foro sul legno a guardare e commentare:
“Guarda che figa che ha!... E che culo, sono una meraviglia.”
Per non essere da meno, eccitato, segui il loro consiglio e li imitai nel loro atteggiamento e modo di fare, lo tirai fuori dal costume e iniziai a masturbarmi mentre anch’io guardavo attraverso il foro il corpo nudo di quella signora, il suo sesso bellissimo e peloso che non avevo mai visto prima, la sua pelle chiara, le sue forme appena accentuate ma molto sexy.
Ero eccitatissimo e contento, mi sentivo grande e per la prima volta vedevo il corpo di una donna nuda dal vero e non su riviste.
Era a pochi centimetri da me, divisa solo da una parete sottile di legno. Ne sentivo i fruscii nel muoversi, mentre i miei due amici si masturbavano facendo commenti volgari a bassa voce sullo «sticchiu» di quella signora, la figa, il culo e le mammelle.
Anch’io mi masturbavo attratto da quello che vedevo, mi era venuto duro ed ero eccitatissimo.
Era la prima volta che mi masturbavo con altri ragazzi, in gruppo e per di più guardando una donna nuda. Mi piaceva quello che facevo, osservare il corpo nudo di quella donna masturbandomi, ne provavo piacere, gioia e benessere, meglio che il solo pensare o guardare figure sui giornali.
La signora all’interno della cabina si girò e rigirò, tirò fuori dalla borsa il costume e iniziò a mettere prima il pezzo sopra, chiudendo quelle belle mammelle nel tessuto, lasciandomi ancora in mostra il sesso peloso proprio all’altezza del mio viso, del mio sguardo, a pochi centimetri da me, avrei voluto toccarlo, baciarlo, leccarlo se non ci fosse stata la paratia di legno.
I miei amici eccitati erano al culmine, stavano venendo masturbandosi, esclamando ogni sorta di volgarità verso quella donna:
“Sto sborrando!! …Sborrerei tutto sulla sua figa pelosa!” Esclamò Turi.
“E io me la inculerei!! ... Le sborrerei nel culo, tutto dentro!” …Disse Vanni, mentre anch’io, eccitato, stavo per venire.
Ero felice, di essere con loro e fare come loro, spiare le belle signore masturbandomi.
Stavo per venire anch’io sborrando come loro contro il legno della cabina guardando un corpo vero di donna nuda che si muoveva dietro a un foro.
Proprio mentre stavo godendo pieno di piacere e di eccitazione, la signora dentro la cabina si abbassò per infilare, lo slip del costume dai piedi, chinando in basso il tronco e la testa e la vidi in viso mentre godendo venivo... stavo eiaculando.
Restai impietrito!!… Ebbi un soprassalto! Il cuore mi si mise a battere fortissimo.
La riconobbi… Dio mio! …Dio! ...Era! ...Era mia madre!...
Era mia madre quella signora che spiavo nuda e per cui mi masturbavo assieme a quei nuovi amici. Ebbi come un cardiopalmo in quel momento che durò un attimo, ma non riuscii più a fermarmi a trattenermi e poi non volevo eccitato com’ero e venni, sborrai masturbandomi guardandola, spiando la signora nuda… spiando mia madre nuda…
Venni ... sborrai, o come si dice da noi “iettai” godente e felice contro il legno della cabina, sapendo che dall’altra parte c’era lei, lei, mia madre! …Guardandola in viso di nascosto.
Eiaculavo guardando e desiderando il corpo di mia madre. Era pazzesco, provavo una sensazione assurda ma piacevole, anche se peccaminosa.
Lei, messo il pezzo di sotto, si tirò su, si mise a posto, uscì con il borsone da spiaggia aprendo la porta e facendo entrare un fascio di luce forte all’interno della cabina e si diresse verso mio padre e i miei nonni.
Era tutto finito ... ma io sentivo che non sarei stato più lo stesso ragazzo, avevo visto e scoperto qualcosa che mi turbava fortemente, per me sarebbe stato un inizio…
Eccitatissimo e sconvolto, inconsapevole mi ero masturbato guardando mia madre nuda, mentre si metteva il costume in una cabina, e mi batteva ancora il cuore forte per quello che avevo visto e fatto, ma mi era piaciuto… avevo goduto assieme ai miei amici, anche loro erano venuti pensando e desiderando mia mamma e questo mi dispiaceva ma eccitava anche.
Sentivo in me un senso di malessere e dispiacere per averla vista nuda, averle visto la figa e le mammelle, cosa che non era mai avvenuta prima e per averne goduto osservandola. Mi sentivo riprovevole, indegno, avevo desiderato sessualmente mia mamma, con inconsapevolezza ma con godimento.
Sentivo che in me si era rotto qualcosa … non era più come prima, non l’avrei più vista solo come mamma, ma anche come donna.
Naturalmente mi guardai bene da dire ai miei nuovi compagni che quella signora per cui ci eravamo masturbati e avevamo piacevolmente goduto era mia madre… Me ne vergognavo e restai zitto fingendo nulla.
Rimettemmo le nostre minchie come le chiamavamo noi (i cazzi) sporche di sperma dentro i costumi e loro due iniziarono a parlare tra loro, commentando di nuovo volgarmente le bellezze di mia madre, mentre io ascoltavo vergognandomene e restando vigliaccamente in silenzio.
“Caspita !!... Hai visto che figa che ha? Bella pelosa, nera come la pece, come piace a me. Fortunato chi se la chiava a quella donna!” Disse Turi mentre ci allontanavamo tutti e tre dalle cabine.
Vanni rispose sempre in dialetto siciliano:
“A me piace il culo!... Bello, bianco, ce lo farei io il culo a quella!”
E Turi rispose canzonandolo: “Il culo!!... Il culo fa aria e puzza!... Meglio la figa!”
“Non mi interessa se fa aria e puzza, ce lo farei lo stesso. La inculerei con il cuore!” Ribatté Vanni e risero, poi rivolgendosi a me ignari che fosse mia madre mi domandarono:
“E tu? Cosa le faresti a quella donna?... Te la chiaveresti?”
Restai spiazzato da quella domanda, non sapevo che dire, ma volevo essere come loro e per non differenziarmi e fargli capire qualcosa, risposi esitante e sottovoce: “Certo!”
“Che le faresti? … Diccelo!” Esclamò Turi: “Gli succhieresti le mammelle? Gli leccheresti la figa? O te la chiaveresti?”
Annuii con il capo in silenzio sentendomi ignobile, stavamo parlando di mia madre come di una puttana e io come giuda la tradivo per l’amicizia con quei ragazzi, incapace di reagire, mentre Vanni aggiungeva:
“Sì! Bravo!... Beato chi se la chiava quella!”
“Quella non si fa chiavare dai ragazzi come noi.” Rispose serio Turi cercando di farsi vedere più maturo di Vanni.
“Ma chi vuoi che se la chiava? Suo marito se la chiava.” Ribattei io cercando di portare il discorso il un alveo naturale di normalità, senza supposizioni o battute.
“Nooo… ma quale marito, quella è una puttana di lusso!” Ribadì Turi.
“Ma se è sposata la chiava il marito!” Esclami ingenuamente.
“Ma quale marito e marito!” Rispose Vanni: “Quella è una donna da chiavare, le piace la minchia, suo marito è cornuto, è beccu ...Telo dico io… Lei è una puttana suga minchie pompinara!” Esclamò con quel fare da ragazzo che vuol fare vedere di sapere più degli altri.
“No una puttana di lusso!” Ribatté Turi, in quella specie di gioco dove ognuno voleva saperne più dell’altro.
“Non importa ...sempre puttana e suga minchie è!!!” Rispose Vanni e si misero a ridere.
Ascoltavo quei commenti, e considerazioni volgari su mia madre in silenzio, senza dire nulla, sconvolto e turbato, era la prima volta che sentivo parlare così di lei, sessualmente, anche se non sapevano chi fosse.
Ci allontanammo da lì e tornammo al nostro asciugamano, ma io ero confuso e scioccato, quello che avevo visto e avevo fatto mi aveva segnato dentro.
Ero arrabbiato con me stesso perché mi era piaciuto guardarla anche se non avrei voluto e non lo davo a vedere ai miei amici Turi e Vanni... e anche perché permettevo che parlassero male di lei.
Oramai pensavo a mamma in modo diverso e me ne sarei reso conto nei giorni successivi.
Ero inquieto e taciturno cercando di non pensare a quello che avevo visto, come dicevo provavo un senso di colpa misto a disgusto e piacere per quello che avevo fatto, tentai di immaginare che fosse un’altra quella vista, una donna qualsiasi che frequentava la spiaggia e non mia madre, ma non ci riuscivo, continuava a venirmi in mente lei, mamma, il suo viso ombroso dentro la cabina e il suo corpo, il culo, la figa e le mammelle.
Quell’episodio mi aveva smarrito e disorientato, sentivo dentro me scontrarsi emozioni differenti, rabbia e dispiacere ma anche turbamento e piacere, accompagnate da eccitazione e gelosia per quello che avevo visto. Gelosia perché il corpo di mamma era stato violato, essendo stato visto nudo anche dai miei amici. Ero arrabbiato.
Non riuscivo ad allontanare da me quel senso di vergogna e di infervoramento per averla vista nuda e il piacere che avevo avvertito ad essermi masturbato guardandola e desiderandola anche se all’inizio non sapevo che fosse lei; e l’eccitazione e il godimento provato invece accorgendomi che era lei… mia madre la donna nuda che spiavamo, ma continuando a masturbarmi eiaculando osservandola. E inoltre l’umiliazione e la rabbia per aver lasciato godere altri della vista del suo corpo nudo, guardare la sua figa, il culo e il seno, masturbandosi anch’essi su di lei con pensieri indecenti e aver accettato io in silenzio i commenti volgari e le sconcezze dette alla sua persona e sul suo corpo, sulle sue nudità, lasciandola definire ...puttana!
Tutto questo mi rendeva triste e silenzioso facendomi chiudere in me stesso. Mille sensazioni mi passavano in testa.
“Cosa hai?” Disse all’improvviso Turi vedendomi silenzioso.
“Nulla!” Risposi facendo finta di niente.”
“Hai la faccia strana. Non ti è piaciuto vedere la figa di quella puttana che si cambiava?” Mi chiese.
L’aveva chiamata ancora puttana, ma feci finta di non sentire e di essere uno di loro e replicai di sì di nuovo:
“Certo che mi è piaciuto.” Risposi intristito, restando poi in silenzio.
Avrei voluto andare via, restare solo, ma non ne ebbi il coraggio e restai ancora lì con loro.
Passammo ancora un paio d’ore assieme a giocare a carte e sentire la radio, ma io ero assente, non c’ero con la testa, pensavo ad altro a quello che mi era successo e a mia madre.
Pensavo a quando l’avrei incontrata.
Avevo soggezione a doverla rivedere ora, dopo averla vista nuda. ed essermi masturbato, inconsciamente mi vergognavo a mostrarmi a lei.
All’improvviso Vanni tirò su il tronco del corpo e la testa e guardando in giro esclamò agitato:
“Sta tornando! ...Sta tornando!”
“Chi?” Chiesi io.
“Quella donna di prima. La puttana succhia cazzi!” Esclamò.
La chiamavano così, ormai era il soprannome che avevano dato a mia madre anche se non la conoscevano neppure.
Ci voltammo anche io e Turi a guardare, era mamma che risaliva la passerella con tutti i suoi lunghi capelli neri attorcigliati e tenuti da forcine sul capo, era bagnata, aveva fatto il bagno e la doccia sulla riva della spiaggia ed ora probabilmente ritornava in cabina a cambiarsi di nuovo.
“Guarda come ancheggia!... Sculetta il sedere. Che bel culo che ha la suga minchie!!” Disse ridendo Vanni.
“Cammina così perché sono gli zoccoli che la fanno ondeggiare…” Esclamai per giustificare quel suo andare dondolante dovuto all’incertezza del passo sul legno della passatoia e non certo per esibizione del sedere… Ma mi interruppero subito…
“Andiamo presto!” Esclamò Turi e si alzarono avviandosi verso il retro cabina, facendo lo stesso percorso che avevano fatto prima.
Non volevo andare, non volevo rivederla ancora nuda, tentennai, ma mi chiamò Vanni:
“Andiamo dai!”
Non ho ricordi precisi di quel momento, forse lottai con me stesso, dentro di me per non andare, forse prevalse il desiderio di rivederla nuda o di non far capire nulla a quei ragazzi, so solo che li seguii ancora invece di fermarmi e fuggire; sì, eccitato e angosciato li seguii immediatamente, consapevole quella volta che andavamo di nuovo a spiare mia madre cambiarsi. A rivederla nuda.
Mi avviai con loro con mille pensieri contrastanti, sapevo che era mia mamma quella che mi apprestavo ad andare a spiare con i miei compagni, non avrei dovuto farlo eppure li seguivo cosciente di quello che facevo, turbato ed eccitato, diviso tra la voglia di scappare e quella di rivederla nuda. Prevalse l’ultima.
Tornammo veloci dietro la cabina, rifacemmo quello fatto prima, ognuno sapeva qual era il suo posto e la riguardammo estasiati toccandoci ancora, tirando fuori dallo slip i nostri cazzi puntandoli verso lei oltre il legno e facendocelo venire duro di nuovo masturbandoci; e quella volta ero conscio che era mia madre, e la guardavo e spiavo con sessualità e libidine, menandomi il cazzo e desiderandola.
La rividi nuovamente nuda, con l’asciugamano in mano, asciugarsi prima il viso e il collo e successivamente abbassandola la parte superiore del seno, bello, gonfio di seduzione e tentazione.
Poi prese da sotto una mammella con la mano, la tirò leggermente su e tamponò prima il capezzolo e poi passò l’asciugamano sotto la sua piega più volte asciugandola bene.
Lo stesso fece con l’altra, lasciandole poi all’improvviso libere dondolare seducenti ed erotiche sul torace.
La libidine in noi salì alle stelle, era molto più bello ed eccitante ora che della volta prima guardarla.
Si asciugò le ascelle, per poi portare l’asciugamano sui peli neri della figa, strofinando sopra; allargando le gambe e piegandole appena si abbassò leggermente in avanti con il busto e passò l’asciugamano sulla figa comprimendo, sfregando sulla fessura per asciugarla bene anche all’interno delle grandi labbra.
Era uno spettacolo incantevole guardarla. Risalì con la mano e la passò sul ventre asciugandosi anche lì, scendendo poi sulle cosce e torcendo il busto lateralmente continuò posteriormente sul culo, sulle natiche bianche, piene e invitanti. Lo stesso fece dietro, allargò e piegò leggermente le gambe e mentre con una mano tirava lateralmente una natica divaricando il solco, con l’altra passava l’asciugamano al suo interno, comprimendo, facendola arrivare strusciando su e giù sull’ano. Si asciugò bene anche lì.
La osservavo incantato e rapito, era bellissima, non l’avevo mai vista mamma così bella e nuda, anche se c’era penombra all’interno, grazie alle feritoie alte anteriormente alla cabina entrava luce e si vedeva discretamente il corpo, e guardai con passione e lussuria la sua bellezza di donna e non di mamma, mentre sentivo sottovoce in dialetto i commenti volgari e osceni di quei due al mio fianco …le loro battute sul culo, il seno e la figa di mamma.
“Cazzo che donna è…!!! Tutta da leccare e chiavare davanti e dietro … Che bocca ha!! Me lo farei succhiare!” Diceva Turi
“Guarda che bocca che ha! ...Da puttana pompinara! Da suga minchie!” Ribatteva Vanni a bassa voce.
“Io ci farei il culo! È una meraviglia Me la inculerei mmmhhmmmm ...tutto ... glielo infilerei!! Ce lo deve avere morbido e caldo il buco. Che culo magnifico che ha!!... Da cavalla!! Te l’ho detto che mi piace, ce l’ha a mandolino il culo.” Mormorò segandosi Turi.
“Io le mammelle… ce le succhierei e mungerei!” Aggiunse Vanni ridendo a bassa voce.
Io continuavo a guardarla e ascoltavo in silenzio eccitato, non mi infastidivano più i loro commenti volgari su di lei, anzi, in quel momento li apprezzavo e condividevo, mi facevano salire ancora di più l’eccitazione.
Ero concentrato e rapito nel vederla nella sua intimità di donna fare toilette e rivedere le sue parti sessuali, le carni e la pelle bianca segnata in contrasto con una leggera abbronzatura dal segno del costume, mentre delicatamente si asciugava il corpo.
Le guardavo le mammelle e i capezzoli duri e dritti dal freddo, dove mi ero allattato, io sì che da piccolo gliel’avevo sugati (succhiati) davvero e loro non lo sapevano e osservavo anche la figa, da dove ero uscito io, che mi aveva generato.
In quel momento mi rendevo conto che sessualmente mi piaceva mia madre e quella situazione che vivevo, io spiarla e masturbarmi. Avevo scoperto in lei una donna.
Non solo non l’avevo mai vista così, nuda e nell’intimità, ma nemmeno l’avevo mai pensata come donna, ma solo come mamma fino allora.
Quel pomeriggio si ruppe qualcosa in me, che mi segnò per tutta la vita e gli anni a venire.
Ci masturbammo tutti e tre fino a venire ancora, quasi all’improvviso senza accorgercene, a quell’età non avevamo problemi di erezione e sborrammo contro il legno della cabina.
Ce lo menammo duro e dritto puntati su di lei nuda oltre la paratia di legno, se non ci fosse stata le avremmo schizzato addosso la nostra sborra tutti e tre. Venimmo due volte in un pomeriggio, non l’avevo mai fatto, la seconda volta venni meno, ma sentii il piacere di più. Lo stesso i miei nuovi compagni.
Mamma asciugata si rivestì e uscì dalla cabina, noi scappammo da dietro e ritornammo al nostro posto sull’asciugamano, la vidi che allontanandosi si dirigeva con la borsa verso mia nonna che l’aspettava vicino all’uscita, c’era anche mio padre, parlavano e si guardavano attorno, probabilmente mi cercavano.
Poi mamma da lontano mi vide e mi riconobbe tra gli altri bagnanti, mi fece un sorriso e un segno con la mano, come un saluto, un richiamo, ma io pieno di vergogna feci finta di non vederlo e mi abbassai fino ad accucciarmi sull’asciugamano nella sabbia.
Turi se ne accorse e mi domandò: “Ma la conosci?” ...
“No! No! ...” Risposi a disagio e in difficoltà diventando rosso in viso: “Non la conosco! Non l’ho mai vista ...salutava qualche altro.” Dissi rinnegandola per la vergogna che scoprissero che era mia madre.
Feci finta di niente guardando in giro e dietro noi, come per fare l’indifferente e poi all’improvviso mi alzai e corsi verso il mare. Scappai subito in fondo alla spiaggia.
“Corriamo!” Esclamai ...correndo veloce verso la riva, scappando da loro e dalla vista mia madre, perché… perché mi vergognavo, mi vergognavo da morire se avessero scoperto che era mia madre e che con loro ne avevo goduto spiandola. Non doveva saperlo nessuno, era solo un mio segreto.
I miei fecero ancora un segno e poi se ne andarono e mi lasciarono solo in spiaggia.
Quel tardo pomeriggio, tornato a casa ero smarrito e pensoso, mia madre quando mi vide mi chiese:
“Dov’eri? Dove sei stato tutto il pomeriggio che non ti ho visto in giro? Perché quando poi mi hai vista e ti ho salutato sei scappato?” E continuò dicendomi: “Ti ho visto con quei ragazzi più grandi. Chi erano e dove sei andato con loro?”
Scrollai le spalle scocciato da quelle domande dicendole che:
“Non sono un ragazzino!!... Non ti ho vista!”
Ero arrabbiato con lei, con me stesso, con tutti perché l’avevo vista nuda e l’avevano vista anche i miei amici. Perché ci eravamo masturbati guardandola e perché mi era piaciuto farlo e spiarla.
La osservai in silenzio, mentre si muoveva preparando tavola, le guardavo il sedere, lo immaginavo sotto il vestito leggero muoversi, bello bianco, carnoso con quel solco meraviglioso e profondo che avevamo visto, da giumenta, da cavallina come aveva detto Vanni e come l’avevo visto dentro la cabina.
La guardavo muoversi, preparare la cena, parlare con nonna e con papà, ma non guardavo mia madre in quel momento… guardavo una donna che mi attraeva.
Ero insolitamente taciturno, lei mi si avvicinò e mi chiese:
“Hai combinato qualcosa che sei così silenzioso?” Mentre mi passava amorevolmente la mano sulla fronte e sui capelli.
“Non ho combinato niente.” Risposi scocciato e infastidito da quel suo gesto materno, spostando la testa e facendole togliere la mano dai miei capelli.
Da mamma aveva capito che c’era qualcosa che non andava in me. Mi conosceva troppo bene.
Quella sera a tavola si disse che la vacanza era finita e che il giorno dopo saremmo rientrati a casa nostra perché papà partiva, sarebbe ritornato in Germania a lavorare e quindi l’indomani l’avremmo passato ad andare a trovare e a salutare i parenti e i conoscenti di quella città e la sera stessa saremmo rientrati nella nostra. Non saremmo più ritornati alla spiaggia.
“Anche tu Luccio vieni con noi?!” Mi domandò mamma. Feci cenno di sì con la testa.
In fondo non mi dispiaceva non ritornare più in quella spiaggia, non volevo più vedere quei ragazzi che si erano masturbati vedendo mia madre nuda e avevano fatto quei commenti e apprezzamenti volgari e osceni su di lei, dicendo anche che era anche una “buttana suga minchie”.
Li consideravo responsabili di quello che mi era accaduto e in un certo senso li odiavo ... Era una mia reazione interiore colpevolizzarli, mi faceva stare bene.
“Meglio così!” Mi dissi.
Ma non ero più il ragazzo di prima, ero cambiato, lo sentivo, anche se cercavo di vivere tutto come prima.
Avvertivo che qualcosa dentro di me si era rotto, modificato, me ne accorgevo guardando mamma, non la osservavo più con affetto e tenerezza, ma con attenzione, oserei dire con libidine e desiderio, come una donna, o meglio come si dice da noi, “come una femmina.”
Nell’appartamento affittato per la settimana di vacanza io dormivo in una branda nel corridoio davanti a tutte le porte delle stanze, vicino al soggiorno, dove in un divano letto dormivano i miei genitori. Camera matrimoniale ce n’era una sola e per rispetto i miei genitori l’avevano data ai nonni che erano i più anziani.
Quella sera sul tardi nel buio della casa non riuscivo a dormire, ero agitato ed eccitato, pensavo ancora a quello che mi era successo nel pomeriggio, all’episodio della cabina.
Faceva caldo e pensavo a mamma e papà.
Li sentivo muovere nel letto e parlare a bassa voce, poi mamma si alzò pensando che io al buio dormissi e socchiuse la porta che divideva il soggiorno dal corridoio, lasciando entrare un po’ d’aria per non farmi morire dal caldo visto che non c’erano finestre nell’entrata.
Mi venne quasi vicino e mi guardò nel buio, si assicurò che io dormissi, mentre invece fingevo e poi si allontanò ritornando nel letto con mio padre.
Li sentivo parlare a bassa voce, bisbigliare. Curioso ed eccitato mi alzai e al buio scalzo mi avvicinai tra lo stipite e la porta socchiusa e guardai tra quella piccola fessura longitudinale. Li intravedevo, illuminati solo dalla luce della luna e da quella dei lampioni che di riflesso entrava dentro la stanza dalla finestra, erano tutti e due nel letto vicini.
Li scorgevo in penombra muoversi, abbracciarsi, papà aiutare a mamma a togliere la camicetta leggera di lino bianco da notte, che in Sicilia le donne serie e di buona famiglia allora mettevano anche d’estate; mentre lei alzava il busto e le braccia dritte in alto, gliela sfilava da esse facendola restare in un colpo solo ancora nuda, visto che mamma dormiva senza reggiseno e mutandine, solo con un panno bianco tra le gambe e sulla vulva.
Guardavo mio padre che la sdraiava a schiena in giù con dolcezza e le accarezzava il seno la figa e le gambe, allargandole e piegandole, togliendo il panno bianco e andando a mettersi tra loro, sdraiandosi sopra di lei.
Li osservavo abbracciati muoversi, baciarsi e accarezzarsi. Sentivo i fruscii dei corpi tra loro e con il materasso e i bisbigli delle loro voci.
Intravvedevo mamma muovere il bacino verso mio padre respirando forte, abbracciandolo e lui muoversi vigorosamente sopra di lei, poi solo il silenzio e un leggero cigolio che faceva il divano letto.
Non riuscivo a vedere appieno i loro corpi vista la mancanza di luce, ma li intravvedevo muoversi nella penombra. Capii cosa facevano, papà si stava fottendo (chiavando) la mamma.
Fui preso da un’eccitazione grande e sentii un forte calore sul viso e nel basso ventre, mentre il cazzo mi si gonfiava diventando durissimo e dritto. Li guardai per quel che potevo vedere.
Era la prima volta che vedevo due persone chiavare davvero, che non fossero su una rivista ed erano proprio i miei genitori i primi. Li spiai, li sentivo, inconsciamente invidiavo mio padre e mentre mi masturbavo desideravo intensamente e prepotentemente mia madre, avrei voluto essere al suo posto, essere io a godere di lei e con lei.
Mi prese una forma di gelosia verso mio padre.
Li sentii muovere più veloci, sentivo il ciack delle loro pelli bagnate scivolare tra loro sul sudore, i movimenti di mio padre diventare energici e veloci, mamma ansimare e stringersi forte forte a lui. Osservavo le sue gambe larghe e mio padre tra loro abbassare e alzare il sedere ritmicamente; per poi all’improvviso vederlo staccarsi da mia madre e tirarsi su, prenderselo in mano e toccandolo, riversare tutta la sua sborra sul ventre di mamma gemente e ansimante, mentre io riversavo la mia contro la porta e sul pavimento.
Ci fu silenzio.
Vidi che restarono abbracciati un po’ a stringersi e baciarsi ancora parlando sottovoce, poi si staccarono, mamma si alzò prendendo un panno sulla sedia, passandolo a mio padre per pulirsi e asciugarsi. Notai che con lo stesso panno lei si puliva poi il ventre dalla sua sborra. Corsi veloce e silenzioso a sdraiarmi nuovamente sulla branda a fingere di dormire.
La sentii poco dopo aprire del tutto la porta, esitare e attendere, poi passandomi vicino guardarmi ancora per vedere se dormivo.
Avuta la conferma dal mio fingere andò in bagno a lavarsi, appena passata aprii gli occhi e la guardai nella penombra, era vicina e nuda, capii la sua esitazione e accertarsi che dormivo prima di passarmi davanti, sentii il suo odore di sudore e di sesso godente, vidi la schiena e quel magnifico culo su due splendide cosce entrare in bagno.
Volevo alzarmi e andare a spiare anche in bagno, ma avevo già rischiato troppo, avevo paura di mio padre, se si fosse alzato anche lui e mi avesse sorpreso a spiare mamma, mi avrebbe ammazzato di botte e castigato.
Feci finta di nulla e ancora di dormire, la sentii poi tornare indietro passandomi nuovamente vicina profumata di bagnoschiuma, la rividi da dietro mezza nuda, si era messa una camicetta da notte corta e trasparente che le copriva appena i glutei e sotto niente. La guardai e la spiai da sdraiato sospirando … Finché sparì dietro la porta del soggiorno.
Da quella notte l’avrei spiata sempre... e mi addormentai.
Il giorno dopo lo passammo dai parenti io ero contento e dispiaciuto di quello che avevo fatto. Alla sera partimmo e tornammo nella nostra città natale, a casa nostra.
La mattina seguente papà sarebbe partito. Quella sera ci furono i preparativi, il fare le valige di mio padre, mamma gliele preparò con attenzione e amore, era premurosa e preoccupata che ci fosse tutto, biancheria intima lavata, stirata e profumata di lavanda, camicie e abiti e anche la nostra foto tutti assieme.
Anche quella sera fecero l’amore, lo avevo immaginato, restai sveglio apposta, li sentii bisbigliare, mi alzai e andai vicino alla porta, ma era chiusa e avevo paura e non potevo vedere, sentivo solo i loro rumori e cigolii e la voce di mamma ansimante che diceva parole a papà.
Stavano chiavando ancora.
Mi masturbai lo stesso, fu bellissimo, venni quasi assieme a mio padre, peccato che lui veniva sul suo ventre e io sulla mano e sul pavimento, ma non mi interessava ero felice così.
Tornai in camera mia e lasciai la porta socchiusa, mi misi a letto, sentii mamma passare e andare in bagno a lavarsi, e la risentii dopo una decina di minuti uscire e ritornare da mio padre.
A letto non pensavo a papà che partiva anche se mi dispiaceva, ma a mamma a quello che era successo in quei giorni, me la immaginavo nuda e mi immaginavo al posto di papà, sopra di lei.
La mattina dopo papà partì, mi abbracciò e baciò, dicendomi frasi di circostanza, di stare attento a mamma che oramai ero grande, un uomo, ed ero io l’uomo della casa e dovevo pensare a lei, proteggerla. Presi molto sul serio quelle parole e quel compito e gli risposi di sì, glielo promisi.
Poi salutò i nonni che erano venuti per salutarlo e poi mia madre, si abbracciarono e mamma si mise a piangere, lo abbracciava forte ... Poi papà uscì, lo accompagnò mio nonno alla stazione. Io restai con mamma che piangeva.
Quel giorno fu di tristezza, lo passai in casa a girare mentre mamma chiusa in sé stessa metteva in ordine l’appartamento per passare il tempo e non pensare.
Nel pomeriggio partirono anche i nonni, anche loro dicendomi di stare attento e vicino a mamma che era sola, che oramai ero un uomo ecc. ecc...
Oramai la sapevo a memoria la cantilena. Certo che avrei pensato a mamma, ma a modo mio...
Comunque dissi di sì anche a loro.
Mi girai e guardai mamma, era bella in quella sua tristezza da vedova bianca, con tutti i capelli corvini tirati sulla nuca in modo disordinato, tenuti da forcine, lasciandole libero il collo, lungo e superbo. Sarebbero passati molti mesi, prima che avrebbe rivisto papà.
Iniziava qualcosa di nuovo per me.
Ero cambiato e vivevo quella fase della mia giovinezza come in un gioco, con inconsapevolezza e quello che mi sarebbe successo lo avrei creato io, con incoscienza e desiderio...
Papà era partito e io e mamma eravamo restati soli a casa.
Passavano i giorni e le settimane, ed eravamo giunti in piena estate, luglio e mamma si era tranquillizzata, era tornata alla sua routine quotidiana di casalinga e di vedova bianca in attesa del ritorno del suo uomo, mio papà, suo marito.
Come ogni adolescente maschio prova attrazione o s’innamora della propria madre, anche io provai gli stessi sentimenti ed emozioni e una forte attrazione sessuale verso lei, che prima non avevo mai avuto, diventando anche sospettoso e geloso nei suoi confronti, soprattutto se parlava con qualche uomo.
Di solito a quell’età lì la cosa rimane a livello inconscio o di fantasie e provoca qualche innocente masturbazione giovanile, come gli episodi della spiaggia o dell’aver visto e sentito la scopata con mio padre.
Ma mi ero scoperto per la prima volta a desiderarla davvero, sessualmente e fisicamente come donna. Le sue carezze, quando me le faceva in viso e sui capelli le sentivo in modo diverso, mi eccitavano ora, anche a sentire il suo profumo, prima non ci facevo caso, ma poi me l’annusavo assieme a lei.
Tra noi non esisteva l’argomento sesso, mamma da buona siciliana non me ne aveva mai parlato, non toccava a lei, alla madre informare il figlio, questo era un compito che sarebbe aspettato al maschio della famiglia a mio padre, ma lui non c’era e quindi ero cresciuto a digiuno di quelle conoscenze.
Avevo cognizione solo delle scoperte che facevo leggendo riviste erotiche o delle informazioni datemi dai miei amici più grandi.
Pian piano, istintivamente e quasi inconsapevolmente iniziai a spiarla spesso, sempre oserei dire, eravamo soli in casa e mi veniva facile spiarla a sua insaputa.
Quando si cambiava o andava in bagno, la osservavo lavarsi, mettere il reggiseno e lo slip oppure toglierli.
Arrivai al punto di spiarla mentre in bagno faceva i suoi bisogni fisiologici seduta sul water, mi eccitavo molto a vederla fare la pipì, sentire il rumore del suo zampillo contro la ceramica del vaso e l’acqua che conteneva sul fondo, e il rimbombare all’interno della tazza dell’aria che a volte le usciva forte e rumorosa dall’intestino in quella posizione, mentre era nella sua privacy assoluta credendo di essere sola, nella sua intimità più profonda.
Scelleratamente e morbosamente spiavo, la desideravo e poi scappavo a masturbarmi a fare pugnette (come si dice da noi) in camera mia.
Mi soffermavo spesso a guardare la sua biancheria intima stesa sul terrazzo, la osservavo con attenzione e libidine, la studiavo immaginandola addosso a lei e, non visto, la toccavo tastavo il tessuto e i ricami. Lo stesso facevo con la biancheria intima dismessa, quella usata, quando andavo in bagno mi chiudevo dentro e la prendevo dalla cesta degli intimi sporchi, la guardavo, esaminavo il punto segnato e un po’ consumato dove aveva appoggiato il sesso e il culo, scrutavo se c’erano peli di figa o se era macchiata di pipì o altro e d’istinto come un rito portavo le mutandine sul viso, coprendomi il naso e la bocca e aspiravo forte per sentirne i profumi, gli odori…. e restavo eccitato in quella posizione ad annusarle, e successivamente a contemplarle tra le mani. Poi le mettevo sul cazzo e sfregavo sulla mia minchia dura e dritta e iniziavo a masturbarmi con loro, finché non venivo sborrando in quel tessuto morbido, odoroso e usato. Stavo diventando un depravato senza accorgermene, ma mi piaceva quello che facevo.
Poi mi pulivo e le rimettevo nella cesta, pronte per la lavatrice.
Eravamo soli in casa e quindi era facile per me, giocando a fare il ladro in casa mia, spiarla e a non farmi scoprire. Ero arrivato in alcuni giorni a masturbarmi tre volte, alla mattina quando ero a casa, al pomeriggio e alla sera quando si andava a dormire.
Ogni volta incosciente osavo e rischiavo sempre di più, sicuro di me, ma mi piaceva quella situazione e la desideravo tanto.
Ma come tutte le cose belle finiscono presto, anche la mia finì.
Mamma alla lunga si accorse che la spiavo, che guardavo e toccavo le sue cose, l’intimo, i profumi, i vestiti e frugavo nella sua biancheria sia pulita che sporca.
Un giorno mentre ero dietro la porta del bagno appena socchiusa accucciato a spiarla, l’aprì all’improvviso sorprendendomi dietro, facendomi fare spaventato un sobbalzo all’indietro da cadere con il sedere a terra. Era furiosa.
Avevo paura della sua reazione, mi si avvento contro colpendomi con uno schiaffo in testa che mi prese anche il volto di striscio e d’istinto appoggiando le mani sul pavimento e strisciando con il sedere all’indietro, mi allontanai da lei pochi metri, mi girai come un gatto, mi alzai in un attimo e scappai veloce sentendo la sua voce dietro dirmi:
“Scappa! Scappa!... Stasera poi facciamo i conti. Scostumato!” Mentre correvo allontanandomi.
Quel pomeriggio girai parecchie ore per il paese riflettendo su quello che era successo, era finito il bel gioco, aveva scoperto tutto e mi aveva sorpreso nell’atto di spiarla mentre era in mutandine e reggiseno.
Mi chiedevo su cosa ero stato maldestro visto che ero sempre attento.
Solo dopo mesi, seppi da lei, che l’avevano insospettita il mio modo di fare, di guardarla, il trovare la biancheria spostata sia pulita che sporca, oltre che trovare le sue cose mosse; ma furono le macchie di sperma sulle sue mutandine e reggiseno usati a farla insospettire prima e capire dopo quello che facevo con la sua biancheria intima, perché io non lo sapevo, ma mamma aveva l’abitudine prima di metterla in lavatrice, di aprirla e guardarla avanti e dietro e aveva notato quelle macchie strane sui suoi slip, e aveva capito che cos’erano e chi poteva essere stato, e da lì a sorprendermi le fu facile, visto che io ero troppo sicuro di me che non mi avrebbe mai scoperto.
Pensavo poi a cosa poteva farmi al rientro a casa, la mia paura era che lo dicesse a mio padre oppure ai nonni. O forse ai nonni lo aveva già detto ed erano lì ad aspettarmi?
Ritornai a casa verso sera rassegnato e impaurito. Entrai in silenzio a testa bassa, volevo scusarmi con mamma, ma sentii la sua voce calma dire mentre preparava cena:
“Dove sei stato?”
“In giro!” Risposi con voce bassa e sottomessa.
“Vatti a lavare, che a tavola è pronto.”
Non una parola su quello che era successo.
La guardavo di sfuggita, furtivo e lei faceva finta di nulla, come se non fosse successo niente, sembrava che fosse tutto normale.
Cenammo, guardando il tg come tutte le sere.
“Ha telefonato tuo padre oggi. Sta bene! Ha chiesto anche di te!” Mi disse, facendo una pausa sospirando e guardandomi negli occhi:
“Gli ho detto che sei bravo e giudizioso e studi nelle vacanze.” Aggiunse osservandomi seriamente mentre mi parlava.
Continuammo a cenare in silenzio guardando la tv, ed ero contento di quello che mi aveva detto.
Finito di cenare, passammo a guardare la tv nel soggiorno seduti sul divano, vicini, a fianco l’uno all’altra, avevo paura a guardarla ora, lo facevo di nascosto, timoroso di una sua reazione e del suo non accennare a quello che era accaduto.
All’improvviso la sua voce esclamò:
“Allora Luccio! …Dimmi perché mi spii quando mi spoglio o sono in bagno?”
Diventai rosso in volto e pieno di vergogna e mi girai a guardarla, ma vidi che continuava a osservare la tv anche lei imbarazzata.
Ero sorpreso e impacciato da quella domanda.
Capivo che stava facendo un discorso di chiarimento anche se era a disagio.
Incominciò a introdurre l’argomento in modo semplice e materno, senza traumatizzarmi e farmi sentire sensi di colpa, tutto naturale, dolce, tenero, come si conviene tra una mamma e suo figlio che è “la gioia della sua vita” come mi chiamava lei.
Le risposi d’istinto dispiaciuto e mortificato:
“Mamma!!... Perdonami ti prego! … Non sono uno scostumato. Perdonami se ti guardavo come una donna, io ti voglio bene, un bene grande. Non dire niente a papà e ai nonni. Ti prego.”
Lei fece un respiro profondo e sempre senza guardarmi mi chiese:
“Mi devi dire allora perché mi guardavi?”
“Perché sei una femmina.” Risposi timido.
Non avevamo mai fatto discorsi sul sesso ed ora posso dire che anche lei provava imbarazzo e turbamento a parlare di quello che era accaduto, ma cercava di non mostrarlo a sé stessa e a me.
“Su parla tranquillo, non spaventarti che non ti faccio niente.” Esclamò.
Ero rosso in viso e le parole che mi uscirono dalla bocca tremante furono:
“Ti guardavo perché sei una femmina.” Mormorai a bassa voce.
“E non hai mai visto donne nude che devi spiare tua madre?” Mi domandò per risposta…
“No!” Replicai: “Nude non ne ho mai viste.”
Restò un attimo in silenzio poi continuò:
“Non hai mai visto una donna nuda?” Domandò.
“No!” Risposi ancora.
Ci fu ancora una pausa, poi aggiunse.
“E le ragazze? Non ti è mai capitato di guardarle, di vederne qualcuna nuda?”
“No!” Risposi, notando che anche lei era in difficoltà, non sapendo affrontare un discorso del genere, e affermai:
“So le cose sulle donne per sentito dire o per averle lette o viste su qualche giornale. E basta! Oppure perché qualche amico più grande mi dice le cose.”
La mia educazione sessuale si era formata sui pettegolezzi di compagni di scuola o peggio, sulle riviste pornografiche che mi facevano vedere. Mentre quella di mia madre era dovuta a quello che le aveva detto o fatto mio padre e nient’altro e quindi non è che lei ne sapesse molto di più di me.
E proseguii:
“Donne nude le ho viste solo sui giornali! ...Dal vero non ne ho mai viste. Solo a te!”
“Solo a me?” ...Chiese mamma con un velo di imbarazzo e turbamento: “E mi hai visto nuda?”
“Sì!” Risposi.
“E mi hai guardata nuda completamente?” Domandò infastidita.
“Sì!” Ribattei.
“E quando?” Chiese mia madre.
Evitai di dirle che era successo in spiaggia con quei ragazzi, mi vergognavo e mi limitai a dire:
“Quando eri in bagno che ti lavavi o in camera a spogliarti.”
Restò in silenzio, era a disagio. Poi chiese curiosa:
“Quante volte mi hai vista? E quando hai iniziato a spiarmi?”
Continuai a non dirle la verità, non le raccontai l’episodio della cabina, le dissi che tutto era iniziato dopo che papà era partito.
Ascoltava turbata e irrequieta, muovendo spesso le mani.
“E quando mi vedi che fai dopo?”
Era una domanda scontata, non capii nemmeno perché la facesse. Restai in silenzio con gli occhi bassi...
“I pugnette?” (Ti masturbi?) Chiese lei tra il curioso e l’imbarazzata.
Feci cenno di sì con la testa senza parlare.
La vidi abbozzare un piccolo sorriso con gli occhi, ma alzarsi seria dicendo:
“Non si fanno queste cose! Non si guarda in quel modo la propria madre nuda o che si cambia! È peccato e non è normale. Ci sono altre donne da guardare, si guardano loro non la propria madre!” Esclamò autorevole.
Iniziò a farmi la morale sulla mia condotta sbagliata e mentre lo faceva si alzò di scatto impensierita e io vedendola in quell’atto, d’istinto mi spostai da lei di lato, portandomi le braccia in alto sulla testa e il volto a coprirmi, come a ripararmi pensando che volesse colpirmi con degli schiaffi e invece esclamò ancora:
“Non ti spaventare! Quello che hai fatto non è giusto, ma non stare più a farlo.”
Restò in silenzio alcuni secondi e poi aggiunse:
“Tu sei un ragazzo giovane e bello, vedrai non ti sarà difficile quando verrà il momento giusto trovare una ragazza per te.”
Poi quasi a volermi insegnare come comportarmi continuò:
“Tu quando guardi una ragazza devi sorriderle e vedrai che ti sorriderà anche lei. E non ti vergognare. Sei un bel ragazzo, sono sicura che le ragazze si accenderanno quando ti vedranno. Prova ad andare con loro e vedrai che ti piacerà. Sei un maschio forte come tuo padre. Alla tua età non si spia la mamma, si guardano le ragazze.” Affermò e nel mentre mi accarezzava i capelli affettuosamente con la mano.
Le chiesi esclamando per reazione:
“Ma come faccio ad andare con le ragazze o le donne se non so nemmeno come si fa? …Come si fa a baciare? Nessuno mi ha mai insegnato queste cose.”
Imbarazzata e infastidita dalla piega presa dalla discussione, perché turbata forse, aggiunse:
“Non devo essere certo io a insegnarti queste cose. Imparerai! Sei un ragazzo sveglio. Non deve essere tua madre a dirti queste cose. Comunque non è bello spiare la propria madre mentre è nelle sue intimità.” Disse spostandosi verso la porta della cucina. Aggiungendo:
“Va bene Luccio, faremo attenzione tutte due che non accadano più queste cose, io a non mostrarmi e tu a guardare, ma questi fatti non si devono più ripetere, se no lo dico a tuo padre. Capito?”
Annui in silenzio con la testa.
Chiuse il discorso con quell’avvertimento e si allontanò dentro la cucina, lasciandomi a guardare la tv da solo.
Era stata chiara, chiarissima, seppur con tutta la comprensione che aveva per me e quello che era accaduto, mi aveva fatto capire di non spiarla più e di non voler più sentire parlare di queste cose.
Era tutto finito, il rimprovero, la ramanzina e l’ammonimento erano un avvertimento.
Mamma era una donna di poche parole, riservata e aveva già parlato tanto.
Passarono alcuni giorni e io rigavo dritto.
Non dicevamo più niente su quell’argomento, mamma era molto seria e diffidente verso di me.
Non la spiavo quasi più e se mi capitava lo facevo con molta attenzione. Ma in compenso continuavo a masturbarmi molto pensandola.
Nei giorni seguenti notai che il suo sguardo spesso si incrociava con il mio, osservandomi fisso, come se volesse indovinare cosa pensassi in quel momento guardandola.
Un pomeriggio rientrando a casa, vidi mamma che stava pulendo, lavava il pavimento con spazzolone e straccio, con il secchio del risciacquo vicino, la sbirciai con gli occhi di traverso, non mi facevo più notare da lei a osservarla, stavo attento. Ma il mio sguardo era sempre addosso alle sue forme.
Quel pomeriggio faceva molto caldo e mi accorsi che sotto il suo vestitino leggero non aveva il reggiseno, non lo metteva mai in casa con il caldo, le dava fastidio, sudando lo sfregamento le irritava la cute. Notai che alcune parti di tessuto della veste da casa che usava per i lavori casalinghi, con il sudore si erano attaccate alla pelle, lasciando evidenziare e trasparire le forme sottostanti.
Il suo seno non era molto grande, ma bello. Le mammelle erano di forma allungata, sormontati da due capezzoli rosa, come due monete da cento lire (poco più di due euro oggi). Continuai a fare finta di niente, guardandola appena si voltava, gettando gli occhi sopra il sedere e sul seno.
Mi eccitava vederla così, come una serva, con i suoi lunghi capelli neri tirati tutti sulla testa in modo disordinato e selvaggio, tenuti su con delle forcine che lasciavano cadere dei filamenti di ciocche nere lateralmente e davanti, rendendola molto sexy e più erotica e che lei con il dorso della mano cercava di spostare continuamente.
Ai piedi l’infradito e il suo corpo evidenziato di più dalla veste da casa leggera e stretta, di qualche anno prima quand’era più magra, con l’abbottonatura sul davanti, che le arrivava a mezza coscia, stretta alla vita da un nastro a cinturino di stoffa uguale, che metteva in risalto le sue forme. Era vecchio e lo usava solo in casa per le pulizie e quando si piegava per raccogliere lo straccio a terra o lo risciacquava nel secchio, saliva dietro arrivando quasi alle natiche, mostrandomi il retro delle sue cosce pallide, belle, meravigliose da far girare la testa.
Facevo finta di niente, ma non le staccavo gli occhi d’addosso, non visto sbirciavo letteralmente nella scollatura seguendo l’unione delle sue mammelle dentro il vestito e a volte, come il ragazzino eccitato che ero, non rendendomi conto o preoccupandomi di nasconderlo.
Avevo gli occhi incollati addosso alla scollatura e al seno, quel seno meraviglioso che mi aveva allattato e che ora scelleratamente, consciamente e incestuosamente desideravo. Non pensavo nemmeno all’incesto, quasi non sapevo cosa fosse, se non fare sesso tra consanguinei e nella mia ignoranza non lo ritenevo così scabroso e sacrilego.
Facendo finta di pensare e distraendo lo sguardo in giro per la casa, gettavo occhiate lussuriose e libidinose su di lei, le si intravvedevano i capezzoli rosa spingere duri sotto il vestitino stretto, che la abbottonatura anteriore a stento copriva le mammelle, stringendole tra loro e spingendole in fuori e in alto, facendole risaltare di più, rendendola procace e desiderabile.
All’improvviso girandosi e guardandomi mi disse sorridendo:
“Che guardi?”
Accorgendosi dei miei occhi fissi su di lei, mentre cercava per pudore con la mano di chiudere i lembi della scollatura.
“Che c’è Luccio? Perché mi guardi?” Domandava.
“Niente! Niente!”
Rispondevo vergognoso di essere stato ancora sorpreso e intimorito di rompere quel patto che avevamo stabilito.
Ero eccitato, con il pene in erezione dentro i pantaloni, evidente nel gonfiore dei pantaloni, che coprivo con un libro per evitare che se ne accorgesse, mi alzai e andai in camera a studiare, ma prima passai dal bagno a immaginarla, sfogando la mia tenera e giovane sessualità risvegliata dal suo abbigliamento e dalle sue forme sottostanti con la masturbazione.
Ci furono altre giornate e altre situazioni tra me e lei in cui percepiva i miei sguardi di desiderio e io i suoi di diffida, rimprovero e avvertimento, ma nessuna parola e nessun accenno alle motivazioni di questi.
Spesso mi vedeva entrare in bagno e chiudermi e come ogni mamma immaginava, e sapeva cosa andavo a fare.
“Luccio!... Cosa vai a fare sempre nel bagno e ti chiudi dentro? E perché ci stai così tanto?”
Esclamava a volte forte dal soggiorno mentre io entravo.
Domandava anche se sapeva già la risposta, ma lo faceva come per mettermi in guardia, per farmi capire che sapeva cosa facevo e che dovevo smettere.
“Non faccio niente… ma!! Leggo il libro seduto!!” Rispondevo scocciato di quei suoi avvertimenti.
Ma mamma non era scema.
“Sì niente! Chissà cosa fai lì dentro?” Mi diceva ad alta voce facendomi arrossire e imbarazzare...
Credevo che mi leggesse dentro allora e io non sapevo mentire, quando le dicevo una bugia, diventavo rosso in viso, era difficile mentirle, lo capiva subito, mi conosceva troppo bene. E poi ero troppo legato a mamma e anche se dicevo qualche bugia, alla fine coccolandomi mi faceva sempre dire la verità.
Ma ora facendo così mi imbarazzava...
Un tardo pomeriggio, come spesso succedeva nella nostra bella Sicilia ci fu una rapina in una gioielleria vicino alla nostra via, con sparatoria, c’era stato uno scontro a fuoco, il proprietario aveva reagito e lo avevano colpito e ferito.
All’arrivo della polizia, i malviventi fuggirono per i vicoli a piedi, erano tre, due li pigliarono subito avendo circondato la zona, il terzo no, era ancora libero ed era stato visto nelle vicinanze di casa nostra.
Eravamo spaventati io e mamma, ne aveva parlato anche la tv locale TVE Teletna, diceva se era possibile, di non uscire e non aprire a nessuno quella sera per facilitare il compito delle forze di polizia e se qualcuno notava qualcosa di strano, segnalarlo subito alla polizia telefonando al 113.
Finito di cenare verso le 20 e 30 mamma mi fece chiudere tutte le finestre e sprangare la porta. Poi andammo in soggiorno a vedere la televisione, c’era il programma su Rai due: “Stasera mi butto!” con Pippo Franco e Heather Parisi che lo conducevano e a mamma piaceva vederlo.
Lo guardammo per distrarci dalla tensione di quello che era successo. Finì verso le 23.00, mamma si alzò spense la tv, prese l’acqua in cucina e disse: “Andiamo a dormire!” Io ero sulla porta della cucina fermo:
“Che hai? Sei spaventato per quello che cercano?” Mi chiese.
Restai in silenzio in effetti avevo paura, ma anche lei l’aveva, le si leggeva in faccia che era preoccupata.
Fece una pausa e poi disse:
“Per stanotte vieni a dormire con me, finché non lo prendono a quello... Ma solo per stanotte!” Ripeté.
Non mi aspettavo quella concessione e restai un attimo smarrito.
“Io dormire con mamma?” Pensai stupito e lei vedendomi sorpreso aggiunse:
“Ti spaventa dormire con me? ... Da ragazzino ci dormivi sempre.”
“No!... No!” Risposi titubante e la seguii in camera. Accese l’abatjour dicendomi:
“Spogliati e mettiti a letto mentre io vado in bagno.” Annuii con il capo.
“Da questa parte!... La parte di tuo padre.” Esclamò facendomi segno con la mano sul lenzuolo: “Dall’altra ci dormo io, è la mia.” Precisò.
Si allontanò e andò in bagno a fare toilette e i bisogni, io entrato in camera mi spogliai, faceva caldo, restai con le mutandine e mi infilai nel letto dalla parte dove dormiva mio padre, con solo un lenzuolo leggero per coprirci. Ero eccitato e timoroso da quella situazione che si era creata, quasi pentito, ma non mi facevo illusioni, mamma era stata chiara, un altro errore e avrebbe detto tutto a mio padre e ai nonni, con conseguenze pericolose per me.
Quando ritornò era profumata di sapone, si era lavata, aprì il cassetto e prese una camicia da notte finissima e trasparente, probabilmente regalo di mio padre che con quel caldo andava bene.
Ero imbarazzato, si sarebbe spogliata, ma lei prima di farlo mi disse di girarmi dall’altra parte e di spegnere la luce: “Spegni la luce e girati che mi spoglio.” Mi disse.
Ubbidii intimorito ed eccitato, ma la spiai nello specchio dell’anta dell’armadio che era dalla mia parte.
Nel buio della stanza c’era solo il chiarore della sveglia elettrica sul suo comodino, una delle prime in commercio, grande e luminosa che emanava un chiarore forte e un rumore fastidioso, regalo dalla Germania di mio padre, illuminando tenuamente la parte del letto dove dormiva mia madre e il suo angolo della stanza.
Ma lei lo sapeva che illuminava e da furba andò a spogliarsi in fondo al letto, dove quel chiarore non arrivava; vidi solo la sua sagoma denudarsi, assieme alle ombre delle braccia alzarsi in alto per togliere la maglietta e poi il fruscio della gonna che ripiegava e metteva sulla sedia.
Intuivo cosa facesse, ma non riuscivo a vedere bene, la sua forma si era piegata in avanti e si era tolta anche le mutandine e la vidi portare le braccia dietro la schiena, sganciarsi il reggiseno e toglierlo per posarlo sulla sedia, intravvedendo il profilo del suo seno.
Sapevo che mia mamma, allora come molte siciliane dormiva senza mutandine, al loro posto mettevano in mezzo alle gambe un panno o fazzoletto di stoffa piegato come un assorbente, che poi toglievano al mattino. Era una loro usanza che si tramandavano da madre a figlia e che molte donne praticavano.
La intravvidi poi alzare le braccia e infilare la camicetta da notte... mettersela a posto, aggiustarla al buio pur senza vederla. Nello scuro la sentii entrare nel letto, sentii il suo profumo forte, inebriante, non vidi niente se non la sua sagoma al chiarore della sveglia, ma la immaginavo.
Si girò dandomi le spalle, mentre io mi giravo a petto in su.
“Adesso dormiamo!” Disse.
Faceva un caldo tremendo e in più con la finestra chiusa, si sudava.
Ogni tanto la chiamavo ... “Ma! (Mamma!).”
“Che c’è?” Rispondeva sempre girata dandomi le spalle.
“Dici che lo prendono a quel rapinatore?”
“Non lo so, noi ci facciamo gli affari nostri e basta. Dormi ora!” Mi rispose.
Sembrava scocciata che io fossi lì, dormiva girata e distanziata da me.
Poi ci addormentammo, ma ero agitato ed eccitato, sentivo il suo profumo intenso e buono che mi piaceva.
Mi svegliai dopo un’ora circa, ero sudato e sentivo il ronzio elettronico della sveglia digitale sul comodino di mamma, la sua luce in quel buio dava un po’ di chiarore al suo viso e sul letto.
Mi chiedevo come facesse a dormire con quel brusio elettrico fastidioso della sveglia e con quel caldo, io non ci riuscivo.
Mi dava le spalle, anche lei sudava, sentivo forte il suo profumo spandersi nell’aria con il caldo, lo respiravo.
La sua camicetta da notte leggera muovendosi nel letto le era salita un po’, arrotolandosi sopra e sotto, lasciando fuori le cosce, coperte poco più in basso dal lenzuolino leggero. E la sentivo respirare.
Ci pensavo, mi era passato il sonno con il caldo e mi ero eccitato, mi stava venendo duro. Restai fermo in silenzio, lei non si muoveva, la sentivo respirare, avrei voluto toccarla, ma avevo paura.
La chiamai sottovoce: “Ma!... Ma!” Ma non rispondeva: “Dorme.” Pensai.
Restai ancora fermo immobile e poi sempre più eccitato con il cuore che mi batteva fortissimo riprovai ancora: “Ma!” Quasi sussurrato.
Nessuna risposta. Inconsciamente ne ero contento. Sapevo che rischiavo tantissimo, ma non resistevo.
Feci trascorrere ancora qualche minuto, poi come stirandomi allungai leggermente e lentamente la mano verso il suo sedere, strisciando le dita sul lenzuolo finché non lo raggiunsi, tremolante lo sfiorai, osando di più fino a toccarlo con i polpastrelli.
Sudavo, con il cuore impazzito, avevo una sensazione mai provata, bellissima, di paura e piacere.
Non lo vedevo in quel buio, ma lo immaginavo e toccavo con la leggerezza di una piuma per paura che mi sentisse e si svegliasse. Fermando addirittura il respiro quando i polpastrelli lo sfioravano.
Era bello, una pelle liscia, vellutata, calda e morbida. Non sapevo fino dove potevo spingere il gioco. Ma ero eccitato, feci scorrere le dita piano dalla natica quasi da non toccarla, in giù, scesi sulla coscia posteriore, fingendo di muovermi nel sonno. Con pazienza e il mio lento muovere della mano che appariva casuale, avevo abbassato il lenzuolino e scoperto le sue gambe, sollevato il lembo posteriore della camicia da notte leggera in su, intravvedendo il retro delle sue cosce affusolate e il suo sedere in quella posizione sporgente; pieno e tenero, che io da dietro guardavo in penombra osservando il solco intergluteo. Pensavo a quello che aveva detto Vanni alla spiaggia quando l’aveva vista spogliarsi. “Io a questa donna il culo ci farei! Guarda che culo che ha!”
Era in semioscurità. Cominciai lentamente e leggermente a sfiorare la pelle del sedere, le accarezzavo delicatamente il culo fingendo di dormire, se si fosse svegliata e avesse detto qualcosa, le avrei detto che era stato un gesto casuale, un mio movimento involontario nel sonno, che nel girarmi l’avevo toccata, e mi sarei scusato.
Vidi con le palpebre socchiuse che era ferma, dormiva o almeno a me sembrava.
Lo toccavo, per la prima volta accarezzavo il culo di una donna, che era anche quello di mia madre, ma non mi importava, mene fregavo, in quel periodo, ero sciagurato, eccitato e mi piaceva. Aveva la pelle liscia, vellutata, era carnoso, bello, rotondo e caldo.
Avevo il cazzo duro, tanto duro che non stava più nelle mutandine e usciva fuori dritto con la cappella dall’elastico, che me lo tratteneva adeso all’addome, che se le avessi abbassate un poco, sarebbe svettato dritto, verticale e in alto come un pennone.
Pensavo sempre a Vanni in quel momento e alle sue parole e mi eccitavo di più e sfioravo di più e volentieri. Volevo masturbarmi contemporaneamente accarezzandolo.
Sapevo che era un sacrilegio quello che facevo, ma volevo farlo lo stesso.
A un certo punto, mamma si mosse e si girò con la pancia in su, retrassi subito veloce la mano e feci finta di dormire, fermo immobile, con gli occhi chiusi, trattenendo nuovamente il respiro.
Poi dopo alcuni minuti che era immobile, la guardai, tirai su leggermente la testa, sembrava dormisse.
Vedevo il suo profilo contro il chiarore della sveglia.
Aveva gli occhi chiusi e sotto la camicetta da notte scollata, il seno gonfio, superbo, turgido si muoveva con il respiro, i capezzoli duri e dritti spingevano appuntiti sul tessuto, ma a quell’età non sapevo cosa significassero i capezzoli dritti e duri, lo scoprii in seguito che erano un segno del suo eccitamento.
Restai fermo ancora qualche minuto, sudato, poi piano piano spostai la mano verso di lei facendola camminare con le dita sulle lenzuola, come quando giocavo, fino ad arrivare al suo fianco destro.
Guardai, era nuda sotto, la camicetta da notte davanti le era salita all’ombelico e si intravvedevano i peli neri e folti della figa.
Mi si mise a battere il cuore forte, tanto che avevo paura che lo sentisse.
Avevo la sua figa a pochi centimetri da me, quella figa che avevo visto alla spiaggia spiandola dentro la cabina con quei miei amici, Turi e Vanni e che l’avevano visto anche loro. Avrei potuto toccarla.
Restai fermo e poi piano con la mano salii, fino ad arrivare sulla sua pancia, lievemente l’appoggiai aperta sul suo ventre. Lo sentivo muovere sotto il respiro. Mi piaceva era caldo, morbido, appena pronunciato al centro, residuo della mia gravidanza, era quel ventre che mi aveva generato, lo accarezzai piano, avrei voluto baciarlo.
Per prudenza prima di spingermi più in giù, la guardai ancora, aveva gli occhi sempre chiusi.
Allora fermando il respiro come facevo quando andavo sott’acqua, con cautela feci scendere le dita piano, strisciandole leggermente sul ventre, fino ad arrivare giù nella sua foresta di peli neri e sentirli con i polpastrelli.
Restai un momento fermo e inebriato a godermi quel contatto, quel momento che consideravo uno dei più belli della mia vita, ma non sarebbe stato l’unico, ne avrei vissuto di più belli.
Scendendo di più con le dita sui peli, avvertii che il suo cespuglio era folto e gonfio.
Sentivo i peli tra le dita, li sfregavo tra i polpastrelli, li accarezzavo, ero eccitatissimo, non li vedevo in quel momento ma li sentivo e l’immaginavo neri, ricci e soffici, come l’avevo visti nelle mie spiate.
Scesi ancora giù ed ebbi una strana sensazione, non erano più asciutti come nel margine, ma al centro li sentii attaccaticci, come se fossero bagnati.
Fui sorpreso da quella percezione e mi diede una stana sensazione di eccitazione sentirli umidi.
Non sapevo perché, ma per reazione mi eccitai di più, il mio cazzo duro oscillava da solo ormai fuori dalle mutandine, sbattendo forte sul lenzuolo del materasso, sembrava volesse esplodere.
Il gioco mi stava prendendo la mano e il desiderio cresceva in me.
Attorno a noi tutto era silenzio, solo quello strano ronzio della sveglia, la sua luce e le mie dita a lambire il suo cespuglio peloso.
Avevo le palpitazioni al cuore e l’eccitazione mi faceva perdere la razionalità, quella poca che può avere un ragazzo e osai di più, col dito medio cominciai ad accarezzare lentamente e superficialmente il pelo pieno e consistente, spostandolo quel tanto che permetteva al dito di entrare tra esso.
Ero sopra il solco del suo sesso, spinsi tra i peli e con il dito sentii la sua fessura, umida più dei peli, non unita ma dischiusa centralmente.
Muovendo il dito lateralmente sentii le due grosse labbra vaginali, anch’esse umide, gonfie, calde e pulsanti, le immaginavo rosee come le foto delle riviste pornografiche che guardavo, spiccare tra il nero dei peli e il biancore della pelle.
Rimanendo sempre sdraiato, preso da una eccitazione perversa che aumentava sempre più e si impadroniva di me, premetti ancora di più e inserii l’inizio della falange nel centro della fessura che avvertii bagnata, impregnata di umori, sembrava che lentamente aumentasse l’acquosità dentro di lei e sull’entrata della vagina.
Alzai eccitato leggermente il capo, per vedere quello che stavo riuscendo a fare con i miei gesti.
Fu a quel punto che la sentii muovere. La guardai allarmato, aveva gli occhi chiusi.
D’istinto cercai di ritrarre la mano.
Ma sentii la sua posarsi sopra la mia, comprimendola di più sui peli, sul sesso, su quella fessura bagnata.
Ero sorpreso, sbalordito e intimorito, una scossa mi pervase tutto il corpo, nel sentire la mia mano, prigioniera della sua, premere sui peli, ero stato ancora colto sul fatto, avevo tradito la sua fiducia, il nostro accordo e fui preso dal batticuore e dalla paura di una sua reazione.
Capii che era sveglia, ma restava ferma e in silenzio, non diceva niente continuando a tenermi la mano pressata sopra la sua figa, che mi accorsi essere calda.
“Forse sogna…” Pensai: “E crede che sono il papà!”
E neppure io mi mossi, sudato e accaldato, restai fermo, impassibile, con la mia mano sotto la sua.
Il mio viso avvampò per la sorpresa, come dicevo fui preso dalle palpitazioni, dalla paura e dalla vergogna di essere stato scoperto.
La sentii sospirare forte, mentre teneva ancora gli occhi chiusi.
Per alcuni secondi che mi sembrarono una eternità, non sentii nessun rumore, solo il ronzio della sveglia. Avevo il viso congestionato dall’emozione e dal calore, la curiosità aveva avuto il sopravvento su di me facendomi perdere il senso del limite.
Avvertivo distintamente il suo respiro farsi affannoso.
All’improvviso sentii il fruscio sul lenzuolo e le sue gambe piegarsi, alzarsi e allargarsi e la sua voce tremante e sussurrata dirmi nel silenzio della camera:
“Avvicinati!... Sdraiati su di me!”
Solo a quelle parole attenuò la pressione sulla mia mano lasciandola libera, la tolsi umida da sopra il suo sesso e tremolante d’istinto mi girai su di lei, salii sopra abbassandole e scavalcando la coscia, per poi scendere e trovarmi tra le sue gambe larghe, in mezzo a lei come avevo visto fare a mio padre. Tutto avveniva al buio, senza vederci in volto.
Non una parola, solo il silenzio, il nostro respiro che era diventato affannoso e il fruscio delle lenzuola e dei nostri corpi che si muovevano. Il mio che saliva sopra il suo.
Sentii la sua mano toccarmi il torace, scivolare sull’addome e poi scendere e afferrare come se fosse un manico il mio cazzo dritto e durissimo, portandolo, tirando verso la sua figa, “u sticchiu” come la chiamavamo noi.
Appena mi toccò la minchia con la sua mano calda e tenera ebbi un fremito e un sospiro di piacere per tutto il corpo.
Ero in mezzo a lei a gambe piegate e larghe come avevo visto nelle riviste pornografiche, tutte e due incoscienti ma eccitati da quello che stava per accadere.
Tirò il mio cazzo verso il suo sesso, sentii nel buio la mia cappella strusciarsi sopra i suoi peli.
Lo fece più volte lentamente passare su e giù lungo la fessura, sfregandolo, probabilmente le piaceva così.
Aveva sempre gli occhi chiusi come a dissociarsi a negare quello che stava facendo.
Poi lo fermò e lo sentii appoggiare tra i peli al centro della fessura, pulsante, calda, bagnata e dischiusa.
Lo teneva fermo con la mano tra le sue grandi labbra.
“Spingi! Spingi!” Mormorò ansimante, mettendomi una mano dietro il sedere.
“Infilalo!... Infilalo dentro!” Sussurrò ancora con voce tremante e rauca.
Sentivo le sue labbra vaginali aprirsi alla mia spinta, lasciare con la mano il mio cazzo a proseguire da solo per penetrare in lei, portare il braccio dietro il mio collo e la mano sulla schiena e tirarmi su di lei, mentre lo sentivo entrare sempre di più nel caldo e nell’umido, tutto, fino in fondo al suo sticchiu (figa) lo infilai.
Quando lo introdussi tutto, ebbe un sussulto, un gemito forte, la sentii muoversi e inarcare la schiena mentre con le mani, una sul sedere e l’altra sulla schiena mi tirava su di lei.
Ero eccitatissimo e felice. Non potevo credere che si era realizzato quello che tantissime volte avevo desiderato e spiato.
Nella foga aprì la camicetta da notte, che spalancata andò sotto il seno, lasciando uscire le mammelle, che intravvedevo, accarezzandole timorosamente.
Mi stringeva forte con le braccia, muovendo anche lei il bacino contro di me. Parlava con dei sussurri.
“Adesso muoviti!... Fai avanti e indietro piano!”
Ubbidivo, seguivo quello che mi diceva in silenzio, ero eccitatissimo, stavo fottendo una donna, mia madre e mi stava insegnando a fare sesso “a ficcari” come diciamo al sud.
Iniziai a muovermi lentamente mentre lei mi stringeva e mi baciava il viso e le spalle, dandomi le istruzioni e i tempi per il ritmo...
“Più forte adesso!... Più forte!... Muoviti più veloce! Infilalo tutto!! Infilalo forte fino in fondo.” Sussurrava.
Era infervorata, godeva e io le ubbidivo contento, la sentivo ansimare, capivo che stava provando piacere, era mia madre che stava godendo con me… Ero io che la facevo godere, per la prima volta in vita mia scopavo una donna anche se era mamma.
Si muoveva anche lei col bacino venendo incontro ai miei colpi, alle mie spinte. In un godimento crescente portò le sue cosce contro i miei fianchi stringendoli e i piedi sopra il retro delle mie cosce spingendomi verso lei.
La sentivo esaltata godere, la figa fradicia di umori sguazzare a ogni colpo che davo, crescere in lei il desiderio di essere accarezzata da altre mani che non fossero le sue o quelle di suo marito.
Teneva sempre gli occhi chiusi, credo che non capisse più niente tanto era accalorata e coinvolta, l’astinenza e il desiderio le avevano giocato un brutto scherzo, avevano scavalcato il suo pudore, la sua vergogna, la fedeltà e il rispetto per suo marito, mio padre.
All’improvviso aprì gli occhi e tenendomi il viso tra le mani mi guardo fisso, per pochi secondi, poi gli occhi dal piacere si socchiusero di nuovo, disse solo: “Luccio!”
“Sì!” Risposi io e la sentii godere più forte e stringersi forte a me baciandomi dappertutto. Ansimando e gemendo.
Sentivo gli spasmi della sua vagina stringermi il cazzo.
Interruppe il suo gemere solo per dirmi preoccupata con voce calda e soffocata:
“Non venire dentro Luccio. Vieni fuori, sulla pancia. Tiralo fuori quando senti che stai per venire.”
Anche lei oramai era preda all’ebrezza del piacere, coinvolta in quell’amplesso incestuoso.
Per me era la prima volta e non avevo pratica di come si faceva, avevo paura, non sapevo se mamma prendeva qualche precauzione ed ero a conoscenza che poteva restare incinta se le venivo dentro, ma seguivo tutto quello che mi diceva, lei sapeva come fare.
Ero estasiato! L’astinenza su di lei si era fatta sentire all’improvviso, il desiderio di un uomo, di un maschio come diciamo noi era prevalso sulla sua fedeltà e rispetto per mio padre. Non era più una vedova bianca ora o almeno, lo era solo in apparenza per gli altri. Probabilmente se non fosse capitato con me, sarebbe successo con un altro, e sarebbe stato peggio.
L’amplesso durò una decina di minuti, poi ebbe l’orgasmo, fremendo e tremando tutta, si inarcò stringendomi, accarezzandomi dappertutto e baciandomi sul volto, trascinandomi in quelle emozioni e sensazioni piacevoli, sentivo le contrazioni forti della sua vagina stringere la radice del mio pene quando godeva. Erano sensazioni belle, mai provate.
In quel momento scelleratamente ero un ragazzo felice, estasiato, stavo facendo godere una donna, anche se era mamma.
Venne e io quasi di seguito, su suo ordine lo tirai fuori quando me lo disse, lei lo prese con una mano e lo masturbò appena, facendomi sborrare, con getti forti e potenti, che superarono il ventre per cadere sul seno gonfio e sodo, sull’areola del suo capezzolo dritto e turgido.
Eravamo fradici di sudore, caddi stanco e sfinito su di lei, sulla mia sborra e restammo così fermi e abbracciati per qualche minuto mentre lei mi accarezzava i capelli e baciava la fronte.
Nessuna parola, solo il silenzio, ci abbracciavamo.
Poi mamma si alzò, al buio si tolse la camicetta da notte bagnata fradicia, aprì e frugò in un cassetto, vedevo la sua sagoma nuda muoversi, mi passò un asciugamano dicendomi:
“Sciugati!!” (Asciugati!)
E lei con un’altro fece lo stesso.
“Vado in bagno.” Mi bisbigliò aprendo la porta e accendendo la luce del corridoio e per un attimo prima che la richiudesse la vidi bellissima e nuda uscire.
Pochi minuti e ritornò lavata e profumata a sdraiarsi vicino a me al buio dicendomi: “Vatti a lavare!”
Ero stanco, spossato, non avevo più la forza di alzarmi:
“No mi lavo domani!” Risposi.
Allora mi accarezzò di nuovo i capelli e mi diede la mano:
“Ora dormi!” mi sussurrò e ci addormentammo così mano nella mano… come due amanti.
La mattina dopo mi svegliai, mamma non era nel letto, le finestre erano aperte ed entrava la luce del sole, avevo di nuovo ancora la minchia dura come ogni mattina.
Mi alzai e andai in cucina e la vidi preparare la colazione, quando si accorse che c’ero io, mi sorrise:
“Mangia!” Mi disse allegra “Che poi devi andare con il nonno.”
Il suo sguardo tenero, cadde sul mio basso addome, dove si notava la minchia ancora dura intrappolata dentro le mutandine, che gonfia spingeva per uscire. Sorrise guardandola ma non disse nulla.
Si sedette anche lei a tavola e facemmo colazione.
“Lo hanno preso stanotte il rapinatore. Lo ha detto la radio.” Esclamò sorridendo. “Meno male, così non ci spaventa più!” Dichiarò.
Nessuna parola su quello che era successo, sembrava una mattina come le altre, facevamo le stesse cose come se non fosse accaduto nulla quella notte.
Finita la colazione mi alzai da tavola e andai in bagno a lavarmi, avevo ancora il cazzo appiccicoso degli umori oramai asciutti del godimento di mamma della notte appena passata, che seccandosi davano prurito e il torace sporco del mio sperma, di quando, sfinito, mi sdraiai su di lei appoggiandomi al seno ricco della mia sborra, impiastrandomi.
Mentre ero in bagno entrò, mi vide nudo, mi passò l’asciugamano pulito e i vestiti senza guardarmi.
Ero pronto per uscire da casa, lei mi aspettava come sempre sull’uscio, mi avvicinai e la baciai sulla guancia come facevo sempre, mi girai per andare quando mi chiamò: “Luccio...”
Ci fu una pausa, era emozionata, poi accarezzandomi amorevolmente il viso e la fronte prima di baciarla ancora, guardandomi negli occhi mi sussurrò all’orecchio:
“Quello che è successo stanotte nessuno lo deve sapere.”
Feci cenno di sì con la testa sorridendo e mi avviai, quelle furono le uniche parole per quello che era successo quella notte.
Ci pensavo e ripensavo, mi era piaciuto, ed era piaciuto anche a lei, l’avevo fatta godere e mi sentivo maschio, ma era mia madre e questo un po’ mi dispiaceva, aveva tradito papà con me.
Non me ne intendevo di femmine fottute (chiavate) e godimenti, ma avevo capito che aveva gioito e goduto con me.
Pensai che anche se era mia mamma, era una femmina come tutte le donne e quando sentì avvampare il fuoco nello sticchiu (figa), si scordò di papà e si lasciò andare al piacere che la pervase, e quindi non c’era niente di male se lo facesse con me al posto di mio padre, in fondo ero suo figlio, della famiglia e quindi non erano corna per mio padre da come la vedevo io e, in seguito, convinsi a vederla così anche lei.
Era una donna calda mamma lo capii anch’io. Come si dice da noi:
“Aveva l’Etna in mezzo le cosce che le incendiava la figa.”
Da una parte avrei preferito “Ficcare” (Chiavare) con un’altra donna per non peccare, ma mi piaceva molto e la desideravo e anche io a lei piacevo molto, ero bello e le ricordavo molto il papà da giovane.
Ma fu meglio così, se mamma avesse ceduto a qualcuno dei suoi corteggiatori sarebbe stato molto peggio.
Papà sarebbe stato “beccu” (cornuto) di qualche suo paesano, con il rischio che lo avrebbero saputo in paese e mamma sarebbe stata disonorata.
Almeno in quel modo era tutto in famiglia pensavo. Ma il mio pensiero principale quel giorno era:
“Chissà se lo rifaremo? Se lei vorrà ancora?”
Ero stato come in paradiso e volevo ritornarci. Il pensiero mi tornava spesso tormentandomi, la desideravo, la volevo ancora, ma lo avrei saputo solo quella sera.
Non sapevo!... Anzi non sapevamo ancora!... Che quella notte era iniziata tra noi una situazione incestuosa che sarebbe durata per ben sei anni quasi, finché non fosse tornato mio padre stabilmente a vivere e lavorare in paese e io mi sarei sposato.
Dopo essere stato tutta la mattina con il nonno ad aiutarlo a mettere a posto nel garage, tornai a casa per pranzo, mi aveva preparato tutto per bene, un pranzetto con i fiocchi, mi lavai e pranzammo guardando la nostra tv locale, TVE Teletna.
Mamma mi appariva allegra, la sentivo felice anche se non lo dava da vedere, era per carattere ed educazione chiusa, riservata, una donna di poche parole, era così lei, ma anche se non esternava i suoi sentimenti, li percepivo.
Pranzammo come se non fosse successo niente guardando la tv, mamma cambiò canale, mise canale cinque, ricordo ancora che in quel periodo c’era “Il pranzo è servito” a mezzogiorno, condotto da Claudio Lippi e io e mamma lo guardavamo sempre cercando di indovinare i quiz.
Ma i miei occhi cadevano sempre su di lei, sulla sua scollatura, sul suo seno e le sue forme accentuate, i fianchi e il sedere.
Se ne accorgeva, ma non diceva niente, lasciava che guardassi.
Il pomeriggio lo passai in camera mia a studiare, lei fece le faccende di casa, lavò gli indumenti, li stese, stirò e poi si preparò per andare a fare la spesa.
La guardai quando fu pronta, era bellissima con i suoi capelli lunghi e neri sciolti sulle spalle che rendevano il viso ancora più chiaro e gli occhi due perle scure, si era messa anche un po’ di rossetto scarlatto sulle labbra.
Era molto bella e attraente, indossava un bel vestito colorato arancio, con disegni rossi e gialli come si usava allora, un po’ stretto alla vita, che risaltava tutte le forme del corpo, rendendola sensuale e sexy.
Non lo faceva mai quando non c’era papà di truccarsi e vestirsi in modo appariscente, lui non voleva, ma quel pomeriggio era allegra e lo fece dicendomi:
“Mi accompagni Luccio?!”
Fui sorpreso ma felice di quella richiesta.
“Sì Ma!” Risposi deciso e fiero di accompagnarla e uscimmo.
Per strada e nei vari negozi era ammirata, colpita dagli sguardi desiderosi degli uomini e di qualche donna invidiosa. Io ero orgoglioso di essere in giro con lei, al suo fianco, come se fossi stato suo marito, il suo uomo. La guardavano tutti, anche i miei amici seduti fuori dal bar, sapevo del soprannome che le avevano dato in paese: «A... Sticchiusa.»
E dei mormorii e apprezzamenti volgari che facevano in dialetto quando la vedevano passare o entrare in un negozio.
“È passata adesso, adesso «a sticchiusa!» (la figona!) Oppure: «È entrata nel negozio la figona, l’altezzosa, con il suo profumo di femmina che ti invoglia. Ti attira!»
Ma nessuno si permetteva di dirlo direttamente, ma solo dietro le spalle, ne sparlavano e spettegolavano soprannominandola così.
Anche mamma sapeva che la chiamavano a... Sticchiusa in paese … In Sicilia tutti abbiamo dei soprannomi, più o meno per come siamo o quello che facciamo e non ci si fa caso, è normale.
E poi a mamma, sotto sotto, faceva piacere essere soprannominata Sticchiusa (Figona, altezzosa) ne era contenta e compiaciuta e ne provava piacere anche se faceva apparire che non le piaceva.
Al rientro a casa verso le 18.00 io mi misi a guardare la tv, mentre lei preparava cena.
Si era cambiata, aveva di nuovo messo quel vestitino da casa stretto che le evidenziava le forme e raccolti tutti i capelli sulla testa in modo disordinato, selvaggio, tenuti da mollette e forcine ma che lasciavano cadere ciuffetti e filamenti sul viso e sulle spalle, che la rendevano molto sexy ed eccitante; si era tolto anche il rossetto dalle labbra, ritornando ad essere madre e casalinga.
L’avevo avuta, posseduta, “ficcata e fottuta” come diciamo noi in Sicilia, ma non sapevo come era fatta nell’insieme, avendola tastata in parte, accarezzata nel semibuio della stanza non vedendo quasi nulla di lei …immaginandola soltanto!
Involontariamente mi venne il pensiero: “Chissà come ha la figa ora? ...E il seno? ...Se sono eccitati?”
Mi sarebbe piaciuto vederli, ma non avevo il coraggio di chiederglielo, ero ancora timoroso di lei.
Indossava quella veste leggera, chiara con fiori disegnati e chiusura davanti a bottoni che le arrivava a metà coscia, stretta alla vita da una cintura della stessa stoffa.
Quell’abito dismesso le evidenziava le mammelle senza reggiseno e le fasciava stretta il corpo seguendo i suoi rilievi, lasciando le braccia nude, il sedere vistoso protruso indietro e il ventre leggermente pronunciato.
Tanto le era stretto quel vestitino che lasciava intravvedere il rilievo dell’elastico delle mutandine sulla stoffa leggera.
Ai piedi calzava l’infradito rosa. L’abbigliamento era quello di sempre, da casa, tranne per la mancanza del reggiseno, che aveva detto, durante la sua predica del giorno prima, che non sarebbe più stata senza in mia presenza.
Invece era di nuovo provocante e tentatrice e lei lo sapeva.
Mi osservava guardala, si accorgeva che la scrutavo con i miei occhi neri.
“C’è qualcosa che non va?” Mi chiese accorgendosi che la fissavo. Io arrossii improvvisamente e balbettai:
“No! No!... Va tutto benissimo!” E girai lo sguardo da un’altra parte.
Ma tutte le volte che mi voltavo verso di lei, il mio sguardo si posava sul suo seno o il sedere e lei se ne accorgeva.
All’improvviso ruppe il silenzio dicendo:
“Ti deve piacere molto il mio seno se lo guardi sempre!... Stai diventando uomo e guardare il seno di una donna ti attrae, ti eccita?” Mi domandò. “Perché lo guardi?”
“Niente! ...Niente!” Risposi imbarazzato, guardo così!
Avevo dato una risposta generica che diceva sì e no e non diceva niente allo stesso tempo, ma non sapevo cosa rispondere, né come comportarmi, era la prima volta che mi parlava in quel modo, da donna e non da mamma. E continuò:
“Ti deve piacere davvero molto il mio seno… Non mi hai staccato gli occhi di dosso da quando siamo entrati!”
Colto di sorpresa e di nuovo in flagrante, balbettai qualcosa; scusandomi nuovamente con lei, feci per alzarmi e andare via mortificato, ma mi fermò.
“Dove vai? ...Non c’è niente di cui scusarsi alla tua età. Anzi!!... Sono lieta che ti piaccia, vuol dire che lo trovi bello e attraente, e questo mi fa sentire molto femmina. E poi se lo guardi, significa che sei masculo (maschio) e ti piacciono i fimmini!” Affermò in dialetto facendomi cenno di fermarmi.
Poi continuò come per giustificarsi di come era vestita:
“Ci sono giorni in cui il reggiseno mi dà fastidio e mi provoca irritazione sotto le mammelle e le ascelle. Non averlo in casa, mi fa sentire più libera e a mio agio. Tuo padre lo sa. Lo facevo anche quando c’era lui, spero che non ti dia fastidio se sto a casa così?” Domandò imbarazzata.
“No! Che dici mamma? È... È … bellissimo, non mi dà fastidio. L’importante e che tu ti senta bene e a tuo agio.”
Era la prima volta che parlavamo così apertamente di me, di lei e del corpo femminile e di quello di mia madre in particolare, di queste cose insomma, nemmeno lei lo aveva mai fatto se non con mio padre.
Stavamo iniziando ad abbattere una barriera, un tabù che in Sicilia in quegli anni era ancora molto forte, parlare di queste cose tra madre e figlio.
Sia io che mia madre, avvertivamo la sensazione di “proibito” che circondava certi argomenti, specialmente tra genitori e figli e in un certo senso ne eravamo eccitati.
“Le vuoi vedere (i minni?) le mammelle?” Esclamò all’improvviso rossa in viso, con un sorriso imbarazzato e vergognoso guardandomi quasi intimorita.
Restai in silenzio, sorpreso e sbalordito da quella offerta, mi batteva il cuore forte, poi annuii con il capo senza dire una parola, anch’io imbarazzato e rosso in viso come lei.
Il mio giovane sguardo silenzioso l’accarezzava, scivolava lungo il suo corpo soffermandosi sul seno, sulle gambe e sui piedi. Aveva anche dei bei piedi mamma, con le unghie smaltate e ben curate.
Sorrise timida del mio consenso silenzioso, quasi per assolversi di avermelo proposto, era in preda a uno strano stato di ansia e di fermento che la invadeva, ed esclamò con voce tremante e impacciata per giustificarsi:
“Sono tua mamma e questo seno l’hai succhiato per mesi e mesi con piacere tuo e mio quand’eri piccolino. E non c’è niente di male se lo vedi.”
Dicendo così, con le dita tremanti si sbottonò sul davanti il vestitino da casa, bottone per bottone fino all’ombelico, partendo dall’alto, aprendolo a poco a poco, scostando i lembi della veste dal torace con mano leggera, scoprendo completamente le sue mammelle bianche, gonfie, dai capezzoli rosa, durissimi e dritti e le porse in fuori, mostrandomele a farmele vedere in tutta la loro magnificenza.
Da adulto provai a ragionarci sopra, a pensarci più volte e a chiedermi perché fece quella proposta e quel gesto così sfacciato nei miei confronti, che non era da lei. Provai a pensare come si sentisse in quel momento psicologicamente.
Certo era eccitata e mostrarmele le dava piacere, ma forse si sentiva anche sola, forse voleva essere diversa e instaurare con me un rapporto differente o forse era solo esaltata e accalorata di quello che avevamo fatto sciaguratamente la notte prima da non capire più niente e scopriva il desiderio carnale, la voglia di essere guardata, toccata, posseduta da un maschio dopo tanti mesi e io seppur giovane e suo figlio, lo ero.
Sapevo che le costava fare quel gesto di sua iniziativa, si vedeva in volto che si vergognava di quello che faceva, era contro i suoi principi morali, religiosi e la sua educazione, eppure mi sorrideva contenta mostrandomeli, come se fosse felice di farlo, come se volesse il mio giudizio.
Probabilmente anche lei dopo la notte passata con me, durante il giorno ci pensava.
Dopo tanta astinenza più forzata e subita che voluta, imposta dalla circostanza dell’assenza di mio padre, dall’amore e dalla fedeltà per lui, e dalla repressione del suo corpo e della carne calda, era comprensibile vista la sua ancora giovanile età adulta, 37 anni, che fosse in preda alla sessualità e al desiderio carnale. E credo che come a me interessasse poco o niente sapere che era mia madre, come a me che fossi suo figlio. Penso che per lei giovane donna in calore in quei momenti sia stato lo stesso.
Io guardavo in silenzio a bocca aperta con gli occhi luccicanti e vogliosi, come un ragazzino davanti ai regali.
Era eccitata. Per un attimo chiuse gli occhi vergognandosi di mostrarmele e di guardarmi, ma li riaprì subito. Ero estasiato davanti al suo seno davvero superbo, bello, gonfio, che usciva prepotente da quella veste logora e sottile scendendo in basso, per poi girarsi su con i capezzoli dritti puntati in alto. Era meraviglioso.
“È bello mamma!” Esclamai turbato dalla sua azione e rapito da quella visione.
Lei ne era fiera, orgogliosa di mostrarmelo e felice che lo apprezzassi nella sua spettacolarità, sensualità e sessualità e non solo come parte materna, anche se ogni tanto chiudeva gli occhi timida.
Oggi sono sicuro che era bagnata nella figa quando me lo esibiva. Ma allora non lo sapevo.
Lo guardavo incantato, non c’era niente di male in quell’intimità che si rivelava piacevole per tutti e due.
All’improvviso parlò con voce rotta ed emozionata, imbarazzata, deglutendo la saliva, mentre le dita delle mani continuavano nel tremolio a sporgerlo, e come a motivare quel suo gesto disse:
“Non c’è niente di male vedere il seno della propria madre. Sono le mammelle che ti hanno allattato.”
La guardai bene. Rimasi in piedi davanti a lei ad ammirarla mentre con le mani continuava a tenere aperta la veste sul petto, mostrandomi sorridendo spudoratamente le sue mammelle, grandi, pallide, con le areole e il capezzolo grossi, rosa e turgidi. Capii poi da adulto che era eccitata nell’esibirlo e questo forse era una tendenza sessuale che aveva, reprimeva e soffocava per tradizione, usanza, moralità e paura, ma che le piaceva fare e se avesse potuto mostrarsi… lo avrebbe fatto.
La cosa mi piaceva, mi dava uno stato di ebrezza particolare, la visione delle sue mammelle mi teneva in contemplazione su di loro.
Come dicevo, era esaltata anche mamma, direi eccitata da quello che stava facendo e davanti al mio sguardo morboso sussurrò con voce suadente ma esitante: “Toccale pure se ti fa piacere.”
Incredulo di quella proposta, mi avvicinai tentennante e insicuro e allungando una mano, le accarezzai il seno sinistro, bello, liscio, caldo, morbido e pieno. Scivolando la mano sulla sua pelle chiara e marmorea, vidi le venuzze azzurre del sottocute contrastare il suo bianco candore, su quella mammella, erotica e materna, sempre protetta dagli sguardi e dal sole, dove il limite delle ciocche dei suoi capelli neri, quand’erano sciolti gliele sfioravano.
La sentii fremere, infiammarsi, il suo sguardo socchiudersi e girare in alto per un attimo, sentivo il cuore batterle sotto la mammella forte e veloce, come impazzito, farsi sempre più rapido tanto da percepire il palpito sul palmo della mano.
Lei mi sorrideva turbata e materna, provando in realtà un piacere incredibile a farsi vedere e toccare il seno da me, era un aspetto di lei che apprendevo in quel momento e iniziavo a conoscerla anche sessualmente.
Quando poi le mie dita sfiorarono il margine dell’areola e il capezzolo, ebbe un sussulto quasi violento. Sobbalzò chiudendo gli occhi.
“Ti ho fatto male?” Chiesi educatamente. “No! Niente!” Rispose riaprendo gli occhi.
Come dicevo mamma allora era una giovane donna di 37 anni, che mi aveva avuto a 22 anni, era una giovane signora, calda e in astinenza forzata e anche se non conoscevo il corpo femminile, posso dire oggi che il suo corpo ribolliva ad essere sfiorato dalla mia mano in modo dolce e delicato, quasi fanciullesco, con dita sensibili, sulla sua pelle di donna calda e fremente.
Mani maschili che ogni femmina calda vorrebbe sentire sul suo corpo, che accentuavano il desiderio e diminuivano le resistenze psicologiche. L’astinenza e la mancanza di sesso da parte di mio padre o di un uomo qualsiasi, e il desiderio di quelle mani le faceva dimenticare il rispetto e la fedeltà per suo marito e che io ero suo figlio.
In un attimo si rese conto che forse si era spinta troppo e si era trovata prigioniera della voglia che si stava trasformando in smania di piacere.
Vergognandosi improvvisamente esclamò: “Basta! ...Basta, ora hai visto!”
Staccando la mammella dalla mia mano, mentre con lo sguardo basso e imbarazzato, le reintroduceva dentro la veste, richiudendola impacciata senza abbottonarlo, tirando solo i lembi per fare prima e andò via a preparare la cena.
Pensai dal modo che aveva reagito che si era pentita di avermelo mostrato, ma ero troppo eccitato e mi faceva male dentro i pantaloni tanto era duro che andai in bagno a masturbarmi.
Lei mi guardò entrare e io la osservai in cucina a guardarmi, i nostri sguardi si incrociarono, sapeva quello che andavo a fare in bagno, che andavo a masturbarmi per lei.
Quella sera dopo cena guardammo un po’ la tv, anche lì sembrava che non fosse successo niente, non capivo come potesse far finta di nulla così.
Sorrideva, parlava dei nonni, dei programmi alla tv, quella sera bevve qualche bicchiere del nostro buon vino siciliano. Sembrava che volesse esorcizzare il suo comportamento nuovo e anomalo, i suoi desideri, quello che era successo la notte prima e nel pomeriggio.
Verso le 23 mi disse che andava a letto, si alzò dal divano uscì dal soggiorno, chiuse tutto come in un rituale, porta e gas, andò nel bagno, dopo alcuni minuti uscì e entrò in camera. Dalla porta del soggiorno dov’ero seduto io potevo intravvedere la camera.
Non chiuse la porta come faceva di solito e con mio stupore si spogliò con la luce accesa, mentre io la osservavo e lei sapeva che guardavo, poi nuda senza camicetta da notte sottile e con la luce sempre accesa camminò un paio di metri passando davanti alla porta della sua camera, facendomi sobbalzare il cuore a vederla apertamente così e si infilò sotto il lenzuolo.
Vidi tutto in lontananza e lei sapeva che vedevo, mi stava provocando.
Mi avvicinai piano allo stipite della porta della sua camera. C’era solo l’abatjour accesa dalla sua parte e lei sdraiata nuda a letto coperta solo dal lenzuolino da metà cosce su fino a coprire le mammelle, che leggeva una rivista di attualità “Gente.”
Mi fermai sulla soglia. La guardai e lei mi guardò distogliendo lo sguardo dalla rivista.
“Che guardi? “Mi chiese sorridendo sdraiata.
“A te!!” Risposi sfacciatamente con il cuore in gola che mi batteva e le gambe che mi tremavano, sudando per la tensione. Lei sorrise. Poi mi feci coraggio e le domandai:
“Mamma! ...”
“Che c’è?” Esclamò lei.
“Posso venire a dormire con te?” Dissi tutto d’un fiato.
Mi guardò silenziosa e non rispose, ci furono alcuni secondi che sembrarono ore, poi sorrise e fece segno al letto, alla parte della sera prima, quella di mio padre, battendo la mano sul materasso due volte, come a dire, vieni!
Entrai e mi disse: “Chiudi la porta!”
Mi avvicinai alla sedia e mi spogliai appendendoci i vestiti e mi accostai al letto sedendomi solo con lo slip sul bordo, per poi sdraiarmi vicino a lei.
Mi avvicinai subito eccitato. L’accarezzai sul ventre sopra il lenzuolino e poi sulle spalle nude, questa volta con l’abatjour accesa, la potevo vedere in volto, ammirare, era bella, bellissima, aveva sciolto i capelli e profumava, mi inebriava e la guardavo fissa negli occhi, timidi, imbarazzati e da sfida, con quello sguardo che solo le siciliane orgogliose hanno; e con la mano tremando presi il lenzuolino e lo tirai, senza che lei lo impedisse. Quando lo tolsi con un colpo di mano deciso, la vidi per la prima volta tutta nuda da vicino, restai a bocca aperta, era bellissima, sdraiata completamente nuda davanti a me, era seducente, piacente e invitante, vedevo la sua figa coperta da un triangolo rovesciato di peli rigogliosi e arruffati, neri come la pece, gonfi che sembrava che il sesso respirasse sotto. Tentennante avvicinai la mano e la sfiorai e poi accarezzai la figa, era calda e infuocata, pareva avesse l’Etna dentro lei, che iniziava ad eruttare voglia e desiderio...
Il cazzo mi venne durissimo, spingeva forte da fare male, si era allungato e la cappella usciva in alto fuori dall’elastico delle mutandine.
Mi chinai e la baciai sulla pelle e la strinsi a me accarezzandola. Poi mi staccai restando a scrutarla.
Contemplavo il suo corpo, il seno maturo che avevo già visto nel pomeriggio, ancora più gonfio con i capezzoli rosa, dritti e duri alzarsi e abbassarsi sotto i suoi respiri, pieno di voglia di essere toccato.
Il chiarore risaltante della fessura della figa, traspariva da sotto il cespuglio di peluria scura, dischiusa, luccicante degli umori dell’eccitazione, pulsante in attesa di me.
Il suo triangolo irregolare di peli folti e neri brillava dal piacere dell’umidità vaginale e delle sue secrezioni, che sembravano rugiada sopra un prato di erba. La guardai a lungo, era la prima volta che vedevo da vicino la figa, viva, palpitante, che respirava e non di carta su un giornale.
Vedendo la mia esitazione bisbigliò:
“Che hai? Sembri spaventato!”
“No! È la prima volta che vedo uno sticchiu (una figa) ... che lo guardo da così vicino.” Risposi.
Sorrise. “È così che è fatto o sticchiu (la figa).” Replicò: “La conoscerai vedrai!” Mormorò.
Era imbarazzata anche lei a mostrarsi così completamente nuda, con la luce accesa, non lo aveva fatto nemmeno con mio padre, credo che fosse l’eccitazione a non farla più ragionare per bene come prima, ed era in un imbarazzo che avremmo perso nel corso dei giorni, dei mesi e degli anni nei nostri futuri incontri.
Accalorata mi disse con voce spezzata e impacciata:
“Toccamela se vuoi!”
Allungai la mano su quel bel fiore dal pelo nero e soffice e l’accarezzai più volte, mi tirò a sé baciandomi ricambiata e facemmo ancora sesso in un bellissimo amplesso.
La penetrai ancora guidato da lei e assieme all’inesperienza la possedetti con foga e passione, sentivo il mio giovane cazzo, la minchia dentro lei affondare dolcemente e piacevolmente, e lei che mi stringeva e ci baciavamo sulla bocca con la lingua contro lingua. Tutto dentro.
Iniziava così la nostra relazione incestuosa e scellerata.
Il tempo passava e il nostro legame incestuoso si era intensificato. C’era complicità è confidenza tra noi. Io a quell’età ero un torello, ce l’avevo sempre duro e volevo farlo tutti i giorni e anche più se potevo, ma mamma non voleva. Lei era soddisfatta di me, più che con mio padre mi diceva, quasi giornalmente la chiavavo e la soddisfacevo e lei sessualmente con me si liberava dei suoi tabù morali ed educativi.
Quell’incontro diventò una relazione, ci desideravamo e con il tempo diventai geloso di lei, la sentivo mia non solo come mamma ma anche come donna, e se qualche uomo le parlava, le sorrideva e a volte la corteggiava, non mancavo di farle notare la mia gelosia. Lei mi diceva ridendo e compiaciuta del mio comportamento:
“Ma tu sei geloso o mi controlli?”
“Tutti e due!” Rispondevo serio.
Anche quando rientrava mio padre dalla Germania per le ferie, ero geloso anche di lui che facesse sesso e dormisse assieme a mamma, ero geloso come tutti i ragazzi lo sono della propria mamma e io di più, ed ero geloso che la chiavasse anche se era mio padre. E a me toccava tornare a dormire solo in camera mia e a farmi seghe pensandola. Lei lo sapeva e mi diceva:
“Ora è così, spetta a lui il posto vicino a me di capo famiglia, quando riparte ritorni tu!” E mi sorrideva. Sapeva che ero geloso di lei anche con mio padre.
Mentre prima non vedevo l’ora che arrivasse e mi dispiaceva quando partiva fino a piangere, ora non più, non vedevo l’ora che se ne andasse, che ritornasse in Germania a lavorare e ci lasciasse soli, per riprendere il mio posto a fianco a mamma. Anche lei quando partiva non era più affranta come prima e non piangeva, e già da subito la prima sera tornavo a dormire e fare sesso con lei. Anche lei mi desiderava, penso che in quella condizione incestuosa ci fossimo innamorati uno dell’altro, madre e figlio.
Nessuno sapeva niente, tutto avveniva in casa.
I nostri rapporti sessuali erano diventati più intensi, ma come tutte le cose con il tempo divennero abituali. La monotonia del rapporto, farlo sempre allo stesso modo con il tempo si fece sentire anche tra noi. Io ero esuberante, pieno di voglia di conoscere, di provare, avevo l’argento vivo addosso e crescevo e maturavo anche fisicamente.
Lei oramai non aveva più niente da insegnarmi, quello che aveva imparato da mio padre l’aveva esaurito. Ero io che sentendo parlare i miei amici o i più grandi al bar portavo idee nuove.
Così dopo un anno, un anno e mezzo che avevamo rapporti sessuali classici, incominciammo tra noi a scoprire e fare cose inconsuete e insolite per noi.
Portai a casa di nascosto riviste pornografiche che acquistavo nei paesi vicini, a quel tempo c’erano le riviste “Le ore, Playmen, Men…” Le ore era quella che mi piaceva di più e acquistavo sempre, ben fatta con immagini di sesso sia maschile che femminile esplicite e ben evidenti, dove c’era Moana Pozzi. Mamma diceva che era una buttana Moana Pozzi e non voleva guardarli, ma alla fine ci riuscii, la convinsi e li guardavamo assieme. Li compravo sempre ogni settimana e li leggeva anche lei, poi li nascondeva e la settimana dopo quando acquistavo l’altra, quella vecchia la distruggeva, la bruciava nella stufa anche se era estate.
Iniziammo su mia richiesta come due ragazzini a giocare sessualmente con piccole cose che io vedevo sulle riviste porno e le proponevo e ci stimolavano di più, e lei le faceva e ci divertivano, del tipo fare e posizionarsi come Moana Pozzi sulla rivista, che anche se diceva che era una buttana, faceva come lei.
Dopo quasi due anni incominciammo a trasgredire con posizioni sessuali diverse e non la solita del missionario, iniziai a chiavarla anche alla pecorina e sopra di me con le sue grosse mammelle che le dondolavano sul torace quando sobbalzava. Lo stesso i luoghi dove farlo, come nelle riviste non solo a letto, ma anche in cucina sul tavolo, sia sdraiata sopra che piegata e appoggiata contro. In bagno con un suo piede sulla vasca e l’altro giù e io in piedi, o mentre al lavandino che si lavava, la prendevo da dietro alla pecorina, oppure sul divano in soggiorno. Il tutto dopo aver chiuso bene la porta e le imposte ed eravamo tranquilli e soli in casa.
Anche gli orari cambiammo, non più solo alla sera a letto, ma anche durante la giornata, tutto nel rispetto di mia madre e dei nostri desideri.
Per lei io ero diventato il suo amante, il suo ragazzo, suo marito, un compagno e non più suo figlio e lei per me viceversa, non era mia madre, ma la mia amante.
Tutto rigorosamente privato e riservato, in casa, senza che nessuno sapesse o sospettasse nulla.
Ero giovane e mi piaceva provare a fare cose innovative, inedite, strane, che sentivo dire dai grandi nei discorsi della compagnia.
Cose che facevano le donne e lei curiosa pur disapprovando accettava.
Per lei sarebbe andato bene così com’era il nostro rapporto, classico, di tipo coniugale, a me no! Crescevo!... Ero giovane esuberante, forte, un torello e volevo di più, avevo sempre voglia di chiavare e di sperimentare, mi piaceva fare cose particolari, diverse, più erotiche, che sentivo dire fare dagli altri.
Continuai a giocare stimolandola ad acquistare e indossare qualcosa di più sexy della sua solita biancheria intima da casalinga, non l’abituale reggiseno a coppa quasi piena e slip da signora che le coprivano la pancia e mancava poco le arrivassero all’ombelico, ma qualcosa di più audace, di sfrontato, come vedevamo sulle riviste. A truccarsi un po’ di più almeno quando era in casa con me, che poi prima di uscire se lo sarebbe tolto, ed erano tutte richieste che a lei piacevano.
Con tutta la sua buona volontà i suoi acquisti erano però limitati a una certa mentalità che aveva, li faceva al mercato o qualche negozio cittadino e si vergognava a chiedere lingerie sexy, visto che suo marito non c’era. Della lingerie la comprai anch’io, ma non nei suoi soliti negozi o al mercato, ma nel sexy shop di Catania, qualcosa di più provocante, erotico, come reggicalze e calze a rete e colorate, slip mini e reggiseno a balconcino, qualcosa di eccitante e appariscente e non solo il bianco o nero delle sue solite mutandine, ma il rosso, il dorato, l’argentato, con brillantini, disegni, bordature e colori sexy.
Si vergognava anche con me, anche se lo faceva solo in casa di indossare quella lingerie così oscena e indecente, per lei donna del sud con una certa mentalità era disonorevole, quella che portavo io era biancheria intima da buttana, da prostituta per lei. Disapprovava, protestava ma le piaceva, la indossava e le piaceva provarla, sentirla addosso, guardarsi nello specchio e mostrarsi a sé stessa e a me in quello stato. Si eccitava.
All’inizio vedersi allo specchio con un mini slip che faceva uscire fuori dagli inguini tutti i suoi peli neri la imbarazzava e diceva: “Ma come fanno a portare queste cose?”
Erano le prime volte che sulle riviste porno si vedevano le fighe rasate oppure con una striscia centrale e la invitai a regolare i peli, il suo folto bosco nero tagliandoli ai lati, accorciandoli un po’ sopra, come le cantanti e le attrici di quel periodo, ma era restia.
“Se li taglio poi non crescono in tempo e se arriva tuo padre e mi vede così come le buttane, mi ammazza!” Diceva.
Aveva paura di mio padre che potesse vederla depilata o con la striscia e le chiedesse conto.
Ma io le dicevo: “Li tagli quando lui parte e prima che ritorna ricrescono. La puoi anche rasare tutta se vuoi!?” Alla fine anche lei curiosa e vanitosa provò, lo fece, la prima volta la regolò finché ebbe il suo bel triangolo ordinato di peli soffici, non più un cespuglio arruffato e selvaggio, una seconda volta la tagliò di più, facendosi una striscia larga e una volta mesi dopo appena partito papà, gliela feci rasare tutta completamente senza un pelo, con nostra grande eccitazione.
Si eccitava ad averla tutta rasata, era una cosa proibita per lei, da vergognarsi, ed anche a me eccitava e le dicevo scherzando nel nostro dialetto:
“Ma… ci l’hai come e buttane ora! Senza pili!”
“Stupido, scimunito …” Rispondeva ridendo. Ma sono certo che le piacesse sentirsela così, tutta rasata, come le puttane come lo pensava lei, la eccitava.
Naturalmente non la rasò più e in cinque mesi prima che ritornasse mio padre li fece ricrescere tutti e le tornò bella nera e pelosa.
Un giorno che portai della lingerie nuova molto erotica, la indossò e mentre si ammirava compiaciuta davanti allo specchio e a me, pronunciò:
“Cosa mi fai mettere queste cose! Ho 40 anni!... Lo faccio per accontentarti.”
“Stai bene così mamma! Sembri più giovane, più femmina!” Rispondevo.
Ero uno sciagurato, preso dall’eccitazione non mi rendevo conto di cosa le facevo fare e come la trattavo. Le dicevo che si emancipava, ma senza volerlo la trasformavo fisicamente e psicologicamente, lo stesso lei, vanitosa e curiosa di vedersi come le donne dei giornali provava tutto, non rendendosi conto che cadeva nell’eccesso, nella pornografia.
“Sto bene? ...” Rispondeva: … “Ma se sembro una puttana in un bordello con queste cose che mi porti e truccata in questo modo!”
“Ma no mamma!... Ma che puttana e puttana! Sei bella, sexy, se ti vedessero gli uomini così come sei ora, li faresti sborrare tutti.” Replicavo volgarmente sapendo che le piaceva sentirsi dire quelle considerazioni oscene con quel linguaggio da strada e da bar.
E lei rideva compiaciuta e altezzosa proprio come una sticchiusa, il soprannome che le avevano dato…
“Sì!... Conciata così se mi vedesse tuo padre ... mi picchierebbe dappertutto e mi sfregerebbe!!” Ribatteva seria.
“Ma no mamma! Che dici?... Piaceresti pure a lui.” Affermavo io.
“Sì!... Se mi vedesse così, vestita e truccata da puttana ...mi ammazzerebbe, altroché!!”
Intanto che diceva quelle parole stava al gioco e partecipava alla sua trasformazione, si guardava allo specchio, si vedeva diversa e si piaceva. Piaceva anche a lei truccarsi in modo vistoso per non dire volgare, mettere lingerie sexy e mini che la coprivano appena, come vedeva nelle riviste di moda, anche se solo a casa per noi due, sentirsela addosso, ammirarsi allo specchio, essere guardata da me, pensarsi come loro e che la guardassero gli altri.
Le piaceva darsi un giudizio negativo su com’era conciata, dirsi che sembrava una puttana, credo che la eccitasse, e lo diceva per discolparsi da quello che faceva.
Però allo stesso tempo era esaltata, accalorata e rimetteva quella lingerie immorale e scandalosa, rifacendo quel trucco volgare e indecoroso, ritornando a essere negativa.
Giocavamo così!
Scoprii che oltre ad essere una donna calda a mia madre piaceva il sesso e praticarlo, non solo normalmente, ma anche morbosamente.
Si ripeteva e si eccitava a ripeterselo forse desiderando inconsciamente che avvenisse:
“Se mi vedesse la gente conciata così, per buttana mi prenderebbe… altro che sticchiusa (figona.)”
Come esponevo sopra, ora da adulto dopo tanti anni, sono convinto, che si accendesse sessualmente a dirsi quelle parole volgari da sola, a paragonarsi a una puttana vera, probabilmente inconsciamente le piaceva davvero dirsi e sentirsi così… essere equiparata a una di loro, anche se l’accostamento la scandalizzava.
Era sempre stata sotto a una forte repressione sessuale, morale ed educativa che aveva ricevuto da giovane e che per rispetto di sé stessa e della famiglia si era imposta, ma probabilmente, inconsciamente desiderava essere altro e in quel momento tutte quelle donne che apertamente condannava e pur vergognandosene si eccitava a pensarle e imitarle.
Anni dopo con me appena maggiorenne, avevamo acquistato anche un video registratore VHS per vedere in cassetta i film che ci piacevano, d’avventura e d’azione per me e d’amore e romantici per lei, ma alcune sere guardavamo anche i video porno che affittavo io alla videoteca di Catania dove non mi conosceva nessuno.
Come sempre all’inizio non voleva vederli era contraria, faceva la ritrosa, diceva che un conto erano le figure sul giornale e un altro le immagini che si muovevano come nei film, ma quando li mettevo e la chiamavo per guardarli, si fermava curiosa, ma dicendo che lo faceva per me, per accontentarmi, ma poi si eccitava; non aveva mai visto certe cose, minchie grosse, negri che fottevano le bianche, donne che si facevano inculare, lesbiche che si baciavano e leccavano tra loro e pompinare. Era scandalizzata da quello che vedeva, ma eccitata e dopo chiavavamo, con passione.
In seguito fu accondiscendente alle mie chiamate, interessata e partecipe alla visione video di sua iniziativa. Come dicevo, io oramai dormivo fisso con lei al posto di mio padre quando non c’era e non più nella mia stanza e quando andavamo a letto e chiavavamo, provocatoriamente le facevo dire cosa del film porno le era piaciuto di più e commentare, rompendo la sua reticenza morale a parlare di certe cose. Alla fine riuscivo ad avere il suo pensiero, sentendola godere più forte mentre lo diceva.
Vedere quelle scene nel video di chiavate con loro che si muovevano era eccitante per entrambi, uomini con cazzi grossi che chiavavano ragazzine e giovani signore dell’età di mia madre, ed era turbata e guardava il sesso di quegli uomini, molto più grande del mio e di quello di mio padre. Anche a vedere uomini di colore fare sesso con le donne bianche era eccitante
“Ma… ci andresti tu con uno niviro? (un negro, una persona di colore?)” Le domandai una sera dopo un film.
“No… non mi piacciono questi tipi di uomini…”
“Allora perché li guardi e ci guardi la minchia? (il cazzo?) Nei film.” Dicevo ridendo.
Lei scrollava le spalle.
Guardavamo anche donne che venivano inculate da uomini.
Quello che la colpì di più fu vedere due donne fare sesso tra loro, sapevamo che queste cose erano possibili e che certe donne le facevano, ma solo per sentito dire e io per averlo visto sul giornale. Ma vederle nei video donne che si accoppiavano tra loro, baciarsi in bocca con la lingua, leccarsi la figa e succhiarsi i capezzoli a vicenda era molto eccitante. Anche mamma era turbata ed eccitata.
“Ma… lo faresti con una femmina?” Chiedevo provocandola.
“No… non mi piacciono le femmine!” Rispondeva imbarazzata sempre guardando i loro amplessi saffici sul video.
Si può dire che sessualmente crescemmo assieme, scoprendo e praticando il sesso tra noi.
Una sera eravamo a letto, lei era mestruata e non facevamo sesso, non avevamo visto nemmeno qualche spezzone di cassetta, si leggeva il giornale. È usanza in Sicilia che una donna mestruata non bisognerebbe neanche toccarla, si diceva che portava male, ma io me ne fregavo, mi piaceva e la accarezzavo e baciavo lo stesso.
Lei mi dava la schiena e avevo semiscoperto davanti agli occhi quel suo bel sedere bianco e chissà perché ogni volta che le osservavo il culo nudo, mi tornavano sempre nelle mente le parole di Vanni, il ragazzo della spiaggia a cui anni prima piaceva il culo di mamma.
Lo guardai un po’ e poi le chiesi curioso e irriverente ormai con quella complicità sessuale che avevamo tra noi:
“Mamma! Ti ha mai preso dietro il papà?... Ti ha mai inculata?” Chiesi apertamente.
“Ma sei scimunito a dirmi queste cose? Che domande mi fai?” Rispose sorpresa da quella domanda inaspettata e volgare.
“E dai Ma!” Insistetti vista la sua reticenza a parlare di quelle cose:” Dimmelo!”
“No… Non l’ha fatto! ...Ci provò qualche volta, ma mi faceva male, avevo paura, ero spaventata e così non ci provò più. Si accontentò du sticchiu (della figa.).” Rispose continuando a leggere.
Stetti un attimo in silenzio e poi esclamai deciso:
“Mamma! Mi fai provare a me?”
“A te?” Rispose stupita voltandosi e guardandomi.
“Sì mamma! Fammi provare a me. Io ci riesco non sono come il papà!”
“Tu sei pazzo!!... Infilarlo nel culo no!” Rispose in dialetto.
“E dai Ma! … Fammi provare!” Ripetei. Avvicinandomi.
“Mi fai male! Non hai più un cazzetto da ragazzo, hai un cazzo come un uomo oramai. Ce l’hai più grosso di quello di tuo padre.” Disse.
Insistetti: “Dai mamma! Fammi provare! ...Se senti male smetto subito! Faccio come nei film, hai visto anche tu quante donne si fanno inculare e ci piace!?”
Insistevo quasi pregandola. Sapevo che mi accontentava sempre in tutto e forse sarei riuscito anche in quello pensavo.
Si girò verso me, probabilmente eccitata dalla mia proposta o dai video che avevamo visto e mi guardò in silenzio, non disse di no, rispose solo:
“Ma sento male Luccio!... Tuo padre ci ha provato molte volte, poi ha smesso rassegnato.”
“E dai mamma! Fammi contento! Proviamo, se senti male mi fermo e smetto subito.” Ripetei.
Mi guardava con uno sguardo indeciso, interrogativo, come a dirmi: “Intanto non ci riesci, non c’è riuscito tuo padre…” E a un certo punto sospirò e disse: “Va bene! ...Proviamo, ma se sento male smetti subito.”
“Va bene… va bene Ma...! Te lo prometto!” Risposi contento di tentare.
Lei senza dire altro gettò la rivista a terra e si girò a pancia in giù, appoggiando il viso voltato di lato sul cuscino, alzando il sedere in aria, come faceva con mio padre, tirando su la camicetta da notte su fino alla schiena, lasciandomi alla vista il suo magnifico sedere e i fianchi maturi, dicendo in quella posizione animalesca:
“Guarda che lo devi lubrificare bene! O prendi l’olio in cucina o con la saliva come faceva tuo padre quando ci provava.”
“Lo so! Lo so!” Risposi risentito da quella osservazione, come se non sapessi come si faceva il culo a una donna. Avevo visto decine e decine di film porno nelle video cassette anche assieme a lei di donne che si facevano inculare da uomini e poi avevo sentito parlare i miei amici più grandi di come si inculasse una donna; e quindi lo sapevo.
“Lo faccio con la saliva, come quando chiaviamo.” Le Risposi per tranquillizzarla.
“No, è più difficile così! Prendi l’olio.” Mi esortò.
Essendo la prima volta mi decisi a fare così come voleva lei.
Mi alzai di corsa e andai in cucina a prendere una tazzina da caffè piena d’olio per cucinare, come si usava da noi per sodomizzare la moglie in casa (chi ci riusciva), un metodo di lubrificante naturale e casalingo. E tornai in camera posandola sul comodino.
“Stai attento con l’olio a non macchiare le lenzuola che poi non va più via.” Mi raccomandò mia madre.
Andai dietro di lei con il cazzo già duro. Lei da sdraiata si tirò su e si mise a carponi.
Vidi quel culo sospeso davanti a me, bello grande, meraviglioso, due natiche piene e sode, ricche di carne bianca e tenera, senza un filo di cellulite e smagliature, sopra a due cosce snelle e lunghe che lo valorizzavano.
Era sporgente, liscio, bianco e invitante, sotto il suo solco si vedeva la figa, la sua lunga fessura tra ciuffi di peli neri con due labbra grosse, carnose, eccitanti e avvolgenti, che formavano una linea verticale oramai dischiusa in modo permanente dai rapporti sessuali frequenti, quasi giornalieri ... e dalla sua eccitazione.
Lo guardai con intensità e incanto quel culo di donna che mi apprestavo a violare se ci fossi riuscito.
Era una sfida tra me stesso e lei sverginare il culo di mamma.
Vederla in quella posizione era sconvolgente, era volgare e indecente, ma molto eccitante.
Interruppe i miei pensieri la sua voce:
“Non farmi male!”
“No, stai tranquilla…” Risposi.
Bagnai più volte le dita, l’indice e il medio uniti nella tazzina con l’olio posata sul comodino e come un pennello iniziai a passarle sopra il mio cazzo duro, sulla cappella, facendo attenzione che non colasse, finché non fu tutto oliato. Lo feci abbondantemente più volte lubrificandolo dappertutto, lo stesso feci con mamma, le allargai il solco profondo del culo con una mano aprendole bene le natiche e quando vidi il suo foro chiuso, ancora vergine, inzuppai ancora le dita e le passai su quella rosa del suo ano da aprire, spandendo l’olio, massaggiandolo, entrando appena dentro con la falange, facendola irrigidire e inarcarsi per reazione.
Notai che le piaceva sentirsi accarezzare l’ano.
Era pronta!!... A pecora!! Come dicevamo noi in Sicilia.
La testa appoggiata di lato sul cuscino e il sedere sporgente in aria, io dietro inginocchiato ed eccitato da quella nuova esperienza, dopo più di tre anni di rapporti sessuali normali, di sentito dire e di vedere video e cassette porno, ora provavo finalmente a fare il culo davvero, a inculare una donna e poco mi importava se era mamma.
Lo appoggiai durissimo e dritto sul suo ano aprendo bene le natiche corpose, poi tenendo i suoi fianchi con le mani, a braccia tese, premendo e spingendo lentamente tirando lei a me, fermandomi e spingendo ancora riuscii a infilare la cappella. La strada era aperta.
“Ti fa male ora?” Chiesi ansioso di spingere e infilarlo tutto.
“Un po’! Ma entra?” Domandò senza girarsi.
“Sì stai tranquilla entra! Entra!” Risposi deciso.
Poi come mi avevano detto gli amici più grandi della compagnia, se mi fosse capitato di fare il culo a qualcuna e in base a quello che avevo letto nelle riviste e visto nelle video cassette, la tenni ferma per i fianchi e mentre lo spingevo dentro la tiravo verso me, facendoglielo entrare lentamente tutto, mentre lei sussultava gridando all’introduzione.
Ebbe un sobbalzo dal dolore quando lo sentì entrare, implorandomi di smettere:
“Ahi! Ahi! ...Fermati! Fermati Luccio!! Mi stai facendo male!!”
Ma io mi ricordavo quanto detto dagli amici più grandi: “Quando la donna sente male vuol dire che sta entrando e non bisogna smettere, darle retta, ma spingere di più!”
E così feci, oramai eccitato lo avevo infilato dentro metà e la tenevo forte per i fianchi, ferma, in modo che non mi scappasse in avanti continuando a spingere.
“No… no… no… basta! Mi fai male! Basta Luccio! Fermati!” Mi supplicava.
Non vedevo il viso perché sul cuscino, ma credo che piangesse, che avesse le lacrime agli occhi per il dolore, perché sentiva male davvero. Ma io una volta infilato dentro metà, non feci come mio padre, iniziai a spingere di più e a muovermi avanti e indietro piano e a incularla penetrandola lentamente sempre di più, fino ad arrivare completamente, fino in fondo, sentendola dimenarsi davanti a me come un’oca presa per le zampe che vuole fuggire.
Vedevo la sua testata di capelli sciolti, come una criniera nera di una bella cavalla da domare, pareva una giumenta selvaggia, si lamentava come se nitrisse, ma la tenevo ferma anche per i lunghi capelli, come redini. La inculavo piano aumentando il ritmo e la velocità, facendole provare alcuni minuti dopo dal dolore... piacere. La sentii iniziare a godere e a “nachiarsi”, (come diciamo noi quando una donna muove le natiche ondeggiandole, e nachiare deriva proprio da natiche), pressando il culo un poco indietro.
Sentivo il suo buco stretto, contrarsi spasmodicamente ogni volta che mi muovevo.
La inculavo contento, era la prima volta che inculavo una donna, anche se era mia mamma.
C’ero riuscito!
L’avevo sverginata io di dietro, ne ero fiero, orgoglioso, la sentivo inculandola sottomessa a me, come lo ero stato io a lei per tanti anni.
La stavo inculando come una cavallina, godeva e nitriva ... godeva e gemeva, e si nachiava muovendo il culo.
Le piaceva ora essere sodomizzata, poco dopo iniziando a provare piacere spingeva il culo indietro verso me, per sentire meglio la minchia (cazzo) dentro.
La inculai per alcuni minuti, poi eccitato le venni dentro, tra il piacere di tutti e due.
Quando lo tirai fuori, sentii un flop e dell’aria intestinale uscire, ma mi avevano detto gli amici che questo poteva capitare e vidi che avevo il glande sporco di feci.
Se ne accorse tirandosi su anche lei, dicendomi imbarazzata: “Vatti a lavare!”
Da quella volta iniziavamo i nostri rapporti sessuali dalla figa, chiavando, per finire poi spesso in rapporti anali, inculandola, dove io potevo liberarmi venendo tranquillamente dentro lei.
Da quel giorno che l’avevo sverginata in culo, iniziò un nuovo tipo di rapporto tra noi, se fino a quel momento era stata lei la parte dominante e autoritaria tra noi due, ora lentamente le parti si erano invertite, lo ero diventato io, non solo sessualmente ma anche nella vita e in casa.
Quel rapporto anale, quella sverginazione, l’aveva sottomessa psicologicamente a me, si era sentita posseduta e domata completamente.
Da quel momento dicevo io cosa fare e lei silenziosa mi assecondava e ogni cosa importante, mi chiedeva il parere, in alcuni casi il permesso, come se fossi suo marito, mio padre.
Da buona siciliana era diventata felicemente assoggettata al suo nuovo uomo, io, suo figlio.
Con le novità e quegli stimoli il nostro rapporto era diventato bellissimo, e una sera a letto chiesi a mamma se potevamo ancora fare qualcosa di nuovo, di diverso, che fino ad allora per rispetto non avevo mai osato chiederle, ma che avevamo visto nei video che facevano anche le altre donne e che dicevano i miei amici.
“E cosa dicono i tuoi amici?” Domandò.
“Che le donne lo succhiano, fanno anche i bocchini come abbiamo visto nei video. Tu Ma! ...L’hai mai sugato a papà? Gli hai mai fatto il pompino?” Le chiesi sfacciatamente imbarazzandola con quella curiosità.
“Perché mi fai queste domande?” Rispose.
“Perché voglio farlo con te. Perché oramai sei la mia femmina!” Esclamai.
“Vuoi farlo con me??... Queste sono cose che fanno le puttane e non le mamme!” Rispose seria e stupita dalla richiesta.
“Le puttane li fanno a tutti, tu solo a me.” Risposi pronto.
“A tuo padre non l’ho mai succhiato, leccato sì, ma non mi piace fare queste cose.” Dichiarò infastidita.
“E papà non te l’ha fatto fare? Non ha insistito?” Ribadii.
“Tuo padre mi ha sempre rispettata, se una cosa non mi piaceva, non la facevo. Ha rispetto per me, non è come te.” Disse sorridendo riguardo la mia insistenza.
“Ma io ti voglio bene mamma! ... Mi eccita farmi fare il pompino, farmelo succhiare da te.”
Poi come avevo fatto mesi prima per avere rapporti anali, glielo chiesi direttamente:
“Mamma!!... Me lo lecchi pure a me come hai fatto con papà? Me lo succhi?... Per favore te lo chiedo mamma! Non me l’hanno mai succhiato. Voglio provare, voglio sentire cosa si prova.” Dissi come un bambino che faceva i capricci anche se ormai avevo 18 anni compiuti.
Si lasciò convincere dicendo:
“Io te lo lecco solo, come facevo a tuo padre, non te lo succhio.” Ribatté.
“Va bene mamma! Leccamelo solo.” Risposi con l’enfasi di un ragazzino.
Ero contento, per la prima volta mi sarei fatto leccare il cazzo.
Si abbassò e prese con la mano la mia giovane minchia dura, lunga e pulsante che avevo tirato fuori dalle mutande, vi portò la testa sopra e con la punta della lingua iniziò a leccare una, due, tre volte.
Aveva la lingua da gatta, soffice e calda, erano leccate brevi e leggere, ma mi piacevano, era durissimo, lo sentiva pulsare anche lei in mano tanto era palpitante.
Era impacciata, non era capace, sembrava che leccasse il gelato:
“Mamma!... Leccamela bene tutta la cappella.” Esclamai.
Così fece, eccitata anche lei di quello che stava facendo, lo stava leccando.
Le bisbigliai:
“Mamma! Prendila tutta in bocca la cappella e succhia, ti faccio vedere io, ti insegno come fanno le donne, l’abbiamo visto nei giornali e nelle videocassette e anche tu hai visto il film delle cassette dove lo sucano (succhiano). Apri tutta la bocca, devi fare la O con le labbra!”
“La O?” Rispose lei smettendo di leccare.
“Sì la vocale O dell’alfabeto. Così!”
E le feci vedere come fare mettendo le mie labbra aperte in modo circolare a formare la O.
“Così vedi?”
La feci provare … a fare la O con le sue labbra dolci e sensuali e prendere la cappella tutta in bocca e succhiarla.
“Lecca e succhia! ... Succhia e lecca! ... Così brava! Devi fare come fai con la figa, come quando ti chiavo, avanti e indietro con la bocca. Come abbiamo visto nelle video cassette.”
Era altamente erotico dover insegnare a mia madre fare i pompini, vederla con quelle labbra lussuriose circondare la mia minchia, prendere la cappella dentro la bocca e vedere le guance ritirarsi e gonfiarsi a ogni succhiata, ci stava riuscendo, stava iniziando a fare un pompino, un pompino vero e questa volta ero io a insegnarglielo, mi sentivo grande, adulto, soddisfatto, uomo… o meglio maschio come diciamo in Sicilia.
Appoggiai la mano sui suoi capelli dietro la nuca come nei film porno, aiutandola nei movimenti e accompagnandole la testa avanti e indietro.
Era bellissimo, una sensazione stupenda sulla cappella, mai provata, quella bocca calda sembrava un altro sticchiu (figa), non resistevo più, l’avvertii:
“Sto per venire! …Vengo mamma!!”
A quelle parole lo tirò fuori dalla bocca, ma oramai stavo sborrando, colpendola involontariamente in viso, sugli occhi e sulle labbra.
“Mamma mia!!” Esclamò ... “Che potenza… Mi lavasti a facci! Ma quanto ne avevi dentro?” E si mise a ridere.
Come io l’avevo ricevuto, lei aveva fatto il suo primo pompino e senza volerlo con sborrata in faccia.
Ne seguirono altri, sempre più perfetti, scoprii che a lei piaceva farli, fino a diventare davvero una brava bocchinara.
Oramai fare l’amore e fare sesso era una cosa completa, non c’erano più limiti e segreti tra noi, io ero suo e lei era mia… arrivando io a leccarle la figa sentendo la sua foresta di peli nella mia bocca, la fessura della sua figa sulle labbra e il gusto dei suoi umori selvatici e pizzicanti sulla lingua.
Giocavo con la lingua quando gliela leccavo, dividevo i suoi folti peli in due parti, a destra e a sinistra, come due grossi baffoni e iniziavo a leccarla in mezzo. A lei piaceva farsela leccare, perché godeva, mio padre non gliela leccava mai, non gli piaceva mi disse, con lei faceva il sesso classico.
Sentivo il suo odore penetrante e selvaggio nelle narici, odore di figa che gode, di godimento …era bellissimo.
Gli anni passavano e io crescevo, diventavo sempre più bravo a fare l’amore, a fare sesso, oramai conoscevo ogni metodo per fare godere una donna, mamma era stata una brava maestra e allieva insuperabile allo stesso modo, mi aveva formato sessualmente e aveva sempre un grande ascendente su di me. Oramai sarei potuto andare con qualsiasi donna, che sapevo chiavarla e farla godere bene, altro che i miei amici che al sabato sera andavano a puttane.
I giorni da quella prima volta in cabina con quegli amici Vanni e Turi, con lei erano diventati settimane, poi mesi e poi anni.
Oramai ero un ragazzo adulto, un bel ragazzo moro di vent’anni, e grazie al fatto che ero figlio unico e altre raccomandazioni di parenti non feci il militare.
A mamma volevo sempre bene e continuavamo i nostri amplessi meravigliosi, lei con gli anni era diventata una bella donna matura, con le forme accentuate. Una splendida 44 enne.
L’innamoramento e la gelosia verso mamma e mio padre dei primi anni, pian piano si attenuò fino a scomparire.
Oramai ero grande, mi cresceva la barba e mi radevo e in giro vedevo altre ragazze che mi piacevano. Lei mi aveva sempre stimolato a cercarmi una compagna che sarebbe poi diventata mia sposa, me lo diceva sempre che un giorno tra noi sarebbe finito tutto.
Ma a me sarebbe piaciuto incontrarne, una come lei da giovane, sia fisicamente che di carattere.
C’era molto affiatamento tra noi oltre che molta intimità, ma era realista e consapevole che tra noi sarebbe finito tutto un giorno quando sarebbe ritornato definitivamente mio padre e mi sarei sposato, perché così doveva essere la vita e ogni tanto mi chiedeva:
“Luccio! Ne hai conosciute ragazze? ... Ce n’è qualcuna che ti piace?” E sorrideva.
“No!” Rispondevo, oppure “Sì!!” E iniziavamo a parlare, a raccontare.
Ma tra quelle che conoscevo ce ne fu una del paese vicino che mi colpì molto e mi fece innamorare a prima vista, era stupenda, incantevole, di bei lineamenti, assomigliava a mamma da giovane, aveva i capelli nerissimi e lunghi come lei e gli occhi scuri come una pantera, era di belle e graziose forme e modi gentili, con denti bianchissimi e lucenti, risplendenti ad ogni sorriso.
Aveva da poco finito le scuole superiori e io avevo poco più di 22 anni, come dicevo non avevo fatto il militare perché figlio unico e lavoravo già in una ditta del nord Italia che faceva impianti meccanici ma qui in Sicilia, nel catanese.
Lei voleva viaggiare, girare il mondo, conoscere gente, divertirsi e in più era già promessa ad un altro.
Ma a me piaceva moltissimo, quando la vedevo mi faceva battere il cuore e sospirare, mi dissi che quella ragazza doveva diventare mia moglie, la madre dei miei figli, la volevo, ma sapevo anche che era quasi impossibile.
Perciò un giorno ne parlai seriamente a mamma di quella ragazza di cui mi ero innamorato, Annunziata (Nunzia) si chiamava, le dissi che mi piaceva tanto e mi sarebbe piaciuto che diventasse mia moglie. Ma anche che non era facile.
Lei sapeva che sarebbe arrivato il giorno in cui io le avrei parlato di un’altra donna e ne era felice, mi sorrideva contenta.
“Com’è?” Mi chiese: “La ami davvero tanto con il cuore?”
Le risposi: “Sì tantissimo mamma, ne sono innamorato!” Aggiungendo: “Però c’è solo un’amicizia tra noi e lei non vuole legarsi, dice che è giovane, ancora ragazza e poi i suoi con il suo consenso l’hanno promessa a un altro del paese vicino, un benestante che si chiama Enzo.”
Sorrise e mi accarezzò il viso:
“Te la vuoi sposare tu?” Mi chiese contenta.
Risposi con impeto di: “Sì!!”
Allora da buona siciliana continuò:
“Ti aiuto io!! Ti dico io come fare, tu fai solo quello che ti dico io e vedrai che te l’ammogli (te la sposi).”
Informai mamma che non era facile, che era quasi impossibile che scegliesse me, lei era emancipata, voleva viaggiare, girare il mondo, conoscere tanta gente e poi era già promessa a quell’altro ragazzo.
Rispose con calma e sicurezza: “Non guardare queste cose! Ci penso io!”
E mi spiegò come fare per averla, come si usa in Sicilia o meglio come si usava, mi suggerì di corteggiarla come amico, poi diventarne amico del cuore e non farle mai capire che l’avrei voluta come moglie. Farle invece intendere che anche a me non piaceva sposarmi e fingere di pensare come lei.
Così feci, iniziammo a uscire in amicizia e in gruppo, lei a volte con il suo ragazzo Enzo, uno scimunito che pensava sempre a studiare, ma quand’era sola la corteggiavo discretamente, facendo in modo che gli altri non se ne accorgessero, come mi aveva consigliato mamma.
Passò qualche mese, ero entrato bene in confidenza con Nunzia, facevo parte della sua compagnia, mi aveva preso in simpatia, scherzava con me, e mamma mi chiedeva costantemente come andava e io l’aggiornavo, dicendomi poi lei come fare per proseguire.
Io piacevo a Nunzia, questa era una cosa certa, ero un bel ragazzo e stava volentieri con me, ma solo come amico e nient’altro.
“Fa a sticchiusedda! (la fighetta!)” Dicevo a mamma in siciliano per farle capire che oltre che bella faceva la ragazza emancipata, saputella, sostenuta e altezzosa.
“Ohh…. È solo una buttanedda (puttanella) come tutte le ragazze del paese e della sua età.” Rispondeva sorridendo.
E aveva ragione, era solo una ragazza di paese, insicura e piena di sogni, a cui piaceva essere corteggiata, ammirata e non concedeva niente, si divertiva così.
Era un po’ anche lei una sticchiusa (Figa che se la tira) come mamma e per questo mi piaceva di più, oltre che somigliarle fisicamente, le rassomigliava anche di carattere.
Un pomeriggio ci fu una festa a casa di un’amica, c’era tutta la compagnia, si danzava tra noi, lei era sola senza il suo ragazzo che era fuori regione con i genitori, la corteggiai e riuscii a invitarla a danzare anche con me e ballando la strinsi forte, le feci capire che mi piaceva, le feci delle avance, dei complimenti alla sua bellezza. I tempi come diceva mamma erano maturi per manifestarmi.
Lei civettava, si lasciava strusciare, ma non voleva che la toccassi con le mani.
Usciti sul terrazzo, mi feci avanti, eccitato cercai di baciarla di nascosto, non voleva anche se le piacevo, a lei piaceva solo flirtare, fare la stupidina, attirare ed essere al centro dell’attenzione, praticamente giocherellare con me, prendermi in giro; e poi non smetteva di dire che era già promessa. Ma anche se era restia al mio adulare e faceva resistenza al mio corteggiare, tenendola riuscii a baciarla di sfuggita, prima che si ritraesse e allontanasse. Prendendo a ridere tutti e due quel mio gesto di prenderla, forzarla e baciarla contro la sua volontà. Lei pensando che scherzassi, mentre invece io ero serio e anche quello faceva parte del mio modo per averla.
Ero felice quel pomeriggio quando anche se solo di sfuggita ero riuscita ad appoggiare rapidamente le mie labbra sulle sue, ebbi un tuffo al cuore, giunto a casa informai subito mamma che ero riuscito a baciarla sulle labbra brevemente, e mi disse che era una buona cosa anche se avevo forzato la situazione e che ora dovevo muovermi con attenzione e serietà, se volevo che diventasse mia moglie.
Il giorno della festa del paese, era il 26 luglio, Santa Venera, c’era la fiera e le giostre e si ballava in piazza.
Dietro consiglio di mamma, avevo chiesto a Nunzia se veniva, ma disse che non lo sapeva perché si incontrava con il suo ragazzo, forse dopo, quando lui sarebbe andato a studiare, con il suo permesso sarebbe venuta.
Quel pomeriggio dopo essere stato con il suo ragazzo e previo suo consenso, verso sera arrivò con una sua amica, Enza, che era una conoscente di mia zia, ci incontrammo, come una bambina voleva divertirsi alla fiera e alle giostre e io mi accodai con loro. Giocammo e girammo sulle giostre, mangiammo i babà e i cannoli e bevemmo un po’ di vino marsalato, cercai di farla bere un po’ di più su consiglio di mamma, ma non volle, poi continuammo a girare per le bancarelle della piazza.
C’era anche mamma alla fiera, con questa mia zia conoscente di Enza, ci videro tutte e tre assieme e con un espediente loro fecero in modo di chiamare e allontanare Enza da Nunzia in modo che restassimo soli io e lei. Mia zia la mandò a ritirare dei trucchi e creme per il viso che aveva ordinato in negozio nel paese vicino, prima che chiudesse, e che c’era anche un regalo per lei in quel ritiro e alla sua obiezione che era con Nunzia, le disse di non preoccuparsi che ci avrebbe pensato lei a dirglielo e accompagnarla a casa, cosa che d’accordo con mamma non fece.
Tra tutta quella gente Enza sparì e non si trovò più, l’avevano allontanata mamma con quel pretesto, ma lei non lo sapeva. La folla della piazza fu divisa in due grosse ali dal passaggio della processione con la Santa. Restammo soli io e lei, c’era molta confusione e faceva caldo, cercammo un po’ Enza con lo sguardo tra la calca dell’affollamento, anch’io feci finta di cercarla, ma non la trovammo.
Le dissi che l’avevamo persa e chissà dov’era.
Lei era preoccupata erano le 21.00:
“Ma io devo tornare a casa! Mi aspettano mia madre e le mie sorelle, come faccio a ritornare se l’auto l’aveva lei?” Disse preoccupata.
“Ti accompagno io!” Risposi deciso: “Ho la macchina.”
Avevo allora la mitica “Uno della Fiat” tutta bianca, era l’inizio degli anni novanta.
Lei era indecisa e restia a venire sola in macchina con me essendo promessa e già fidanzata, ma era tardi, si fidava di me e accettò.
Ci allontanammo dalla piazza che era ancora chiaro ma stava scurendo e passando tra la gente per uscire dalla confusione, vidi mamma con zia sul marciapiede che mi guardavano. Mamma muovendo la testa sorridente mi fece un cenno incoraggiante, come un segnale, per ricordarmi quello che mi aveva detto. Mi aveva istruito bene e ora dovevo mettere in pratica quello che mi aveva raccomandato.
Anche zia sorrideva accattivante.
Arrivati all’auto, salimmo e partimmo e nel percorso che congiungeva i due paesi, distaccati tra loro di parecchi chilometri di strada quasi isolata, presi coraggio e deviai in una stradina laterale, andai un po’ avanti e mi fermai in piena campagna mentre stava venendo buio.
“Dove siamo Lucio? Perché hai girato? ... Perché ti sei fermato qui?” Mi chiese preoccupata e intimorita.
“No… niente!... Voglio stare un po’ con te! ...Ti voglio baciare!” Esclamai.
“No Lucio dai… non voglio, te l’ho già detto… sono fidanzata con Enzo, ed è tardi e devo tornare a casa.”
“Dopo ti porto a casa …adesso baciami!” Dissi sorridente, deciso e sicuro.
“No!! Dai!! …Non voglio!... Non voglio baciarti!” Esclamò spaventata.
Ma io insistetti, quel suo timore, mi dava coraggio, mi eccitava, finché rassegnata accettò, convinta che poi saremmo ripartiti.
Prima guardò in giro attraverso i finestrini aperti dell’auto che non ci fosse nessuno, aveva paura di quel posto che stava diventato quasi buio ed era isolato e poi si avvicinò per baciarmi sulle labbra in modo da fare in fretta, ma io all’improvviso la presi per la nuca e la tirai a me baciandola, forzando le sue labbra fino a fargliele aprire e metterle la lingua dentro anche se non voleva e spingeva per allontanarmi, iniziare a limonarla.
Aveva la lingua calda, ruvidamente vellutata, piena di saliva dolce, la bacia e la leccai, succhiandole le labbra.
Cercò di distanziarmi spingendomi indietro con le braccia sul torace con forza e ci riuscì!
Si staccò prendendo fiato: “Ora andiamo!” Esclamò seria ma spaventata: “Ti ho baciato!”
“No!... Ancora uno.” Ingiunsi io. Lei non voleva.
“No dai Lucio... sta diventando buio, sono le nove, ho paura a stare qui!”
“Ci sono io con te! Non devi avere paura, dammi ancora un bacio.” Ripetei.
“L’ultimo!” Esclamò rassegnata sapendo che non poteva fare diversamente se no non la lasciavo andare.
“Sì l’ultimo” Risposi.
Si avvicinò ancora, titubante. La ripresi da dietro la nuca e la tirai a me e la baciai con passione sentendo il calore della sua bocca, succhiandole la lingua e le labbra, mentre le toccavo il seno con la mano libera, che lei cercava di togliermi non riuscendoci. Aveva un seno piccolo e sodo in confronto a quello di mamma che era grande e morbido.
Mi piaceva, ero innamorato di lei.
Non mi staccavo dalle sue labbra, la tenevo con fermezza a me. E mentre lei per separarsi e io per trattenerla facevamo quella dolce lotta, con la mano destra tirai la leva dello schienale del sedile ribaltabile e lo tirai giù, facendola ritrovare semi sdraiata.
“Nooo… ma che fai? Sei impazzito?” Disse sentendosi andare giù con la schiena, mentre io appoggiato su di lei, con il peso del corpo la spingevo seguendola. Mi ritrovai sopra di lei.
E mentre la baciavo ancora con forza, si staccò dalle mie labbra e prese fiato, una boccata d’aria dicendo:
“No!!!... Adesso basta Lucio! Guarda che grido!”
Ma mentre parlava le richiusi nuovamente la bocca con un altro bacio ancora più passionale e ardente dei primi due, facendole sentire la mia saliva sulla lingua e intanto le infilavo la mano sotto la gonna, tra le cosce che teneva serrate, tirandola su con forza fino ad arrivare al suo sticchiu (la figa).
Quando gliela toccai e accarezzai da sopra le mutandine premendo con le dita sopra, sussultò ...esclamando:
“Nooo!!!... Ti prego Lucio, non voglio! Questo non farlo! Sono promessa lo sai!”
Era una ragazza calda Nunzia, una vera sicula di razza, aveva anche un po’ di Etna dentro di lei e iniziava a bollire.
Le accarezzai con la mano le mutandine sulla figa, sfregando su e giù le dita sul cotone, capii che le piaceva e le procurava godimento, anche se diceva di non volere e di fermarmi.
Resisteva, ma spostando lateralmente il bordo delle sue mutandine dall’inguine all’interno, riuscii a introdurre il dito sotto, sentendo anche in lei seppur giovane un boschetto di peluria soffice e folta. Cercai la fessura tra loro e premetti il dito medio tra le grandi labbra vaginali e i peli, sentendolo entrare delicatamente in quella fessura umida, coperta da quel pelo denso e rigoglioso.
Iniziai a toccarle il clitoride e a farle dolcemente un ditalino mentre la baciavo, dicendole di lasciarsi andare, che era tutto piacevole, che sarebbe stato bello, che l’amavo, la desideravo, la volevo.
Sentii la sua resistenza venire meno alla mia forza, la tensione delle cosce strette diminuire, riuscendo ad aprirle lentamente.
Contro la sua volontà iniziavo a sentirla godere del mio ditalino, e sentivo che il dito era bagnato.
A quel ditalino e alle mie parole si lasciò andare, diventò più arrendevole, il suo corpo, non rispondeva alla sua mente, ma al piacere che le davo con il dito.
Restò passiva a farselo fare senza opporre resistenza fisica in silenzio, godeva, probabilmente ero il primo uomo che le faceva un ditalino, Enzo la rispettava, era un tipo come mio padre, io no, ero diverso. Oramai ero pratico, esperto di sesso e di come fare godere una donna, con mamma avevo imparato tutto e con Nunzia che era una giovane ragazza inesperta di sesso, fu facile.
Ero eccitato e mi era venuto duro. E anche lei era in preda all’eccitazione, teneva gli occhi chiusi, si vergognava di godere davanti a me e di me, non se l’aspettava che avrebbe reagito così, che le sarebbe piaciuto al punto da non opporsi più e non sarebbe stata capace di interrompere quel ditalino.
Era vittima della sua calda indole, del suo temperamento, della sua stessa sessualità.
Nunzia non si conosceva ancora sessualmente, non pensava che la sua resistenza sarebbe stata così debole al piacere da non reagire, non ribellandosi, lasciandosi andare senza contrastare quel dito che la frugava dentro la figa dandole piacere.
Si vergognava della sua incapacità ad opporsi, permettendo che io le infilassi e muovessi il dito dentro il suo sticchiu (figa) vergine, già promesso a un altro, il suo fidanzato.
Con forza le spostai le mutandine ancora più di lato, in modo da avere quello sticchieddu vergine con i suoi peli neri tutto fuori, libero. Accarezzando quei peli, giovani e selvatici come lei.
Ero eccitatissimo, avevo il cazzo durissimo, senza che se ne accorgesse sempre tenendola giù e baciandola lo tirai fuori dalla cerniera, senza nemmeno slacciare la cintura e abbassare i pantaloni, feci come quando noi maschi pisciamo e lo insalivai con lo sputo sulla cappella, lo bagnai tutto.
Lei in quel momento godente a forza del mio ditalino e delle mie carezze si era lasciata andare, pensava che tutto sarebbe finito lì e invece…
Contro la sua volontà le avevo allargato bene le gambe, appoggiandone una per comodità sul cruscotto e l’altra divaricata al massimo verso il cambio per avere più spazio e io mi ero inginocchiato tra loro, davanti alla sua figa, tra le sue cosce.
Ero proprio all’altezza della sua bella fighetta nera come quella di mia madre. Non immaginava certo quello che stava per succedere.
Mi portai in avanti con il bacino e appoggiai la cappella gonfia e rossa sui peli, la sfregai sulla fessura bagnata più volte, su e giù come facevo con mamma prima di infilarlo dentro.
Lei a sentire la mia cappella appoggiarsi tra le sue grandi labbra, sulla sua fessura vergine, capì, che cosa stavo per fare, cercò di tirarsi su con il tronco spingendomi indietro con la mano sul torace gridando:
“Noooo!!! Questo nooo… ti pregooo!! Non voglio Lucio, questo noooo!... Sono vergine ancora. Sono fidanzata… mi devo sposare!!”
Ma non ebbe la capacità di allontanarmi e fermarmi. Io ero troppo eccitato e ben istruito da mia madre per dare ascolto alle sue parole e nonostante facesse resistenza gridando, continuai nella mia manovra.
Mi fermai al centro del suo solco vaginale e lentamente spinsi in avanti, divaricando le sue grandi labbra, facendo entrare adagio un po’ di cazzo, la cappella, mentre lei come una gallina starnazzava e gridava:” Noooooo!!! Nooooo!!!”
Lo feci entrare, finché non incontrai resistenza, finché non entrava più, avevo raggiunto la sua membrana verginale, l’imene. Lei a quella lenta e parziale penetrazione per reazione e difesa sussultò allargando inconsciamente ancora di più le gambe per cercare di tirarsi su e sfuggirmi, ma in quel modo, con quella manovra senza volerlo mi favorì, se lo fece scivolare dentro di più, inarcandosi ansimante.
Si sentiva e si vedeva che nonostante non volesse era impotente con il mio cazzo un po’ dentro lei, ed era come in attesa oramai... di qualcosa, della mia scelta e decisione, della mia minchia dura.
Come rendendosi conto di quello che stava per accadere, esclamò cercando di intenerirmi:
“Ti prego Lucio… no, non farlo questo! Ti bacio… ti bacio ancora, di nuovo come piace a te, come vuoi tu, con la lingua, anche tanto… ma questo no! Nooo… nooo… non farlo!... Sono vergine, sono promessa sposa, mi rovini. Non disonorarmi. Non farlo Lucio!”
“Sssshhhhhh!!”
Le risposi autoritario baciandola di nuovo sulla bocca e sentendo la cappella contro, toccare l’imene della vagina.
E mentre lei mi guardava con gli occhi supplicanti, io, muovendo il bacino in avanti, diedi un colpo di reni deciso e con il cazzo, con la cappella come una testa d’ariete le sfondai la membrana vaginale, lacerandole l’imene e facendolo entrare tutto dentro la figa di colpo, sverginandola.
L’avevo deflorata io! Grazie a mamma c’ero riuscito, ero stato il suo primo uomo.
Quella lacerazione improvvisa e prepotente la fece staccare dalle mie labbra e gridare forte:
“Nooooo!!!!... Nooooooo!!!!!”
Facendo uscire forte dalla gola il suo urlo di resistenza e sofferenza alla deflorazione e per reazione portò le braccia su ad abbracciarmi, stringendosi di più a me come a proteggersi da quel dolore forte e lancinante che sentiva dentro.
A quell’abbraccio l’abbracciai anch’io e iniziai a muovermi avanti e indietro, prima lentamente, poi aumentando il ritmo, baciandola sulle labbra, sul viso e su gli occhi, finché la dolcezza ebbe il sopravvento sul dolore e pur contro la sua volontà iniziò a provare piacere con me.
Iniziò a godere, e mi stringeva forte a sé non più per reazione al dolore, ma per attrazione al piacere, godendo a bocca aperta, reclinando il capo all’indietro si abbandonava a me che la possedevo con vigore e con foga, baciandola e leccandola dappertutto, succhiando la sua lingua giovane e calda, intrecciandola alla mia.
Oramai, era prigioniera del suo stesso piacere, presa da un fremito che la scuoteva tutta, si era risvegliata in lei la parte segreta, passionale. La sua sessualità assopita di ragazza calda si era manifestata e trasformata in desiderio e non le importava più, se ero io, il suo amico Lucio a chiavarla, invece del suo promesso sposo.
Era in preda solo al godimento, senza riuscire a controllarsi.
Le feci appoggiare i piedi dietro, sotto le mie natiche e le misi le braccia intorno al mio collo che scendevano sulla schiena e la chiavai così, con sentimento e slancio, forza e desiderio, vigore e virilità, sentendola partecipe ai miei colpi profondi, rispondere con il movimento del bacino ai miei ritmi, baciandomi ad occhi chiusi sul viso. Godeva e gemeva come una cagnetta in calore, ansimava.
Avvertivo gli spasmi del piacere della sua figa stringermi la radice del pene, poi rilasciarsi per poi ristringere di nuovo forte in preda a contrazioni vaginali di piacere e inumidirsi e dilatarsi di più.
Vampate di calore nascevano dentro la vagina, incendiandomi il cazzo.
Non capiva più niente, godeva solo…. Ero bravo a chiavare, erano anni che chiavavo mamma e sapevo come fare per farla godere bene.
Le mie mani finirono sotto le sue natiche, le alzarono un poco il sedere, in modo che fosse all’altezza giusta e il mio cazzo arrivasse bene fino in fondo, e dondolandola leggermente contro di me, le accarezzavo l’utero con la cappella che arrivava fino in fondo.
Finché gemente e ansimante con un respiro affannato, stringendomi più forte suo malgrado ebbe l’orgasmo, la vidi godente aprire gli occhi e guardarmi con un viso estasiato, il suo corpo diventare teso, inarcandosi di più verso me, sentii gli spasmi delle sue pareti vaginali stringermi energicamente il pene bagnandolo con gli umori del suo piacere. Stava per avere il primo orgasmo della sua vita e si scuoteva tutta.
Anch’io venni assieme a lei, baciandola sulla bocca, lingua a lingua, attorcigliate, calde e umide.
Ma non lo tirai fuori come facevo con mia madre, seguii il suo consiglio, invece di toglierlo lo lasciai e le venni dentro. Le venni dentro, riempiendola di sborra, eiaculando contro il suo giovane utero, getti di sperma potenti come cannonate che le colpivano la cervice uterina. Credo che ce l’avesse tutta imbrattata e ricoperta di bianco sperma.
Come mi avevano raccomandato mia madre e mia zia, quando l’avrei chiavata, senza farlo capire e farmi accorgere, la dovevo mettere incinta e così feci, la inondai di sperma proprio in fondo, sull’utero, mentre lei non capendo più niente mi stringeva godente non rendendosi conto che la fecondavo.
“La ingravidai! La misi incinta!”
E sempre seguendo i consigli di mia madre e mia zia continuai ancora a restare dentro di lei a muovermi, non so per quanto, svuotandomi completamente.
Era la prima volta che venivo dentro alla figa, con mamma non l’avevo mai fatto, eravamo attenti e fu un triplo piacere venire in lei, perché era la ragazza che amavo e avrei voluto sposare, perché l’avevo sverginata io e perché l’avevo messa incinta.
Ero soddisfatto di me.
Rimasi su di lei per qualche minuto, con il cazzo dentro la figa, ero stravolto, non mi sembrava vero che l’avevo chiavata anche se lei non voleva, l’avevo sverginata io e doveva essere mia perché l’amavo. Sentivo il suo respiro ansimante alzare e abbassare il mio torace appoggiato al suo ed il suo seno stretto tra noi.
Eravamo sudati fradici, spettinati, ci circondava solo l’aria calda dell’abitacolo che entrava dai finestrini aperti e il buio silenzioso della campagna, con qualche rumore ed abbaiare lontano.
Lo tirai fuori dalla sua figa tutto bagnato, oramai quasi mollo, lo feci sgusciare fuori dalla sua fessura lasciandogliela dischiusa, portandomi dietro un filo di sperma che usciva da dentro la sua figa terminando attaccato alla cappella, rompendosi poi per la tensione dell’allontanamento. Quando lo sfilai era sporco di sangue, il suo, quello verginale.
Lei era stralunata, ancora incapace di comprendere appieno quello che era successo, che avevamo fatto sesso e non era più vergine.
Allungò la mano tra le gambe e la portò sulla figa, si tocco e si sentì bagnata caldo. Portò le dita umide alla luce che era sullo specchietto retrovisore che avevo acceso e le guardò, vide il sangue, il suo sangue verginale, capì, realizzò quello che era successo oltre il piacere e scoppiò a piangere, singhiozzando. Non era più vergine!
Ribadii che le volevo bene, che l’amavo.
Anche le mutandine bianche si erano macchiate di sangue.
Esclamò tra i singhiozzi che lei non voleva Non voleva farlo, che era fidanzata e promessa a un altro e si dovevano sposare e che la sua verginità l’aveva promessa a lui.
“Io non volevo.” Ripeteva.
Mi dispiaceva vederla piangere così, mi sentivo un po’ in colpa e come per giustificare l’accaduto e smorzare la tensione le dissi ancora:
“Io ti voglio bene, ti amo Nunzia!!” Ma sembrava non sentirmi. E aggiunsi con il sorriso per stemperare la tensione mentre mi asciugavo il sudore:
“Ma se godevi!... Provavi piacere! … Anche tu partecipavi con amore.”
Non rispondeva, era assente, come se pensasse ad altro.
Bisbigliò con le lacrime agli occhi:
“Mi sei venuto dentro!... Ora come faccio?... Se lo sa mio padre mi ammazza!!... Sono fidanzata, mi dovevo sposare!!”
“Non ti spaventare. Io sono pronto a riparare! Ti voglio bene, ti amo. Ti sposo io.” Sussurrai, mentre mi guardava incredula piangendo.
Riuscii comunque a calmarla, le feci pulire la figa con dei fazzolettini di carta, dicendole di non dire niente a nessuno, soprattutto al suo fidanzato, che nessuno se ne sarebbe accorto di quello che era successo e non era detto che sarebbe restata incinta, anche se in cuore mio speravo fortemente di sì.
Le feci lavare la faccia a una fontanella vicina, perché non si vedessero gli occhi arrossati dal pianto, suggerendole, se le avessero chiesto il motivo, di dire che si era irritata con la polvere da prurito che gettavano i ragazzi nella piazza durante la festa.
Le feci togliere le mutandine macchiate di sangue, perché era meglio che nessuno le vedesse, nemmeno le sue sorelle, le tenni io, inconsciamente come trofeo da mostrare a mia madre ... Ci mettemmo a posto e risalimmo in macchina, partimmo taciturni e l’accompagnai dalle parti di casa.
Fu un viaggio silenzioso che lei fece a testa bassa, si sentiva disonorata da me, probabilmente si chiedeva cosa sarebbe successo dopo.
Ci salutammo distanti da casa sua senza nemmeno un bacio, solo un mio ciao e un suo sguardo di disistima.
Giunto a casa mia, raccontai tutto a mamma quello che avevo fatto e come, anche i particolari. Le feci vedere anche le sue mutandine sporche di sangue. Lei mi accarezzo sorridendo e mi disse bravo! Baciandomi.
“Vedrai che diventerà tua moglie!” Mormorò.
Poi ci sedemmo e ascoltò tutto, interessata e sorridente, dicendomi che ero stato davvero bravo a fare quello che mi aveva detto: “Se hai seminato bene, dobbiamo solo aspettare che le nasca il frutto nella sua pancia e vedrai che diventa tua moglie.”
Le dissi anche delle mie paure, se fossero andati dai carabinieri, visto che era stata una mezza violenza carnale… Ma che poi aveva goduto:
“Nooohh!!!! … Stai tranquillo, queste sono cose che qui da noi in Sicilia si risolvono come ti ho detto io, con il matrimonio riparatore, se lo vuoi tu. E conviene anche a loro, alla sua famiglia oltre che a lei accettare e diventarti moglie se non vuole restare svergognata, diffamata e sola.” Disse con cinismo.
Ma capivo la sua freddezza e indifferenza, a lei interessava il mio bene e pur di raggiungerlo era pronta a tutto. Il suo ragionamento era machiavellico: “Il fine autorizza i mezzi.” E il fine era che diventasse mia moglie, visto che ne ero innamorato.
Passarono alcuni giorni prima che la rivedessi di nuovo. Quando ci incontravamo, mi guardava da lontano, mi fissava a volte sembrava che mi sorridesse, altre volte si girava dall’altra parte per non guardarmi e altre ancora abbassava gli occhi al mio sguardo.
Un giorno sempre su consiglio di mia mamma, la fermai mentre eravamo soli in strada dichiarandole tutti i miei sentimenti, le dissi che l’amavo e che mi sarebbe piaciuto vivere con lei, che fosse diventata mia moglie sarebbe stata la mia regina.
Lei rispose che preferiva che non succedesse niente, che voleva continuare la vita di prima, che voleva studiare, viaggiare, andare all’estero con il suo fidanzato, che c’era Enzo per lei nel futuro. Nella sua ingenuità giovanile sperava e pensava di non essere incinta e che tutto per lei si sarebbe risolto e avrebbe potuto continuare come prima. Ma io non demordevo.
Come mi aveva consigliato mamma, mi ero riproposto a prenderla in moglie e glielo avevo detto.
Quando non le vennero le mestruazioni e si accorse che era incinta mi venne a cercare lei, ci incontrammo, eravamo soli nella piazza, mi si mise davanti dicendomi: “Sono gravida di un figlio tuo!”
“Di me?” Chiesi provocatoriamente sorridendo del suo sconforto e assoggettamento.
“Certo di te!” Rispose rabbiosa iniziando a piangere.
“Io ho avuto solo te, quello che aspetto è tuo figlio! …Lo sai!”
“E cosa vuoi fare adesso?” Domandai.
“Non lo so! Ho paura! Se lo sa mio padre mi ammazza!” Rispose tra le lacrime.
A quel punto mi fece tenerezza e la strinsi a me, l’abbracciai mentre piangeva e dandole la mano, in silenzio la portai a casa mia dove mia madre l’accolse sorridendo, abbracciandola come una figlia e la lasciai sola con lei, dove poi chiamata al telefono giunse anche mia zia, che le parlarono e la consigliarono su cosa e come fare.
Secondo le nostre usanze ora toccava a loro, alla sua famiglia farsi avanti con noi, chiederci di riparare se non volevano una figlia disonorata.
Su consiglio di mia madre, tornata a casa il giorno dopo confidò alla mamma che era incinta e che era stato Lucio a ingravidarla, dicendole anche che ci amavamo e io volevo riparare sposandola e che lei quell’altro, Enzo, non lo voleva e non lo amava.
Subito successe un pandemonio. La voce si sparse per il paese. Era svergognata, infangata e con lei tutta la famiglia.
“Come sei incinta di Lucio, se tu sei fidanzata con Enzo??” Disse suo padre.
Il suo fidanzato venendo a conoscenza di tutto la lasciò subito imprecandole contro, dandole della buttana… non avevano mai avuto rapporti sessuali tra loro ed essere incinta di un altro significavano corna per lui. Così la famiglia di Enzo il suo fidanzato e promesso sposo chiuse tutti i rapporti con la sua.
Ci fu un putiferio, il finimondo, lei fu schiaffeggiata da suo padre e chiusa in casa senza più uscire e in quanto a me fece sapere da conoscenti che me l’avrebbe fatta pagare per avergli disonorato e ingravidato la figlia.
Ma mamma fu brava a risolvere tutto, prima parlò con la madre di Nunzia, si incontrarono al mercato mentre facevano la spesa e al di là degli sguardi di diffidenza e odio da parte loro, le spiegò che volevo riparare:
“Sono ragazzi!... Queste cose succedono, ora dobbiamo pensare a riparare, voi a non avere una figlia disonorata e io un figlio minacciato.” Proseguendo: “Mio figlio è un buon partito, ha un lavoro fisso e ben pagato già a 22 anni. Mio marito lavora in Germania e ha comprato la casa dove abitiamo, che è grande. Siamo una famiglia per bene e se voi volete noi ce la pigliamo come una figlia.”
Le disse anche che quando mi sarei sposato mi avrebbero dato anche una dote in denaro, che la loro figlia si maritava bene e che non le conveniva essere ostili con me. Ma se loro non volevano pace, si tenevano una figlia incinta e disonorata.
Dopo qualche incontro al mercato tra di loro, la moglie parlò al marito, il padre di Nunzia e alla fine come si usa da noi accettarono! Soprattutto per le pressioni dei parenti e compari e di sua madre e della sua famiglia su suo padre. La situazione si risolse alla siciliana.
Ci incontrammo come si usa da noi, tutti a casa sua, con i suoi genitori e le sue sorelle, io ero con mamma, zia e la sua comare, essendo papà ancora in Germania per lavoro, sarebbe stato informato se ci fossimo accordati, se ci fossimo sposati.
Ci fu il chiarimento. I suoi genitori mi accettarono seppur un po’ a malincuore come un loro figlio donandomela in sposa. Nunzia accettò tutto, in fin dei conti le piacevo, anche se non ero il suo ideale di ragazzo, anche se lei aveva pensieri di essere libera e viaggiare e anche se l’avevo presa in quel modo. Oltretutto ero il padre del figlio che aveva in grembo e poi era anche una questione di decoro per lei.
Il suo promesso, ex, come dicevo sopra, sapendo tutto non la volle più neanche vedere, anche se l’amava, per lui oramai era una puttana. Doveva per forza scegliere me Nunzia se no sarebbe restata svergognata, e su iniziativa di zia, già si mormorava e sparlava di lei in paese, fino a giungere alle orecchie delle sue sorelle e a casa sua.
Suo padre era molto arrabbiato con Nunzia e con me, ma come si dice da noi:
“Fimmina a diciottànni, o la mariti o la scànni.”
(Ragazza diciottenne o la dai in sposa o l’ammazzi.) Era un proverbio siciliano. E allora la fece maritare.
Facemmo la stima della dote: Così lei portò, visto le basse possibilità economiche della sua famiglia, il corredo della biancheria e io da parte mia portavo un po’ di soldi.
Le nostre famiglie sposandoci si imparentarono, mio padre scese dalla Germania, io ero felice, mi sposavo la ragazza dei miei sogni, che avevo sempre desiderato, una delle più belle del suo paese, sarebbe stata lei la madre dei miei figli.
Ci furono le nozze riparatrici.
Fecero la lista delle nozze e stabilirono il giorno.
Il matrimonio avvenne una domenica di luglio, con Nunzia in abito bianco.
L’annuncio delle nostre nozze venne diffuso dalla sua famiglia, che organizzò anche il ricevimento.
Nunzia era smarrita poverina, viveva tutto questo un po’ estraniata, come qualcosa che le era arrivato addosso senza volerlo, qualcosa più grande di lei a cui non pensava proprio a 18 anni… il matrimonio e la maternità.
Come voleva la tradizione quel giorno indossavamo qualcosa di nuovo e Nunzia anche qualcosa di blu.
Poi ci fu il rito in chiesa e il matrimonio vero e proprio. Nunzia era bellissima quel giorno, splendida, sembrava una dea, una ninfa mediterranea ed era mia per sempre, ero felice...
Ci scambiammo gli anelli sull’altare e la promessa pubblica e religiosa di amarci per sempre e divenne mia moglie.
Quella notte la chiavai finalmente per la seconda volta, nuda nel letto, me la godetti tutta, fu bellissimo, era un fiore che sbocciava il suo sticchiu (figa) nero, piccolo in confronto a quello di mamma, ma era bello come il suo.
Lei la prima notte non sapeva cosa fare, era impacciata, timida, le insegnai le cose principali per amare il marito.
Il giorno dopo partimmo per il viaggio di nozze a Roma una settimana, tornammo felici.
Dopo sposati restammo ancora in Sicilia, abitammo subito in casa dei miei genitori, per un anno dove nacque una bella femmina che chiamammo Maria.
Poi comprammo con l’aiuto dei miei genitori e con un mutuo una casa nostra, dove nemmeno un anno dopo Nunzia diede alla luce un maschietto Marco, per poi ingravidarla ancora a distanza di un altro anno e dare alla luce un’altra femmina, Rosalia come mia madre.
Il maschio ora ha l’età che avevo allora io quando iniziai la relazione con mia madre. Lo vedo sempre giocare, scherzare e ballare con le sue sorelle e con la mamma e spesse volte mi chiedo cosa pensa di lei?
Io e Nunzia, nonostante il modo con cui siamo arrivati a sposarci e a vivere insieme, ora ci vogliamo bene davvero. Lei è diventata una buona moglie, devota e ubbidiente e una brava madre, ed è ancora molto bella nonostante le gravidanze e qualche chilo in più.
Siamo una famiglia felice. Tutta la sua indole selvaggia, di emancipazione, la voglia di viaggiare, di vivere libera, l’ha persa nelle tre gravidanze, a 23 anni aveva già tre figli.
Ora è una donna tranquilla, sposa e mamma senza grilli per la testa, pensa solo alla famiglia. Aveva ragione mamma che per calmarla dovevo crearle una famiglia e così feci.
Nunzia ha molta stima e considerazione di mia madre, lei non conosce quello che ha architettato, che se ci siamo sposati e ha tre figli è tutto merito suo, la crede una donna che ama molto il figlio (me) ed è amata da lui e vorrebbe che tra lei e i figli nascesse un rapporto d’amore e di affettività come c’è tra me e mia madre, che mi vuole veramente bene al di sopra di tutto.
Io spero di no!... Che tra lei e Marco e anche le altre figlie non ci sia mai quel rapporto sessuale che abbiamo avuto io e mia madre, ma solo affettivo e nemmeno tra Marco e le sue sorelle.
Ma se dovesse accadere qualcosa con Nunzia un giorno, chiuderei gli occhi e mi girerei dall’altra parte.
Devo dire grazie a lei, a mia madre... “A Sticchiusa” come era soprannominata se oggi sono felice e ho realizzato il mio sogno. Grazie mamma di tutto quello che hai fatto per me, del tuo amore incommensurabile.
I miei suoceri, le cognate, ora sono felici di noi della nostra famiglia e orgogliosi di Nunzia.
Riguardo a mia madre, lei ora vive con mio padre che è in pensione e spesso accompagna mia moglie a fare la spesa o tiene i figli a casa sua. Mio padre le vuole molto bene, la ama sempre, la reputa donna seria e fedele.
Se mio padre sapesse quello che abbiamo fatto io e lei, sua moglie, le posizioni, il trucco, i vestiti e la biancheria del sexy shop, le video cassette e che la prendevo anche analmente e oralmente e che una volta appena partito se l’era rasata tutta per compiacermi e per provare vanitosa nuove emozioni, guai… Lui la crede sempre come prima, pulita e seria…
La storia finisce qui, grazie a chi mi ha seguito a leggere la prima parte della mia vita.
Luccio ( con due ci, come mi chiamava mia madre).
Per mia moglie Nunzia:
“Tutte le donne aspettano l’uomo della loro vita, però, nel frattempo, si sposano con un altro e vivono felici con lui.”
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