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STORIE E RACCONTI EROTICI

VIETATI AI  MINORI DI 18 ANNI

All Right Reserved 2022

L'ETA' DEL DISINCANTO

cap. 9 il pestaggio.jpeg

VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI.

Note:

 

 

    “Le liti non durerebbero mai a lungo, se il torto fosse da una parte sola.”

    François de La Rochefoucauld.

 

 

CAP. 11 IL PESTAGGIO.

 

 

Quel litigio verbale fu breve tra Cumpà e Giulio mentre Cristina osservava stupita ma anche compiaciuta che loro due litigassero per lei. Certo lei amava Giulio e non Cumpà e non si sarebbe mai messa con quello zulù come lo chiamava lei, ma il fatto che due ragazzi bisticciassero per lei, seppur uno di loro non gli piacesse, la esaltava.

All’improvviso qualcuno si mise a urlare i fuochi, i fuochi… ci sono i fuochi artificiali e i lumini sul mare, sentendo i primi scoppi e vedendo i primi lampi colorati e luminosi in alto nel cielo e tutti i ragazzi e le ragazze raccogliendo veloci le loro cose corsero verso il molo. Anche le amiche di Cristina, chi in coppia con il ragazzo e chi dalla riva smettendo di baciarsi tornarono su a prendere le loro borse o il golfino e si misero a correre mamo nella mano verso il molo incuranti di loro tre che litigavano, anche noi terroni, il cosiddetto gruppo dei randagi corremmo in gruppo dietro loro mentre il cielo si illuminava maggiormente con i primi scoppi. 

Io mentre correvo dietro a loro mi voltai d’istinto a guardare indietro e li vidi fermi tutti e tre che discutevano, con Cristina tra loro due che cercava di calmarli e Giulio che parlava animatamente con Cumpà. Fatti pochi metri smisi di correre e mi fermai, voltai e li guardai facendo qualche passo indietro verso loro che stavano per essere avvolti dal buio visto che il fuoco stava scemando e non c’era più la fiamma grossa di prima che diminuendo lasciava soltanto la brace.

Giulio stava litigando con Cumpà e aveva colto quel momento che c’erano i fuochi d’artificio ed erano soli per portare via, parlarle, chiedere scusa e fare la pace con Cristina e avvicinandomi lentamente sempre di più, assieme al sottofondo di canzoni della radio che continuava ad andare con una canzone di Patty Pravo, pazza idea… sentii che allungando la mano a Cristina Giulio le disse:

“Lascia perdere questo zulù, vieni con me andiamo… voglio stare con te, parlare… chiarire e scusarmi.”

Lei si voltò verso di lui e fece il gesto con due passi sulla sabbia di allontanarsi da Cumpà e portarsi verso da Giulio, ma Cumpà la bloccò per il braccio dicendo:

“No…lei non viene con te. Lei resta qui con me!... Oramai è la mia femmina...”

Io in silenzio nel fondo oscuro dell’ombra della notte osservavo e ascoltavo incredulo. Sembrava tutto così assurdo, Cumpà avanzava realmente pretese su Cristina che sembrava sempre più smarrita, ma credo che volesse andare con Giulio.

“La tua femmina?” Ripeté Giulio ridendo:” Te la sogni una ragazza così, Cristina è sempre stata la mia ragazza e lo sarà finché non ci sposeremo.” Esclamò, con lei che abbozzò un sorriso sulle labbra.

 “Ma lui senza arrendersi replicò: “No oramai da stasera è mia… è la mia femmina.” E fece un passo avanti verso lei.

Ma Giulio non demorse, con la mano verso di lei con il palmo aperto in su e piegando le dita verso sé stesso la esortò:

“Dai vieni. Vieni amore… vieni Cry…” Allungando di più il braccio per prenderla per la mano con lei che stava tendendo la sua verso lui. Ma Cumpà si portò in avanti dicendo nel suo dialetto italianizzato:

“Ma allora non hai capito che ora Cristina è la femmina mia!”

Mi sembrava tutto assurdo, soprattutto quel non parlare di Cristina, forse dettato dallo smarrimento, dalla sorpresa o dalla paura, che sembrava un non decidere anche se non lo era, avvalorando non volendo il pensiero e il comportamento di Cumpà. Era come se fosse assente in quel momento, distaccata e distante da quello che stava avvenendo, eppure sono certo che volesse andare da Giulio, ma al di là del gesto non si muoveva, restava ferma tra loro due con i piedi nella sabbia, come bloccata da qualcosa che nemmeno lei conosceva. Senz’altro si sentiva confusa da quella situazione, essere desiderata da entrambi al punto da litigare per lei e vanitosa com’era, il fatto che se la contendessero la compiaceva, pur sapendo chiaramente da che parte stava il suo cuore e stava lei.

Da una parte c’era quello che reputava ancora ed era a tutti gli effetti il suo ragazzo Giulio, bello come il sole, biondo, occhi azzurri, fisico e viso dai lineamenti perfetti, che la rivoleva e si abbassava a chiederle scusa e dall’altra Cumpà, lo zulù, il capetto di quello che loro ritenevano un branco di terroni e randagi, minaccioso, spregevole e volgare che la voleva per sé. E che in fondo in quella serata così particolare e accalorata dopo il ballo, gli suscitava coinvolgimento. 

Cristina era vittima di sé stessa, del suo stesso gioco, della sua vanità e cocciutaggine a fare ingelosire Giulio con lui; cadendoci dentro, facendo involontariamente credere e diventare Cumpà pretendente reale, diventando lei stessa insicura e timorosa. 

In alcuni momenti sembrava assente, con gli occhi aperti, dalla mia distanza non riuscivo a definire se divertita o spaventata, sembrava dispiaciuta ma compiaciuta nello stesso momento di essere contesa nella situazione che si era creata. Non so cosa le passasse per la testa, ma non parlava, non diceva nulla, osservava solo come se attendesse che si risolvesse… e quel silenzio esitante avvalorava l’idea che Cumpà aveva di lei, che lui gli piacesse, che fosse diventata davvero la sua donna, che volesse andare con lui ma aveva paura di Giulio vicino. Mentre era tutto il contrario, aveva timore di lui e voleva andare con Giulio.

Giulio si fece più avanti allungandosi con il tronco per prenderla per il polso e tirarla, ma lui la rigirò e la tirò a sé dicendo provocatorio e arrogante:

“Ora te la bacio sulla bocca la tua bella ex ragazza…ti faccio vedere che oramai è mia!” E la tirò a sé più forte per il braccio, strattonandola, con Cristina che molla, inerte e apatica non attendendosi quel gesto da parte di Cumpà, priva di volontà,di reazione e di riflesso, come una stupida si sentì tirare verso lui e baciare improvvisamente sulle labbra senza che se l’aspettasse o riuscisse a impedirlo.

Subito staccandosi si porto il dorso della mano sulle labbra a pulirsele disgustata e si allontanò da lui dicendo: “Ma che fai?... Come ti permetti!” 

Avevo un presagio e sentivo che sarebbe finita male, mi guardai intorno a vedere se c’era qualcun altro che potesse eventualmente intervenire, ma non c’era più nessuno, erano tutti a oltre duecentocinquanta metri da noi, nell’oscurità sul molo o sulla riva a guardare i fuochi artificiali nel cielo illuminato e i lumini sul mare.

Proprio in quel momento quando mi rivoltai verso loro, sentii Giulio urlare:” Non ti permettere mai più di toccarla… lasciala stare, Cristina è mia... è la mia ragazza…”

E geloso all’improvviso gli sferrò un pugno in faccia, che lo fece indietreggiare e cadere sulla sabbia.

E mentre Cumpà era a terra, prese Cristina per il braccio dicendole:” Vieni con me! Ora è tutto come prima!”

“Non è più la tua ragazza…” Si mise a dire Cumpà tirandosi su e toccandosi il mento e il naso, avendo un taglio, forse fatto con un anello di Giulio.

A quel punto sentii la voce dolce e spaventata di Cristina:

"No dai ragazzi fermiiii... su smettetela…" Gridò, ma ormai il momento era partito.

Il caso se di caso si vuol parlare, volle che nessuno scegliesse di arretrare, in palio per loro due c’era Cristina. Entrambi si sentivano giustificati a pensare che era giusto che fosse l’altro a farsi da parte e che Cristina fosse maggiormente interessata a ognuno di loro, Giulio perché era la sua ragazza, Cumpà perché con i suoi atteggiamenti involontari aveva interpretato che volesse lui.

La musicassetta continuava ad andare con la canzone di qualche anno prima di Baglioni “Amore bello…”

“Allora vuoi la guerra!?" Esclamò Cumpà toccandosi il mento e vedendosi le dita sporche di sangue.

” Quale tua ragazza?? …. Lei è mia ormai e la mia femmina lo vuoi capire che ti devi levare dai coglioni?!...” Urlò:” …. Ora te lo faccio vedere io che è mia… e poi la prendo e in moto la porto a fottere (chiavare) alla madonetta, vedrai!” 

E reagendo si avventò su di lui.   

Cristina spaventata e agitata di quello che stava accadendo sbottò impaurita qualche parola:

” Fermi…! Smettetela...! Che fate?”

Ma si avventarono l’uno contro l’altro e iniziarono una colluttazione sulla sabbia davanti a lei, si presero per i capelli e si tirarono pugni e schiaffi. 

“Fai qualcosa … fai qualcosa…falli smettere” Mi disse vedendomi lì fermo, facendomi segno con la mano a loro due avvinghiati nella sabbia che si scazzottavano, mentre lei ingenuamente cercava di tirare da dietro la maglia di Cumpà per allontanarlo da Giulio.

” Non stare lì fermo impalato…si picchiano... Si stanno picchiando… non vedi!” Gridò allarmata con la sua voce dolce spezzata dal tremore e dalla paura.

Li vedevo… ma che potevo fare? Mettermi contro Cumpà? Avevo paura, mi avrebbe tirato uno schiaffo o un pugno che mi avrebbe cacciato per terra. 

Mi guardai ancora attorno nella speranza che ci fosse qualcuno nelle vicinanze che prima non avevo visto, ma non c’era più nessuno, oramai erano tutti sul il molo o sulla riva a circa 200 - 250 metri di distanza da noi. E da dov’erano non potevano né vederci perché il fuoco di quel piccolo falò si era affievolito, quasi spento e né sentire le voci e le grida di quello che stava succedendo perché lontani e distratti dai fuochi d’artificio, dai loro scoppi e boati e dai lumini sul mare. E nella distanza e oscurità anche se qualcuno si fosse girato a guardare verso noi, avrebbe visto soltanto ombre che si muovevano che non avrebbero fatto capire cosa succedeva.

Restai fermo a guardare e anche Cristina al di là di quel momento di reazione e di quelle parole di incitazione a intervenire dettomi, restò ferma immobile allarmata e incredula a osservare senza intervenire, guardando con i suoi occhi dolci, sconvolti e timorosi, come se aspettasse che tutto spontaneamente finisse presto.

Era come assente, estraniata, osserva incredula quello che avveniva, come se non capisse quello che stava accadendo, che quello che succedeva non le appartenesse e non sapesse cosa fare. Come se non si rendesse conto che era lei la causa di quel picchiarsi.  Credo che come a me anche a lei tutto le sembrò assurdo e banale che loro si picchiassero per lei. Forse inconsciamente ne era lusingata, compiaciuta nella sua vanità femminile, ma si vedeva in viso che era smarrita, a disagio e preoccupata.

Senz’altro sottovalutava il fatto stesso di quello che stava accadendo o sopravvalutava Giulio su Cumpà.

La vedevo insicura, incapace di decidere, dire soltanto:” Basta… basta…! Smettetela…!” Ma lei probabilmente non ne era capace a farlo. Il viso non era più colorato dalle fiamme, vivo, bello e ridente con tutti i lineamenti distesi e rilassati dalla mimica tranquilla e divertita di poco prima. Ora al chiarore solo della luna, appariva spenta, tesa, ansiosa e spaventata, con i lineamenti del viso inquieti, la bocca non più ridente ma socchiusa in una smorfia di apprensione che mostrava solo gli incisivi e la pelle pallida, quasi cerea alla luce della luna. Appariva goffa nel portamento che aveva nell’osservarli, non era più la posizione sexy e sicura e seducente di prima, ora era impacciata e incerta.

Si sentiva impotente, era come se evitasse di intervenire e la sua reazione a quello che accadeva fosse confusa, con uno sguardo sospeso, come se si ritenesse inadeguata a gestirla essendone la causa e volesse delegare ad altri il farlo e forse inconsciamente addirittura a loro stessi, al fato… o a chi avrebbe vinto la soluzione di quel picchiarsi.

Io fermo nel chiaro-scuro al limite di quell’ancora poco chiarore della brace e dell’inizio della scurità intensa della spiaggia la osservavo, era sconcertata dallo spettacolo rissoso che si trovava davanti. Anch’io come lei, pur essendo meridionale e facendo parte della banda di Cumpà, parteggiavo in silenzio per Giulio.

"Non fargli male?” 

Urlò all’improvviso a Cumpà vedendo che Giulio dopo un inizio esaltante iniziava a prenderle.

Io a quella scena improvvisa ero così incredulo che neanche mi accorsi che lei mi stava parlando.

“Fai qualcosa…fai qualcosa Lillino…” Ripeté muovendosi e sprofondando nella sabbia...

Ero a bocca aperta incredulo anch’io che Cumpà e Giulio fossero venuti alle mani (come dicevamo noi) per Cristina e davanti a lei.

Non potevo credere ai miei occhi, lei restava lì ansiosa e angosciata ferma o a fare passetti a guardarli senza riuscire a fare niente, si agitava e muoveva ma era sgomenta, incapace di intervenire. 

Quel bellissimo ragazzo biondo amato da tutte le ragazze, mia sorella compresa, era sotto Cumpà che le faceva mangiare la sabbia.

Lei nella sua inquietudine a volte guardava me o attorno a sé stessa come se aspettasse o cercasse che qualcun’altro intervenisse e risolvesse quel dramma, alzando le braccia gesticolando le mani verso il molo gridando:” Ehhhiiii!!!!... Aiutooooo!!!”

Era come se attendesse che la risoluzione di quella zuffa si risolvesse da sola, senza responsabilità per lei, ma purtroppo la risolse Cumpà.

 

Giulio ebbe la peggio e le prese, Cumpà era un attaccabrighe, abituato a fare a pugni e lo lasciò sulla sabbia a faccia in giù e inferì su di lui, gli mise un ginocchio sulla schiena e gli torse il braccio destro dietro la schiena facendole male e gridare:” Basta…basta…!”

“Allora di chi è Cristina… è la mia femmina?! Lo è la mia femmina?!” Gridò.

Giulio sotto dolore per il braccio sofferente e con gli occhi lucidi lamentò:

“Si…sì… va bene…è la tua femmina… ma lasciami il braccio … mi fai male, me lo rompi…”

Eravamo tutti e due senza parole io e Cristina a quella scena, io fermo e lei imbambolata senza sapere cosa fare, cosa dire.

"Chiedimi scusa! Chiedimi scusa!” Gli ripeteva Cumpà dietro lui spingendole il viso sulla sabbia e storcendole il braccio sulla schiena.” Hai finito di fare lo sbruffone con me!"  Gridò sottomettendolo e umiliandolo. 

Giulio piangeva dal dolore e dall’umiliazione:” Mi fai male! Mi fai male!” Ripeteva., mentre Cumpà sorrideva.

“Dillo che Cristina è mia… è la mia femmina ...dillo!” Gridalo forte che lo senta bene anche lei…!”  Urlò storcendogli di più il braccio.

“Si...sì... è la tua femmina… è tua…” Balbettò piangendo e umiliato davanti a Cristina, che si rese forse solo conto in quel momento della gravità di quello che stava accadendo, di quello che con il suo comportamento involontario aveva creato e senza che nessuno potesse intervenire.

In quel momento si era spezzato qualcosa per sempre tra loro.

Poi Cumpà tirò fuori il coltello che luccicò alla luce della luna. Glielo mise davanti:

“Lo vedi questo?... Lo vedi questo? “Ripeté mostrandoglielo e appoggiando la lama fredda e piatta sul suo viso esclamando:” Se ti vedo ancora vicino alla mia femmina te la faccio assaggiare, ti ricamo questo tuo bel viso…”

E lo lasciò per il braccio sbattendolo sulla sabbia. 

Cristina come me aveva assistito a tutto e aveva visto e sentito anche la scena del coltello appoggiato sul viso di Giulio, paralizzata dalla situazione era spaventata e incapace di muoversi e di parlare.

Era ferma con il suo gonnellino rosa e la camicetta bianca di fronte a Cumpà con le gambe tremolanti e i sandali con la zeppa sprofondati nella sabbia. Intimorita, e disorientata di quello che era accaduto, visto e sentito. Lo guardava allarmata, forse provando attrazione e preoccupazione e forse anche con disprezzo, ma era lui il vincitore.  Si, era Cumpà il vincitore di quella lotta dove assurdamente senza volerlo c’era lei in palio, e diceva e aveva fatto dire anche a Giulio che ormai lei era la sua femmina. I suoi occhi increduli erano diventati lucidi, non più pallida ma rossa in volto come non mai, per timore e vergogna. Lui si avvicinò, le prese il mento tra la mano e la baciò d’improvviso con passione e prepotenza sulle labbra, senza che lei sconcertata dicesse nulla, che lo allontanasse, era come se fosse assente, intontita... o peggio avesse inconsciamente accettato il verdetto di quel combattimento.

 

Giulio intanto sulla sabbia si lasciò andare tra la tensione, il dolore alla spalla e pianse con soddisfazione di Cumpà che lo osservava. E preso dalla vergogna e dall’umiliazione della sconfitta, come se non volesse far apparire tutta piena la vittoria per Cumpà mormorò:

“Tienitela… tienitela pure quella stronza… Non so che farmene…”

Mentre Cristina osservava e ascoltava allibita …. nel vedere Giulio il suo ragazzo dire che lei oramai era la ragazza di Cumpà, che era una stronza che non sapeva che farsene e se la poteva tenere benissimo. Dall’espressione Cristina, pareva non credere a quello che era accaduto e aveva sentito, sembrava stonata come diciamo noi in siciliano, che vuol dire frastornata, attonita.

Ma Cumpà rispose:

“Ora vado a fottere con Cristina che non è più la tua ragazza ma la mia femmina. Guai a te se ti ci rivedo ancora vicino a lei.” Disse.

Tutto avvenne in pochissimi secondi, in un momento, quasi che non ci fu il tempo per realizzare quanto stava avvenendo. 

L’aria era talmente tesa che si tagliava con il coltello, mentre nel cielo i fuochi d’artificio continuavano come lampi a scoppiare e a illuminarci tutti e negli spazi di tempo tra l’una e l’altro esplosione si sentiva la musicassetta della radio di Cumpà cantare Cocciante. “Bella senz’anima.”.

Lei lo guardava atterrita…

Dette quelle paroleche la portava a fottere alla madonetta (chiavare), con rabbia e rancore davanti a Giulio, si chinò sulla sabbia raccogliendo la borsetta di Cristina, la prese per il polso e la tirò a sé con forza, con lei che si lasciò strattonare, inerte, ammutolita, assente e spaventata…

“Andiamo! “Esclamò severo osservandola lussuriosamente:” Tu ora mi appartieni sei mia… Sei la mia femmina!” Esclamò tenendola per il polso e tirandosela dietro di sé mentre camminava sulla sabbia verso la sua moto, ripetendo: “Da questo momento sei esclusivamente la mia femmina… solo mia. Ora andiamo alla madonetta…” Ripeté inflessibile con lei smarrita e silenziosa in quel caldo afoso, ma raggelata da quello a cui aveva assistito e appena detto di voler fare Cumpà, senza avere la forza, la capacità o la volontà di reagire, lanciando un’occhiata a Giulio nel buio ancora sulla sabbia, seguendo Cumpà, lasciandosi trascinare passiva. Mentre lui avendomi visto diceva in dialetto a me che ero pochi metri da loro:

“Ehi Lillì…prendimi a radio che se no se la rubbano e portamela domani mattina in demolizione, che io ora vado a fottere la mia femmina.”

Ero allibito e intontito anch’io, non ci potevo credere a quello che vedevo e avevo sentito, non mi sembrava vero.

 

Camminando nella sabbia lui la tirava dietro sé con lei che apaticamente a fatica si lasciava condurre senza reagire pur avendo ben sentite le parole dette da Cumpà dove voleva portarla e cosa fare. Sembrava che non si rendesse conto, che fosse distante da quel che succedeva, aveva il viso confuso e sconvolto di quello che avveniva, senza riuscire a realizzare.

Sempre tenendola per il polso con il gonnellino svolazzante sulle lunghe gambe e i sandali a zeppa che la rendevano slanciata e più alta di lui, incapace di porre resistenza fecero lo scivolo di cemento dei pescatori dove tiravano su le barche e che congiungeva la spiaggia libera al lungomare, tra la poca gente che osservava i fuochi d’artificio e i lumini e non faceva caso a loro.  

Mi sembrava tutto assurdo, impossibile che fosse capitato e successo in pochissimo tempo, senza nemmeno avere un momento per realizzare quanto accaduto. Cumpà aveva picchiato Giulio e si stava portando via Cristina, come se fosse la sua ragazza, che in un certo senso sentivo anche mia; se l’era presa davvero. 

E mi chiedevo perché lei non reagisse, perché non fuggisse e si lasciasse trascinare per il braccio senza opporsi. Poteva scappare, gridare, chiedere aiuto sulla passeggiata del lungomare che c’era gente, e invece si lasciava trainare passiva da lui verso la sua moto, seguendolo a braccio teso nella sua mano, mentre Giulio nella sabbia probabilmente piangeva. 

Cristina non reagiva, non si opponeva e io non riuscivo a capire perché, eppure sapevo, avevo visto e capito che non voleva andare con Cumpà, che non gli piaceva, lo disprezzava: 

“Forse è spaventata…! Forse ha paura di Cumpà…! È impaurita…scioccata…?!”  Mi dicevo. Un po' come lo ero io in quel momento ad aver visto quello che era accaduto. 

Ma non era questo il motivo, la verità la seppi trent’anni dopo. (E in seguito vi spiegherò perché agì così, o meglio non reagì.) 

Giunti sulla passeggiata del lungomare, trainandola la condusse dietro di lui fino ad arrivare alla moto, al suo Satan con il numero uno pitturato nel disco bianco sul manubrio, che significava lui, il numero uno e con il teschio dipinto sul serbatoio verde. 

Tirò giù i pedali dietro e disse a Cristina. “Sali!!”

Lei esitava, ma lui lo ripeté ancora più forte:” Saliii!!” Con la faccia segnata dai pugni di Giulio che iniziavano a evidenziarsi e il mento tagliato e sanguinante.

E lei assurdamente e insensatamente, probabilmente per paura lo fece, salì senza dire nulla, senza opporsi, di sua volontà, come un automa, e come fu dietro con le zeppe sui pedali, il gonnellino si tirò su scosciandola tutta completamente fino agli inguini e ai glutei, mostrando le sue cosce lunghe. Lui alzandosi e facendo forza con la gamba sopra il pedale della messa in moto, con due colpi decisi l’accese, la mise in moto con quel rumore assordante e scoppiettante che avevano i cinquantini di allora, accelerò e decelerò un paio di volte per poi accelerare di colpo mentre i turisti a quel rumore assordante si voltavano a guardarli.

Alzando la gamba e lo zoccolo che aveva al piede scavalcò la sella e si collocò davanti a lei, prendendole le mani e mettendosele sui fianchi e accelerando partì con la moto con Cristina seduta dietro lui, compiendo la gimcana tra i passanti che lo mandavano al diavolo. Facendo un tratto di lungomare su una ruota in due, con lei dietro che per forza di cose, per non scivolare indietro, si aggrappava e si stringeva forte a lui passandole le mani dai fianchi in avanti sull’addome, tenendole unite per non cascare. Sembrando a chi non avesse visto cosa era successo prima, che lei fosse davvero la sua ragazza e lo abbracciasse e stringesse perché non volesse perderlo. Ma non era così. Nel mentre il gonnellino dietro svolazzando maggiormente all’impennata, mostrò le mutandine bianche e l’elastico di esse sopra i  glutei ed  essendo a vita bassa anche la parte superiore del bacino.

Ero strabiliato, posso benissimo dire impressionato da quello che avevo visto.

Mi voltai e vidi Giulio alzarsi dalla sabbia e andarsene dall’altra parte della spiaggia tra gli ombrelloni e il buio, forse piangendo, fino a raggiungere il suo Zundap, metterlo in moto e andarsene dalla parte opposta.

Io smorzai e coprii il fuoco con la sabbia, presi la radio e la spensi e con essa in spalla raggiunsi gli altri sul molo a osservare i fuochi d’artificio e i lumini sull’acqua, ma non ci riuscivo ero sconvolto, mi sembrava tutto assurdo e mentre camminavo mi chiedevo:

” Ma davvero Cumpà la porta alla madonetta?... Nooo!!!” Mi rispondevo:” Non è possibile… faranno un giro in moto assieme, la bacerà di nuovo e poi l’accompagnerà a casa.”

Quando raggiunsi il gruppo sul molo, il fuoco dietro a noi con la sabbia che gli  avevo gettato sopra si era spento oramai e una delle milanesi, Ilaria vedendomi arrivare solo con la radio sulla spalla, non avendo visto la scena mi domandò:

” Dove sono gli altri?”

“Sono andati via …” Risposi imbarazzato...

“Ahhh…!!”  E rivolgendosi ai suoi amici li informò:” Sono andati via… 

“Saranno andati a fare pace…” Disse Stefy sorridendo maliziosamente. 

E si misero a riguardare i fuochi, pensando che Cristina e Giulio fossero andati via assieme e lo zulù come lo chiamavano loro Cumpà, per conto proprio.

Anche i miei amici mi chiesero:” Do sta Cumpà?!”

Risposi la verità in dialetto:” Se n’è andato con Cristina chiavainculo a fottere alla madonetta.”

“Dice che se n’è andato con la chiavainculo a fottere!” Ripeté Nofrio verso gli altri ridendo.

“Si… a fottere la chiavainculo…” Esclamò sarcastico Totò aggiungendo: “Chissà dove se ne è andato quello… Lascialo perdere questo scimunito…” Esclamò rivolto a me, come se non si fidassero di quello che dicevo:” … domani ce lo facciamo dire da lui direttamente dove è andato stasera... “Sarà andato a chiavare qualche buttana a pagamento… non lo sai che lui paga le buttane per fotterle.” Disse ridendo Turi.

Nessuno disse più niente. Finiti i fuochi ci dividemmo i milanesi per i fatti loro e noi per i nostri. 

 

Salutandoci tornammo a casa ognuno per conto proprio, io triste per l’accaduto, ancora incredulo di quello che avevo visto, con la radio di Cumpà che tenevo per il maniglione. Ero dispiaciuto e geloso. Mi dispiaceva quello che era successo, che avesse picchiato Giulio e che fosse riuscito a portarsi via in moto Cristina. In quel momento vivevo quell’accadimento come se fosse accaduto a me. E mi ripetevo sempre per consolarmi ed esorcizzare la mia paura:

“Figuriamoci se una ragazza come Cristina si fa fottere(chiavare) da lui…”

Arrivato a casa non andai a dormire, restai alla finestra a guardare la strada, la casa e il portone di Cristina, che riuscivo a vedere tra due caseggiati dalle mie finestre.

Passo un’ora e verso le 23.30 sentii in lontananza il rumore inconfondibile del motorino di Cumpà che si avvicinava e poi si fermava in fondo alla via. Guardai ed erano loro seduti sulla sella e vidi lei scendere parlare alcuni secondi con lui e poi camminare con i sandali a zeppa vicino al muro e andare verso casa sua, mentre lui ripartiva e si allontanava in moto con quel rumore di marmitta stridulo e fastidioso.  La segui con lo sguardo e la vidi infilarsi nel suo portone e salire.  Non mi sembrava che ci fosse niente di strano, a parte lei che camminava a testa bassa, ma pareva tranquilla, normale. 

“Forse l’avrà baciata… limonata…” Pensai. Ma mi dicevo ragionando da solo:” Non credo… lui non gli piace… forse dopo li ha raggiunti Giulio e si sono chiariti...” 

Mi facevo mille supposizioni per capire dove erano stati e cosa avessero potuto fare in quell’ora che erano stati via assieme.

Notai nel suo palazzo le luci delle finestre e della sua camera accendersi e dopo una decina di minuti spegnersi.

A quel punto andai a letto anch’io deluso dell’accaduto…. con il pensiero, la speranza e la curiosità di sapere cosa era successo in quell’ora. Il pensiero di conoscere cosa era successo con Cumpà mi preoccupava conoscendolo. Ma pensavo positivo, avevo la speranza, quasi certezza che non fosse successo niente e non l’avesse portata davvero alla madonetta e se la fosse chiavata come aveva detto lui. Ma la curiosità di sapere dove erano stati quell’ora che erano spariti dalla spiaggia mi attanagliava.

Poi mi dissi:” Domani mattina quando gli porto il radione me lo faccio dire dove sono stati e cosa hanno fatto.” E con quel pensiero mi addormentai pensando:” Certamente non sarà successo niente. Giulio è bello come il sole... Alto, biondo, occhi azzurri, fisico scolpito con il viso dai lineamenti perfetti e piace a tutte le ragazze, anche alle terrone. I suoi occhi sono chiari e grandi che il sole si può benissimo rispecchiarcisi dentro. Mentre Cumpà in confronto a lui non è niente, né bello, né alto, occhi scuri e non piace a nessuno, nemmeno a me che ero suo amico… e alle nostre compaesane.”

 

Quella notte seppur stanco, dormii poco e male per quello che era avvenuto. Il mattino dopo mi alzai già con il pensiero di Cristina, guardai dalla finestra le sue erano ancora chiuse, probabilmente era ancora a dormire. Era sabato mattina e a casa sua c’erano anche i suoi genitori arrivati il giorno prima per il suo onomastico e che sarebbero partiti la domenica sera con la loro alfetta, per ritornare e fermarsi stabilmente in vacanza il mese successivo, ad agosto.

Appena pronto salutai mia madre dicendo che andavo al mare, assorbendomi tutte le sue raccomandazioni e prediche. Presi la radio di Cumpà, scesi e mi avviai subito verso l’officina di autodemolizione dove lavoravano lui e i suoi zii che era in periferia.

Non so perché ma quella mattina ero di buonumore, convinto che non ci fosse stato nulla tra Cumpà e Cristina. Passai dal budello che era già affollato da persone che faceva acquisti o andava al mare e nel fornaio mi fermai ad acquistare della focaccia, bella calda croccante con una fragranza buonissima e mentre mi avviavo a piedi alla loro autodemolizione me la mangiai con gusto.

Quando arrivai ed entrai dentro l’autodemolizione lo vidi che stava aiutando suo padre a smontare un’auto e caricare i pezzi su un motocarro.

Mi vide e mi guardò e io lo salutai con la mano.

Quando si avvicinò sorrideva:

“Ti ho portato la radio Cumpà!” Dissi alzandola per il maniglione mostrandogliela.

“Grazie!”  Mi rispose.

“Guarda che all’interno c’è ancora la musicassetta che ha messo dentro quella chiavainculo di Cristina ieri sera.” Gli dissi.

Lui sorrise e mormorò:” Oggi o stasera gliela darò…” E mi fece segno di aspettare e mentre si allontanava mi guardava e rideva. Capii che c’era qualcosa che non andava, ma non immaginavo mai quello che mi avrebbe detto poco dopo da raggelarmi nel mese di luglio e farmi diventare serio subito.

Finito di smontare il pezzo con suo padre e messo sul motocarro si staccò da loro e venne da me, prese la radio e la mise all’interno dell’abitacolo del motocarro e mi osservò mentre io guardavo lui.

“Che talii?? (Che guardi?)” Domandò sorridendo.

“Niente…” Risposi, ma lui capì perché ero lì e all’improvviso mi chiese:

“Vuoi sapere se mi sono fottuto (chiavato) la chiavainculo ieri sera?”

Feci un cenno affermativo con il capo e aprii la bocca come dire:” Ehh…. siii!! Se vuoi…” Senza dirgli che l’avevo vista rientrare la sera prima.

“Tu che dici?” Mi domandò.

“Io non so!... So che è la fidanzata di Giulio…” Ribattei.

“Era…” Precisò subito.” Era…”  Ripeté alzando e muovendo la mano in alto e indietro, verso la schiena come a gettare le cose dietro:” … Era… “Ribadì sorridendo:” …ora è la mia femmina, hai visto anche tu assira (ieri sera).”

“Si certo!” Mormorai io.

Poi guardandomi e parlandomi sempre in dialetto, esclamò sorridendo e trionfale:

” È certo che lo fottuta… l’ho portata alla madonetta e l’ho chiavata nell’erba e l’ho anche sverginata…” Aggiunse inaspettatamente lasciandomi impietrito a quelle sue parole e proseguendo sorrise ancora di più:” …godeva…Sta tranquillo che a Giulio ce lo faccio dimenticare io con la mia minchia” Affermò storpiando l’italiano con il dialetto.” Non ci pensa più a lui se no busca… (le prende).” E rise. 

Restai fulminato da quello che aveva detto, sconcertato, sono sicuro che impallidii, non ci volevo credere a quello che mi aveva detto ed esclamai incredulo:

“Minchia Cumpà... davvero a svirginasti tu?”

“Certo!... Si!... Io…” Rispose superbo e orgoglioso facendosi dritto con la schiena e tirandosi indietro i capelli lunghi neri e sudati con le mani, che anche se pulite nello straccio erano sporche di grasso.

 

Non riuscivo a crederci, non volevo crederci, non poteva essere vero che lui si fosse chiavato davvero la mia Cristina e ripetei d’istinto dubbioso:

“L’hai chiavata… ma davvero?... “

“Uèè!!... Lillino! … Io minchiate(bugie) non ne racconto. Certo che lo fottuta (chiavata) ripeté.

Alle sue parole mi sentii infelice e triste, Cristina la consideravo il mio amore segreto, la musa dei miei sogni e delle mie masturbazioni e con voce bassa per saperne di più gli domandai:

“Ma come hai fatto?” Sapendo che purtroppo era un tipo che non mentiva.

E sorridendo e presuntuoso guardandomi pronunciò:” Hai visto cosa è successo ieri in spiaggia?!”

“Si!” Ribadii.

“Ebbene io a quella chiavainculo… la Cry come la chiamano loro i milanesi, l‘ho portata alla madonetta a fottere…” A risentire quelle parole domandai ancora:

“Ma la chiavainculo non disse nudda, non si rigirò contro di tia? (Ma la chiavainculo non ha detto niente, non ha fatto resistenza contro te?)” Chiesi scettico e perplesso.

“Macché…! Quale resistenza …? “Fece un sospiro e una espressione sicura:” Le piace la minchia (il cazzo) di Cumpà a quella! E cosa ti devo dire Lillino?... Oramai è la mia femmina!” Rispose ancora deciso e convinto.

“Mi racconti come facisti a fotterla (fatto a chiavarla) Cumpà?” Domandai impressionato e curioso ripetendo:” Me lo dici!? “ 

E lui sorridendo, senza che gli chiedessi altro, vanitoso in dialetto iniziò a raccontarmi.

 

 

 

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