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STORIE E RACCONTI EROTICI

VIETATI AI  MINORI DI 18 ANNI

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L'ETA' DEL DISINCANTO

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VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI

 L’ETA’ DEL DISINCANTO

 

 

CAP. 3 LE VACANZE AL MARE. 

           ( Cristina e Giulio)

 

Note:

 

“Una vacanza è come l’amore – attesa con piacere, vissuta con gioia, e ricordata con nostalgia e a volte con amarezza.”

(Anonimo)

 

 

 

Fino all’arrivo di quel Cumpà, la nostra rivalità era l’aspetto esteriore della nostra rabbia basata soprattutto sull’invidia e non la cattiveria, tra il mostrarci maleducati e scontrarci con qualche spallata e a volte capitava qualche spintone e delle parole volgari, ma nulla di più. 

Spesso, infatti, erano tensioni e conflitti voluti da noi per mostrarci alle loro ragazze che poi sfociavano in litigi personali. A volte si iniziava per un diverbio perché si facevano apprezzamenti spinti o si corteggiava una ragazza di loro, magari la più bella o con la personalità più brillante e quindi attraente, con il suo lui o loro che non approvavano e ci guardavamo in cagnesco con occhiate cattive, fino a reagire e strattonarci o spingerci a vicenda.

Ragazzate, liti da strada che degeneravano in minacce senza seguito e qualche spintone. 

Sapevamo che erano le loro ragazze e con noi non sarebbero mai venute e più che farle battute oscene o spiarle nelle cabine quando si spogliavano e mettevano il costume, oppure quando andavano in camporella con il ragazzo, non facevamo altro. 

In un certo senso non evidentemente ma segretamente le rispettavamo perché ci piacevano e avevano la nostra età, anche se le ritenevamo superiori a noi e alle nostre sorelle, zie, cugine. Era sempre una guerra di urti e spintoni, loro da una parte noi nell’altra. Neanche la musica che era universale ci univa. 

 

Ma entrando nel merito, riguardo Giulio e Cristina noi non li sopportavamo perché erano belli, sbruffoni e se la tiravano. Soprattutto ce l’avevamo con Giulio, perché era bello, aveva la moto più bella, la ragazza più bella, Cristina. Aveva i vestiti migliori e all’ultima moda e per questo era invidiato, imitato e odiato, stava sulle palle o sulla minchia come dicevamo noi a tutti.

 

A differenza di noi che lavoravamo durante le giornate, loro facevano i turisti e si divertivano e le loro giornate mattino o pomeriggio erano abbastanza abitudinali anche se piene di sole e divertimento, come tutte quelle degli altri membri della loro compagnia. Spiaggia, nuoto e tuffi dagli scogli o dalla boa (allora c’erano le boe a venti metri dalla battigia), con nuotata a riva. Oppure a fare il bagno con il materassino e cercare di prendere qualche paracadutino pubblicitario lanciato dagli aerei che passavano sulle spiagge a bassa quota con lo striscione propagandismo dietro, o se no fare qualche giro al largo in pedalò.

Diversamente si incontravano nel piccolo dehors del chiosco dei bagni sulla spiaggia, dove c’erano pochi tavolini e vendevano bibite e merendine soltanto, a sentire musica del jukebox e ballare tra di loro. 

A volte, soprattutto nei pomeriggi, andavano al minigolf o ancora al mare o rifacevano qualche passeggiata con le bici e andavamo a prendersi il gelato, altrimenti compivano escursioni nell’entroterra a piedi o anche in moto. Lo stesso in paese, quando si muovevano con la moto, il Muller cinquantino, lo facevano o soli o in compagnia con altri. 

Alla sera, ancora passeggiate sul lungomare sennò la visita in qualche sagra paesana o fiera, o in caso contrario a ballare in qualche discoteca, o andare al cinema oppure al minigolf a divertirsi, mai sino a tardi al massimo le 24.00 perché Cristina e altre ragazze dovevano rientrare.   

 

Il ritrovo per tutti era al Minigolf, situato nel centro storico della cittadina, lungo un viale alberato con panchine sui lati che portava al mare, chiuso al traffico in entrata e uscita con una sbarra di legno laterale a strisce oblique bianche e rosse che impedivano l’accesso alle auto ma non alle moto anche se era vietato. 

Nel minigolf dopo un’ampia entrata, all’interno c’era il chiosco con il bar in cemento, che proponeva cocktail, bibite, panini, gelati, drink o caffè e aveva un ampio dehors spazioso con tavolini, sedie, ombrelloni e dondoli dove accomodarsi, che permettevano di passare delle ore liete e spensierate a divertirsi o aspettare in comodità il proprio turno di gioco sulle piste in cemento con buca. 

Affianco alla struttura del bar, sotto una tettoia che dava ombra c’era un Jukebox con tutti gli ultimi dischi di quell’estate favolosa, che spandeva le canzoni per tutto il locale e per il viale alberato, dove si poteva ascoltare il sottofondo anche fuori, seduti nella panchina con la ragazza e le moto vicino. Inoltre c’erano due flipper sempre occupati e due calcio biliardo (biliardino) da giocare in quattro e tavoli da ping pong sul retro… e parecchi giochi per bambini.

Nonostante fosse vietato, contravvenendo alla segnaletica si giungeva anche in moto davanti all’entrata e si posteggiava fuori. I vigili urbani (non c’era la polizia municipale o locale) erano tolleranti, bastava che non ti sorprendessero ad arrivarci o andare via a motore acceso, e se erano posteggiate bene da non intralciare il passaggio le lasciavano stare. Per questo molti di noi arrivati all’inizio della sbarra laterale in velocità, spegnevano il motore, passavano affianco ad essa e arrivavano con la moto in folle e silenziosamente per forza di inerzia. 

Era luogo ideale dove passare un pomeriggio, ma anche una serata in tranquillità divertendosi. Sembrava di essere fuori dalla città e di giorno si ci godeva il l fresco mentre in centro e alla spiaggia c’era l’afa.

 

La discoteca estiva all’aperto che a volte frequentavano loro, dico loro perché a me non facevano entrare essendo un ragazzino, ma a volte nemmeno le loro ragazze chiedendo il documento di identità, era situata fuori centro storico, vicino al porticciolo turistico, al termine del lungomare.

Era una struttura di cemento armato su un piano. Al primo che era al livello del lungomare rialzato, c’era una pizzeria ristorante, scendendo una scalinata si arrivava sotto a livello della spiaggia, nella discoteca vera e propria, dove il corpo centrale del locale era composto da una zona coperta che aveva attorno una parte esterna che componeva una terrazza sul mare. L’insieme era formato da un grande pavimento in cemento piastrellato che faceva da pista da ballo, attrezzato tutto attorno con tavolini e sedie e al centro la consolle del disc jockey. Il tutto con impianto di illuminazione e faretti con luci stroboscopiche che permettevano di realizzare immagini a effetto.

Loro ma anche i miei compagni ci andavano a passare qualche sabato sera all’insegna della trasgressione della discomusic e del divertimento che era assicurato e anche l’intimità per i più grandi che portavano le ragazze a baciare e a fare altro in riva al mare... sentendosi la musica di sottofondo.

Davanti all’entrata della discoteca se ne vedevano di tutti i colori, ragazze con minigonne e zeppe con tacchi altissimi, dove appena una di loro si abbassava per raccogliere qualcosa caduta o mettersi a posto il sandalo, dietro si alzava la minigonna e si scosciava fino al limite della decenza, mostrando posteriormente le mutandine. Esternamente ragazzine scatenate e giovani signore adulte con spacchi nella gonna del vestito e grandi scollature sembravano fare a gara a chi osasse di più.

 

Come scritto io abitavo quasi di fronte a Cristina e la vedevo spesso uscire o rientrare, da sola o con sua nonna. Capitava che a volte vedendomi sul mio portone venisse a chiedere qualche informazione del tipo dove si trovasse un determinato luogo o negozio visto che ero del paese o se potevo farle qualche commissione; ed io ero felicissimo di aiutarla e di fargliela. Era anche coetanea e conoscente di mia sorella, anche se non se la cagava nemmeno (come si diceva allora), qualche sorrisetto e saluto con il gesto della mano, ma nulla di più, per lei era solo una terroncella comune. Lei invece, mia sorella la ammirava, cercava di imitarla, ne era affascinata e invidiosa del suo atteggiarsi e modi di fare e si sentiva inferiore come tutte le sue amiche e come a loro, le piaceva Giulio il suo ragazzo, mentre io segretamente amavo Cristina e la guardavo, e imitavo per quel che potevo Giulio. Erano belli.

Quell’estate era arrivata a giugno, finito la scuola e aveva ripreso a fare la sfilata di esibizionismo nel budello (via centrale), alla spiaggia e al minigolf con Giulio e le amiche.  Spesso la osservavo uscire dal portone con i suoi capelli biondi sulla schiena, con i jeans e maglietta aderenti, sopra agli zatteroni che la slanciavano in alto rendendola più sexy e desiderabile. Da come si vestiva in un determinato modo, immaginavo dove si recava. Quando andava al mare in genere aveva gli short di jeans, una maglietta a mezze maniche, zatteroni o gli infradito e il suo cappello a falde di paglia, con la borsa da spiaggia anch’essa di paglia a manici lunghi, che poteva essere portata anche a spalla, con uno stemma davanti. All’interno l’asciugamano, un libro o rivista di attualità e sempre il piccolo mangianastri e qualche musicassetta che le piaceva e ascoltava in spiaggia. Oltre le sue cose da ragazza, qualche trucco per farsi bella, occhiali se non l’indossava già e portafogli e chiavi di casa.

 

A volte passando dal minigolf se era mattino si sedeva al tavolino con le amiche a fare colazione, se era di pomeriggio a chiacchierare e conversavano. Io vicino a loro fingendo di fare qualcos’altro e di essere estraneo alla discussione, le ascoltavo parlare nel loro dialetto milanese con la loro cadenza dialettale e le voci fini, anche graziose, mentre il Jukebox faceva andare canzoni di quel momento. 

Un giorno ascoltai una loro chiacchierata futile e sentii Stefy, la sua amica dire:

” Ho il dubbio! … Sono sempre a tormentarmi se è meglio l’olio di cocco o quello alla carota sulla pelle? Qual è che abbronza e protegge di più?” Domandava alle amiche.

E la sua amica Ilaria con la rivista in mano rispondere decisa:” L’olio di cocco… lo adoperano anche in africa!” E poi rivolgendosi a Cristina dire:

“Ma lo sai che la camomilla schiarisce i capelli?... Guarda qui c’è un articolo!” Porgendole la rivista con le pagine aperte sul servizio.

“Sì!” Rispondeva Cristina:” Regala un tono dorato alle ciocche! L’ho letto anch’io… qualche volta proverò.”

E Patrizia nel cambiare discorso improvvisamente esclamava:” Ragazze, andiamo al mare a fare il bagno? “

“Nohh…. c’è vento… mi fa venire i capelli intrisi di sale…. e mi stanno male poi, gonfi e sfilati.” Ribatté Ilaria.

“Oh dai… ti fai la doccia con l’acqua dolce dopo…” Rispose Stefy.

“Eh anche se faccio la doccia mi si gonfiano lo stesso…” Replicò ancora Ilaria.

“Oh segnur… “Sbuffò Patrizia.

E Cristina toccandosi con le dita una collana colorata sul petto, dire:

” Dai andiamo… prendiamo il sole, io vado sugli scogli, sulla rotonda in mezzo al mare. Tu metti un fazzoletto in testa se il vento te le rovina … “La esortò:” …io ho il mio capellino di paglia…” 

E Stefy rispondere:” Dai!... Mi han detto che con questo vento non si ci scotta ma ci si abbronza di più…”

“Io intanto ho la crema e la metto su… Ne vuoi anche tu Stefy?” Domandò Cristina, sollecitandola in dialetto milanese: “Su andem…” 

E si alzarono incamminandosi sempre chiacchierando tra loro.

Cristina portava un cappello di paglia comprato nel negozio vicino a casa nostra e me lo ricordo bene perché ero lì fuori, vicino che la osservavo quando lo guardava sull’espositore esterno sul marciapiede e nello sceglierlo ci mise molto. Vanitosa com’era ne provò parecchi modelli e si guardò allo specchio più volte e alla fine ne prese uno abbastanza particolare, un capello di paglia con bordo color arancio di due centimetri sulla falda attorno. Ed ero contento, perché osservandola di nascosto aveva scelto proprio quello che piaceva a me e le avrei voluto regalare io.

A volte quando non c’era Giulio, in genere al mattino la incrociavo per strada e senza farmi notare la seguivo. Una volta l’ho vista entrare al mercato e l’ho veduta curiosare su una bancarella e l’ho sorpresa mentre in silenzio canticchiava una canzone degli Alunni del Sole muovendo le labbra, ricordo che si intitolava “Jenny”.

Era una dolce estate, il sole caldo, il mare azzurro, tempo di tuffi con sottofondo di canzoni e ognuno a modo proprio era felice.

 

E intanto che loro facevano quei discorsi frivoli andando verso la spiaggia, da un'altra parte qualcuno ne faceva altri. Lui il nostro leader, Cumpà, ci aizzava contro di loro.

Quell’anno con Cumpà ci fu il salto di qualità, niente sarebbe stato più come prima, lui andava dritto al problema in modo deciso e risoluto e avrebbe cambiato tutto.

Quando giunse in Liguria che divenne il nostro capo, Cumpà ci dichiarò che noi ai milanesi dovevamo sottometterli e non essere servili con loro come eravamo stati fino a quel momento, ma reagire, colpirli in quello a cui tenevano di più. E già da aprile in un angolo del dehors del minigolf appena aperto per il periodo pasquale ed estivo, con lui seduto al centro sul dondolo e noi tutti intorno sulle sedie ci informava:

“Sapete a cosa tiene di più uno del nord e un milanese in particolare?”

E noi seduti attorno rispondevamo a caso:” La macchina…?”

“No…” Replicava.

E un altro di noi esclamare: “I vestiti…?”

“Nemmeno quello! No…. “Rispondeva.

Qualcuno disse anche:” La barca o qualcos’altro?”

 Ma lui ripeté:” Noohh!” Scuotendo la testa con i suoi lunghi e stopposi capelli neri.

“Quello a cui tengono di più i milanesi sono due cose…” E ci guardò dicendo.

“Le femmine e i soldi…” Fece una pausa a guardare i nostri visi sorpresi e aggiunse:

“Ora i soldi non gliele possiamo prendere se non glieli rubiamo, ma rischiamo di finire in galera. Invece le loro femmine si, possiamo prendercele… e fottercele!”

Ci fu un brusio: “Ehh ma come facciamo Cumpà?” Disse Nofrio.

“Ce rubiamo, ci rubiamo le loro femmine e ce le fottiamo…” Gridò Cumpà sorridendo in mezzo dialetto siciliano e mezzo italiano.

“Siiii!!” Urlo qualcuno alzando il braccio in aria.

E iniziò a dire sempre mischiando dialetto e italiano:” Le loro femmine sono tutte chiavainculo…”

“Che vuol dire …<chiavainculo?> Cumpà!” Domandò Nofrio che non essendoci stata la volta prima che l’aveva spiegato non lo sapeva.

“Vuol dire che alle loro femmine ci piace farsi fottere nel culo da noi meridionali, a tutte quelle ragazze lì! Alle loro femmine…piace chiavare nel culo!” Ripeté, guardandoci tutti girando la testa e lo sguardo su di noi.

Come detto all’inizio era un modo dispregiativo per dire che le donne del nord erano tutte puttane e le piaceva essere sodomizzate… e difatti non finii il pensiero che precisò:

“Non sono come le nostre femmine…. Le milanesi sono buttane, vogliono la minchia in culo, la nostra minchia…! Quindi ci fotteremo le loro chiavainculo!” Rispose a Nofrio ridendo, aggiungendo:

“Loro c’hanno le femmine … e noi ce le pigliamo.” 

Secondo le sue parole avremmo dovuto prenderci le loro ragazze, sembrava più una dichiarazione di intenti piuttosto che doverlo fare realmente, un nuovo gioco d’estate, qualcosa di diverso che aveva portato lui.

Fummo tutti d’accordo in teoria, ma in pratica era impossibile. Non sarebbe mai accaduto che le loro ragazze sarebbero venute con tipi come noi. 

E comunque Cumpà tirando in su il torace che mostrava dalla camicia aperta davanti, disse spavaldo: “Lo darò io l’esempio…” Chiedendo: “Chi sono le chiavainculo più importanti qui?”

“Qualcuno sorrise dicendo:” Cristina è la più bella di tutte…”

“Si!” Rispose Turi:” Viene tutti gli anni e passa l’estate qui, hanno la casa.”

A quel nome d’istinto scattai dritto con il busto come per difenderla, proteggerla da qualunque pericolo o cosa le volessero fare.

“Si è la più bella, ma è fidanzata e il suo ragazzo fa Karate e Kun fung (in quegli anni andavano di moda quel genere di film lì tipo Bruce Lee) è un capo pure lui non se la lascerà portare via…”  Dissi per farlo desistere.

Pensavo che dicendo quelle frasi, in quel modo, avrei fatto morire tutto sul nascere, invece dicendogli involontariamente che era un capo e sapeva il Karatè e il Kun fung e non se la sarebbe fatta portare via, lo esaltai di più.

“Bene… combatteremo allora tutti uniti e ci porteremo via la sua femmina…” Dichiarò.

Sembrava tutto assurdo, roba da film, da ottocento.

Ero agitato, innamorato com’ero non volevo che toccasse Cristina, che la molestasse, che rovinasse il mio sogno, il mio modo di pensarla e rincarai la dose:

” Non ce la farai Cumpà… lui è forte e poi si amano e si devono sposare.”

Lui si avvicino a me con il viso e lo sguardo in una espressione di sfida, dandomi un buffetto sul mento dicendo in dialetto:” Queee…io non tengo paura di nisciuno e questa Cristina chiavainculo la farò diventare la mia femmina. Capito? Me la fotterò…!” Disse.

E poi si rivolse a tutto il gruppo pronunciò:” Quando arriveranno fatemi vedere chi sono… “

“Verranno qui al Minigolf intanto, loro vengono sempre qui con la loro compagnia, hanno il loro angolo…” Esclamò Nofrio. 

“Bene!... E noi ci saremo.” Rispose lui.

Subito qualcuno fuori dalla realtà ed entusiasmato come lui esclamò:” Si Cumpà fottiti Cristina chiavainculo che è la più bella… fottitela per tutti noi!”

“Certo! ...” Rispose sempre esaltato:” La fotterò per tutti e ci sarà una ricompensa anche per voi… ve la farò vedere nuda!” Esclamò.

Sembrava uno spaccone tutte parole e nient’altro, che le sparava grosse per mostrarsi a noi e forse era così in quel momento, ma i fatti in seguito andarono diversamente.

E così da quel giorno a Cristina, su disposizione di Cumpà, le diedero il soprannome di “Cristina chiavainculo” e tutti nel gruppo la chiamammo così, come voleva lui.

Mi dispiaceva che le avesse messo gli occhi addosso, anche se ero sicuro che non sarebbe mai riuscito a fare niente… perché… perché… io l’amavo.

 

 

 

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