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STORIE E RACCONTI EROTICI

VIETATI AI  MINORI DI 18 ANNI

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STORIE IGNOBILI

UNA SIGNORA SOTTOMESSA

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PAGINA VIETATA AI MINORI DI 18 ANNI.

Una signora sottomessa.

 

STORIE IGNOBILI

UNA SIGNORA SOTTOMESSA

 

 

No.… non lo sa nessuno ed è per questo che mi trovo qui a scriverne e a raccontare, se lo avessi denunciato o parlato con qualcuno o solo con mio marito, ora non sarei qui a narrare a voi, non avrei questo buco dentro lo stomaco, senz’altro starei meglio.

 

Palermo è una bellissima città al di là di tutti i suoi aspetti negativi sociali, culturali e strutturali.

Io sono siciliana, per meglio dire palermitana, ci teniamo noi a distinguerci per campanilismo dalle altre città sicule e sono sempre stata orgogliosa di esserlo e lo sono tutt’ora. Perché la stragrande maggioranza dei siciliani siamo persone oneste che lavorano e non delinquenti e mafiosi come è luogo comune dire in giro; quelli sono solo una minima parte della gente che vive in questa meravigliosa città, in questa splendida isola, sono la feccia. E ripeto, nonostante il disagio sociale, Palermo è bellissima.

 

Noi siamo una famiglia piccolo borghese siciliana, discretamente benestante, io mi chiamo Maria, sono una bella signora a detta di tutti, alta con i capelli tinti biondi e lunghi. Lavoravo in alcuni uffici distaccati sul territorio della Asl di Palermo come impiegata. Mi piaceva il lavoro che svolgevo ed essendo impiegata negli uffici in periferia, con l’accordo delle colleghe, tra di noi avevamo una certa libertà anche durante l’orario di lavoro, per svolgere alcune necessità personali.

Ho una figlia quasi diciottenne, che ora frequenta il liceo scientifico, quando racconto era quattordicenne, Angela di nome, studiava e frequentava la terza media, bella, bellissima, con gli occhi chiari come suo padre; e tra le necessità personali (o abusi o privilegi, come li chiamano molti) che accennavo sopra, rientrava anche quello di avere la possibilità di accompagnarla a scuola al mattino o nei rientri pomeridiani e di assentarmi momentaneamente durante l’orario di lavoro coperta dalla collega, per andarla a prendere e accompagnarla personalmente a casa.

Mio marito era un quarantacinquenne, bell’uomo, rispettoso e rispettato da me e dalla gente, si chiama Lorenzo, ma lo chiamiamo tutti Renzo, navigava con una compagnia di Genova…. Viaggi lunghi a volte, che duravano qualche mese, ma che gli facevano guadagnare discretamente bene e io e mia figlia ci eravamo abituate a restare sole in quei lunghi periodi in cui non c’era mio marito, suo papà.

 

Mia figlia Angela frequentava le scuole medie in via Mangione ICT Rita Borsellino vicino al convento Santa Caterina da Siena e fu proprio lì vicino, dopo averla accompagnata a scuola, che una mattina avviandomi in auto verso l’ufficio di lavoro, mentre mi accingevo a uscire dal parcheggio, fui urtata da un’altra auto di passaggio che non si fermò ma proseguì la corsa. Il colpo fu forte e fece traballare l’auto e il conducente con la sua auto proseguì, o meglio fuggì. Era il 10 giugno, lo ricordo ancora bene purtroppo, faceva caldo, molto caldo, la temperatura era sui 30 gradi e indossavo un vestitino unico disegnato a fiori colorati, leggero, senza maniche che mi arrivava alle ginocchia.

Piena di rabbia per il danno e il comportamento incivile di quell’uomo, insegui l’auto nel traffico cittadino visto che si dirigeva verso Brancaccio, non volendo lasciare perdere tutto, mi aveva fatto certamente del danno all’auto anche se non l’avevo visto e ora doveva pagarmelo. Dopo circa dieci minuti nel traffico palermitano, dove a volte suonavo il clacson per farmi sentire e attirare la sua attenzione, pensando tutto il peggio possibile di quell’uomo; lo vidi imboccare lo scivolo di entrata sotto un grande palazzo, dove c’era un’officina meccanica, entrò e si fermò. Seppi in seguito che era l’officina di un suo amico di cui si serviva per i suoi loschi traffici illegali e che lui non lavorava, essendo nullatenente disoccupato.

Posteggiò l’auto e scese mentre dietro arrivai io che mi fermai posteriormente alla sua. Uscii subito dall’auto nervosa e agitata e appena scesa dalla rabbia inveii contro di lui, gliene dissi di tutti i colori:

“Lei è un disonesto, mi ha incidentata ed è scappato… io se non mi paga i danni la denuncio!” Esclamai irata e osservando l’auto incidentata in quel momento, la vidi ammaccata vicino alla portiera posteriore e urlai dalla rabbia:” Guardi cosa mi ha fatto! Ora paga!”

Mi fece subito una brutta impressione, era trasandato, stempiato e magro, capelli neri e unti, pettinati con la riga laterale e il volto smunto e cattivo nell’espressione. Indossava un paio di jeans larghi, sucidi e una camicia fuori dai pantaloni a cercare di nascondere la trasandatezza. Ma com’era nel mio carattere non mi persi d’animo, lo affrontai visibilmente alterata dicendogli:

“Ora mi dia i documenti, se no la denuncio, esco di qui e vado dai carabinieri a denunciarla.”

Non c’era nessuno in officina oltre noi. C’era soltanto un ragazzino che probabilmente lavorava lì, un garzone, sporco come lui che avrà avuto 13-14 anni.

Mi aveva urtata la fiancata posteriore sinistra e la portiera, e gliela mostrai segnandola con il dito facendogliela vedere anche aprendo la portiera ammaccata, che nella foga del litigio non richiusi.

“Ma che vuoi sei scimunita? “Mi rispose volgarmente dandomi maleducatamente del tu, non conoscendoci neppure.

“Lei scimunito… non io!” Risposi alterata proseguendo: “Lei mi ha urtato …e guardi cosa mi ha fatto…!”

Lui guardò e si rivoltò in avanti: “Non sono stato io!” Esclamò con aria menefreghista, non assumendosi la sua responsabilità e cercando di farmi passare per bugiarda.

“Come non è stato lei?!...Bugiardo! L’ho vista io e l’ho seguita fino a qua… e ora chiamo la polizia e la denuncio…” Esclamai arrabbiata che negasse di essere stato lui…

“Ma che denunci? ...Che vuoi da me?... Te ne vai?” Replicò infastidito, mentre il ragazzino guardava il nostro litigio sorridendo divertito.

Ma alle mie insistenze e tentativo di uscire e chiamare davvero la polizia, una guardia, un vigile rispose con sufficienza:

“Va bene mettiamola a posto. Lasciala qui che te la faccio riparare.”

“E no io qui non ci lascio niente…” Ribadii:” … e comunque la denuncia la faccio lo stesso perché il suo è un comportamento da pirata della strada…da incivile, poteva farmi male ed è fuggito!”

“Ma la finisci con questa denuncia?” Ripeté innervosito e contrariato.

“No.… no! Ora li chiamo!” Esclamai prendendo lo smartphone dalla borsetta e cercando di digitare il numero.

A quel gesto, lui infuriato me lo torse dalle mani e lo gettò sul sedile all’interno dell’auto, cambiando espressione del viso e atteggiamento verso di me, pronunciando:

“Mi vuoi denunciare? E va bene fallo! Ma mettici pure questo nella denuncia!”

E avvicinandosi, con mia sorpresa mi schiaffeggiò in viso.

Indietreggiai... “Ma che fa? Come si permette” Replicai portandomi la mano sul volto ad accarezzare le zone colpite. “Non si permetta mai più e certo che aggiungo anche questa violenza nei miei confronti.

Mi sentii offesa sopraffatta dalla prepotenza di quell’uomo, ma per niente intimorita e aggiunsi:” Pagherà anche questo stia tranquillo, di schiaffeggiarmi solo perché faccio valere i miei diritti. Stia tranquillo che la denuncio davvero…” Ripetei con il viso rosso dalla collera.

Dalla rabbia degli schiaffi ricevuti mi voltai verso l’abitacolo dell’auto e allungai il braccio all’interno per riprendere lo smartphone e chiamare la polizia davvero e nel farlo gli diedi le spalle.

All’improvviso sentii afferrarmi dietro, sotto la nuca, era lui che mi prendeva per il collo e mi spingeva giù e a forza all’interno dell’abitacolo con il busto e spingendo oltre, mi fece mettere anche con un ginocchio e le braccia tese avanti sul sedile per non cadere in avanti. Pensai che volesse mandarmi via. Che voleva che entrassi e me ne andassi, ed ero pronta a farlo, a girarmi, a mettermi seduta alla guida e a correre alla polizia, quando sentii che mi alzava la gonna e accarezzava il retro cosce con me quasi inginocchiata all’interno.

Ero attonita. Sentii la sua mano viscida salire su fino ad arrivare all’elastico delle mutandine sui lombi, prenderlo e tirarle giù con forza sulle cosce, scoprendomi completamente il sedere…

Capii le sue intenzioni ed ero terrorizzata e incredula di quello che si permetteva di fare e mi accadeva. All’improvviso fui presa dal panico:

“Ma che fa...? Come si permette…? Mi lasci!” Ma vedendo che continuava farfugliai. “No…no… questo no! Non lo faccia…”

E d’istinto mi ribellai ad essere molestata dalle sue mani e iniziai a lottare con lui per cercare di togliermelo da dietro, allontanarlo, ma lui era più forte e, afferratami per i capelli dietro, prese a tirarmeli forte in una coda, come se fossero redini e mi faceva male e prese a darmi schiaffi secchi e sonori sulla pelle pallida e nuda del mio sedere. Ripetendo:

“Ferma... stai ferma che ti domo…”

Era come impazzito, continuava a colpirmi sul sedere come se fossi una bambina da sculacciare, facendomi male e bruciare la pelle. Con una mano mi teneva e tirava i capelli e con l’altra mi colpiva proferendo parole volgari sculacciandomi.

“Mettici anche questo nella denuncia…” Ripeteva.

Ero piena di vergogna, offesa e umiliata. Avevo paura delle sue intenzioni e velocemente per uscire da quella situazione incominciai a dire con le lacrime agli occhi:

“No.…non la denuncio…non lo faccio più…non la denuncio, ma mi lasci. Smetta di colpirmi.”

Ma lui probabilmente eccitato dall’atto che compiva su una donna indifesa, proseguì a darmi schiaffi sulle natiche e arrivando posteriormente sulla vulva, alternandoli con delle carezze lascive e improvvise.

Gridavo, ma non c’era nessuno, solo quello stupito ragazzino che fermatosi dal lavorare si era messo poco lontano con un sorriso stupido a guardare verso l’auto cosa avveniva.

Non sapevo più cosa pensare, cosa fare.

All’improvviso tirandomi per i capelli mi portò fuori dall’abitacolo facendomi un male assurdo al cuoio capelluto, tanto che per lenire la tensione dei capelli e il dolore che provavo gli tenevo con la mia mano dietro la sua, cercando di contro tirarli a me.

“Quest’uomo è un pazzo pensai…” E mi allarmai di più.

Quando fui nuovamente fuori dall’auto lo vidi in faccia, aveva il volto congesto con una espressione cattiva, stringeva i denti mostrandomeli e guardandomi. La prima cosa che feci d’istinto, fu di tirarmi su le mutandine dietro sul sedere e abbassarmi la gonna del vestito a proteggermi.

“Se provi a gridare ancora, oggi non torni a casa! Finisci in un cassone della spazzatura…” Disse fissandomi negli occhi.

Le sue parole mi paralizzarono, un brivido di terrore mi salì su per la mia schiena, pensavo a mia figlia che, se non l’assecondavo, forse non avrei più rivista. Feci un lungo sospiro tentando di mantenere la calma. Ma cominciai a tremare dalla paura. Dal suo viso e dal suo sguardo capivo che non scherzava.

Lui vedendomi impaurita ma silenziosa sussurrò:

“Brava! Devi stare calma con me, fare quello che ti dico e non gridare e vedrai che non ti succederà nulla di brutto e te ne tornerai a casa.”

Quella frase, il tono… mi congelò il sangue nelle vene e mi fece pensare male, facendomi capire che voleva qualcosa da me. Percepii un doppio senso dalle sue parole che mi fecero propendere al peggio.

In quel momento non volevo pensare a nulla se non ad andare via.

Fingevo calma e che non stesse succedendo nulla di grave e continuai a rimanere immobile e in silenzio, mentre dalla paura il cuore nel petto accelerando i battiti, sembrava volesse scoppiare.

Quello che prima era un terribile sospetto ora stava rivelandosi un’atroce realtà.

“Sei sposata?” Mi chiese.

Alla mia risposta affermativa aggiunse: “Quanti figli hai?”

“Una…” Mormorai.

“Una?” Ripeté stupito aggiungendo volgarmente:” Ti chiava poco tuo marito. “

Non risposi alle sue volgari provocazioni, mentre quel ragazzino del garzone sorrideva come un deficiente essendone senz’altro complice.

“Quanti anni ha tua figlia?” Mi domandò.

“Quasi quindici anni” Risposi.

“Eh però, è nell’età giusta per chiavare… va bene per te!” Esclamò voltandosi verso al garzone che con compiacimento rideva come un deficiente. Per un attimo mi si fermò il cuore a quelle considerazioni.

“Come si chiama tua figlia?” Domandò aggiungendo:” Non dirmi minchiate che se scopro che mi hai mentito ti liscio bene, ti faccio bruciare la pelle…” Dichiarò.

“È la verità!” Risposi sempre più spaventata.

“E tu come ti chiami” Mi chiese.

“Maria.” Risposi.

“Sai che sei davvero bella…Maria… bella in carne come piace a me, né troppa né troppo poca…” Mi sussurrò all’orecchio frugandomi nella borsetta tra le mie cose e il portafoglio.

Ero paralizzata dalla paura e il solo pensiero di essere alla mercè di un tipo così, uno sconosciuto dissennato, mi terrorizzava.

“Stai tranquilla che non ti rubo niente… sono un gentiluomo io… controllo se è vero quello che hai detto e dove abiti…” Prese il portafoglio con i documenti e tirò fuori la carta d’identità:” Mnnmmm… sei un’impiegata dunque …” Esclamò poco dopo rimettendo tutto nella borsetta in modo disordinato e gettandola dentro l’auto.

All’improvviso con rabbia mi prese con una morsa per la gola con la mano sinistra.

“Che fa? Mi lasci! ...” Esclamai impaurita prendendo con le mie mani il suo avambraccio cercando di fermarlo.

A guardarlo in quella sua faccia scavata aveva l’espressione cattiva e aggressiva, mi faceva paura tanto era congesto dall’eccitazione di quello che mi faceva. E iniziò a muovermi facendomi oscillare con il tronco da una parte all’altra, non stringendo forte la gola ma tenendomi come una presa.

“Allora mi denunci?” Domandò con lo sguardo cattivo mentre con la mano destra iniziò a colpirmi il volto da una parte e dall’altra ripetutamente, schiaffeggiandomi.

“Allora mi denunci?” Domandava colpendomi.

“No…no…non la denuncio… non la denuncio più, mi lasci andare via.” Esclamai iniziando a piangere. “La prego mi faccia andare via, a casa!”

“Dopo… se sarai brava e farai quello che dico …” Rispose.

Non so come, nella mano gli apparve qualcosa di metallo luccicante, forse un coltello o altro oggetto tagliente, forse una lama che prese nel carrello dei ferri vicino a lui, che mi appoggiò sulla guancia facendomi girare il viso lateralmente, dicendo:

“La faccia ti taglio…. la faccia ti taglio se mi denunci…” Ripeté.

E intanto premeva sulla guancia fino a farmela sentire fredda e tagliente.

“Ti cambio i connotati su il tuo bel viso, ti faccio diventare un’altra, un po' più brutta.” Continuò ridendo da solo.

Piangevo in silenzio, avevo paura, lo guardavo terrorizzata, ero pentita di averlo seguito e di averlo provocato, tanto che continuai a ripetere:

“No.…no… non la denunciò più, non lo faccio mi lasci andare …”

Vedevo il garzone di fianco, vicino al bancone in silenzio con un sorrisino da deficiente compiaciuto che guardava, speravo tanto che intervenisse, dicesse qualcosa o uscisse a chiamare aiuto e invece niente.

Con la mano sul collo mi teneva la testa in modo che non la potessi girarla.

Inaspettatamente sentii che il dolore diminuiva, che allentava la presa, ma capii subito che non riguardava un suo ripensamento a lasciarmi andare bensì stava cercando la posizione migliore per assoggettarmi. Con la mano sempre sul collo mi spinse indietro verso la fiancata dell’auto, facendomi piegare in avanti su me stessa.

Mi diede ancora uno schiaffo in faccia, mi prese i capelli tirandoli e strattonandomi, rimise forte la mano sulla gola ma senza stringere, solo per tenermi e spingere ancora indietro con il corpo facendomi spostare a ritroso davanti a lui fino a sbattere le scapole e le spalle contro il montante della portiera, lo sportello posteriore che io mostrandoglielo avevo lasciato aperto e spingendo, premendo in basso sul mio ventre esclamò:

“Entra… entra dentro!”

Sentii le gambe posteriormente battere contro il margine laterale del sedile a divanetto posteriore e mi abbassai con la testa per non urtare il montante e spingendo forte mi cacciò dentro con il sedere e il tronco, lasciandomi la gola e facendomi sedere con le gambe fuori.

“Che fa? No… mi lasci andare via la prego, non la denuncio più, non faccio niente, non dico niente a nessuno.” Ripetevo con gli occhi pieni di lacrime.

Lui con ossessione e un sorriso perfido e beffardo contemporaneamente al mio parlare esclamò:

“Zitta! Stai zitta… guai a te se gridi… Se gridi ti ammazzo…stai ferma!”

Sento ancora ora con terrore nell’orecchie quelle parole taglienti che con una faccia allucinata mi proferiva.

Restai ferma pensando a mia figlia e mio marito.

“Tira su il vestito e togliti le mutandine.” Esclamò risoluto.

Fu un lampo, capii la sua intenzione e cosa volesse farmi, voleva violentarmi. Risposi di no:

“No… non lo faccio!”

Gli dissi che non avrei tirato su la gonna, anzi le misi le mani sopra come a proteggermi e impedire che la tirasse su lui e lo supplicai nuovamente di lasciarmi andare.

“Le do dei soldi… Le do il braccialetto e la catenina, sono d’oro! Oro vero…!” Esclamai mostrandogli il polso e prendendo la catenina con la medaglia sopra al petto e glieli feci vedere.

“Sono oro, oro vero, valgono molto… li può vendere.”

Ma lui ripeté freddo ma eccitato: “Tira su la gonna e togli le mutandine…”

Insisteva, avevo paura, ero impotente e presa dal panico mi rigirai di colpo con rabbia divincolandomi e spingendolo indietro gridando e piangendo, cercando di graffiarlo e fuggire, riuscendo a colpirlo sul torace, ma in un attimo mi sopraffece e mi tenne ferma, ancora ferma.

Mi diede uno schiaffo e afferrò per i capelli e me li tirò forte, tirandomi verso di lui con la faccia rossa congesta e prendendomi con le mani per le spalle, scrollandomi forte iniziò a dire: “Ti ammazzo… io ti ammazzo se ci riprovi…capito? Capito?" E ancora mi tirò uno schiaffo fortissimo sul viso da farmi voltare il capo.

L’altra sua mano mi palpò da sopra il vestito il seno e i fianchi fino a scendere giù e incunearsi fra le mie gambe sul davanti sollevando il tessuto fino alle cosce, scoprendomele tutte. Mi sentivo raggelare il sangue era evidente quello che voleva da me.

Con voce tremolante lo implorai ancora:

“La supplico sono una mamma, mi lasci andare via la scongiuro”.

Ma sentii la sua mano arrivare e appoggiarsi all’inguine. La paura di venire violentata mi faceva sentire vulnerabile e confusa, non connettevo più razionalmente, un ronzio continuo risuonava nella mia testa e inconsciamente cominciai a valutare se lasciarmi andare e lasciarlo fare senza opporre resistenza per fare finire al più presto quella situazione di sopraffazione e paura, oppure continuare a reagire lottando contro un sopruso che non accettavo minimamente.

Intanto che pensavo, la sua mano si era intrufolata sotto la gonna dell’abito. Il contatto delle sue dita sulla seta delle mutandine mi provocò un moto di stizza e quando le dita le presero e tirarono forte strappando la leggera trama trasparente del tessuto per accarezzare la pelle nuda del pube, dei miei peli, del sesso, un brivido di rabbia mi scosse tutta. I suoi polpastrelli accarezzavano la parte delicata e vellutata dell’inguine e si fermarono soltanto quando raggiunsero la peluria.

Tremavo, avevo paura e lui, continuando a toccarmi, aggiunse esplicitamente:

“Guarda…mi piaci, io ora ti voglio chiavare, se stai brava finisce tutto in fretta e te ne vai a casa e ritorni da tua figlia. Se no o con le buone o con le cattive ti chiavo lo stesso, ti riempio di botte, ti picchio e ti chiavo ugualmente.” E riafferrandomi per i capelli tirandomeli affermò:” Decidi tu?”

Ero sconvolta, accaldata, incredula di quello che mi accadeva:” Perché a me deve capitare?” Mi dicevo.

Maledicevo il momento che avevo voluto inseguirlo, la mia caparbietà e ostinazione a farlo, il mio carattere prepotente e scontroso. Ma ero soprattutto spaventata che mi facesse del male, che mi ammazzasse davvero e pensavo a mia figlia.

Non sapevo che fare, piangevo, mentre lui ripeteva con voce calma: “Tira su la gonna e togliti le mutandine. Voglio che te le togli tu le mutandine e ti metta sdraiata sul sedile a gambe larghe.” E lo diceva in modo autoritario come se fosse un ordine.

Non c’era nessuno a parte quel ragazzino che guardava, eravamo solo io e lui nel garage, avrei voluto gridare ma avevo paura che reagisse violentemente e restavo in silenzio.

Ero confusa, accaldata, nel garage si sudava. Dalla tensione e dallo shock di trovarmi in quella situazione mi girava la testa e non so nemmeno come successe, senza capire, come un automa con le dita presi il bordo inferiore della gonna e la tirai su scoprendo le cosce. Lo feci senza pensarci, non vedevo l’ora che finisse tutto e mi lasciasse andare via. Tirai su il vestito e lui subito posò la mano sopra le mutandine accarezzandole ed esclamò:

“Belle cosce… pallide e piene come piacciono a me.”

Chiusi gli occhi e tirai più su fino a scoprire completamente le mutandine. Ero piena di vergogna, Fu un attimo e sentii le sue mani sui miei fianchi. Aprii gli occhi e lo vidi in viso, eccitato, sudato e sentii la sua voce dire:

“Su ora prendi l’elastico e sfilale. Tiratele via da sola…”

Esitai, ma lui prese i miei avambracci e portò a forza le mie mani sui fianchi mentre piangevo.

“Ho detto che te le devi togliere tu… devi essere tu a offrirti a me! Su prendi l’elastico e tirale giù!” Ripeté irritato.

Come un automa come facevo a casa quando mi cambiavo l’intimo, infilai i due pollici sotto il tessuto alto dell’elastico sui fianchi e spinsi in basso con fatica. Era umiliante quello che ero costretta a fare, mi voleva coinvolgere, far partecipare.

Lui osservandomi esclamò:” Alza il culo…! Alza il culo e tirale giù!”

Cosa che feci d’istinto impaurita e le abbassai sulle cosce.

A quel punto spinse con la mano larga sul torace facendomi sdraiare con la schiena sul sedile posteriore e sentii che le prendeva lui artigliandone l’elastico con le dita e me le toglieva abbassandole…. (quelle mutandine di pizzo nero regalo di mio marito per il mio 35 compleanno) … fin sotto le ginocchia, fino a portarle, mentre io rassegnata piangevo silenziosa, alle caviglie per toglierle, perdendo così anche l’ultima difesa fisica a protezione del mio sesso, che venne eliminata... Ma non ci riuscì completamente, tremavo e le mutandine si incastrarono nel tacco delle scarpe. Tirò per toglierle e nel farlo si stracciarono con un rumore secco. A quel punto per fare prima tolse anche quelle, sfilò le mutandine assieme alle scarpe lasciandomi scalza e sdraiata con la schiena sul divanetto posteriore della mia auto; e prendendo le caviglie, mi allargò le gambe, infilandosi tra esse dentro l’abitacolo quasi sopra di me, con la faccia in su verso lui e le gambe penzolanti fuori.

Chiusi gli occhi, piangevo, lo imploravo; nella paura sentii che mi allargava le cosce e si sdraiava su di me.

Mi resi conto di non avere alternative e mi sottomisi al suo volere… e smisi di piangere. Intanto le sue mani mi avevano sollevato il vestito oltre la vita, scoprendomi completamente il sesso nudo, ricoperto di peli fino all’ombelico.

“Bello, peloso, bombato...” Dichiarò: “Come piace a me…”

E con perfidia e meschinità le sue dita sfiorarono i peli, la fessura, premendo. Poi un dito sfiorò con un movimento rotatorio la vulva e lungo la fessura, giocando con i peli del mio monte di venere, le grandi labbra e a salire su all’apice della fessura alla ricerca del clitoride e premerlo, titillarlo, sfiorarlo. Per poi improvvisamente scendere e incunearsi con il dito medio dentro la fessura al centro dell’ingresso della vagina e penetrarmi e muoversi. Sorrideva, si divertiva a manipolarmi e masturbarmi…. Il maiale era eccitato.

“Sei bagnata dentro…” Mormorò: “Ti piace… lo desideri anche tu…” Non risposi, mi irrigidii. Purtroppo il suo tocco mi eccitava e me ne vergognavo, mi sentivo umiliata a provare piacere, cercavo di nasconderlo, ma lo sentiva sul dito.

Non essendoci più alcun ostacolo a difesa della mia femminilità e onorabilità, mi aspettavo da un momento all’altro il suo attacco decisivo per possedermi. In un certo senso non vedevo l’ora, che mi pigliasse sessualmente consumasse e finisse tutto e subito e mi preparavo psicologicamente ad essere rigida, distaccata e lontana mentalmente da lui e dal piacere che poteva provocare.

Contemporaneamente, una profonda vergogna mi portò alla realtà.

 

Sentii che stava per abusare sessualmente di me, capii che stavo per essere violentata, la rabbia il nervoso, il dolore, l’impotenza e la paura sfociarono in un pianto sommesso. Provai a convincerlo ancora, facendo leva sul suo essere siciliano come me, di non farmi passare questa vergogna, promettendogli che gli avrei dato in futuro del denaro, ma la realtà non cambiò. Intravvedevo che con una mano si slacciava la cintura dei pantaloni e con l’altra mi massaggiava con veemenza le cosce e il sesso, sfregando con le dita la fessura vulvare sotto i peli. Provavo ribrezzo ad essere nelle sue mani, a essere trattata come un giocattolo, usata da quel delinquente sconosciuto, ma sapevo che non potevo sottrarmi a quella tortura.

Chiusi gli occhi e cercai di trattenere il pianto, di estraniarmi con la mente a quello che si accingeva a fare. Il movimento della sua mano continuava imperterrito a scorrere avanti e indietro sulle labbra della vagina e questo anche se in quella condizione coercitiva e repressiva, mi provoca stimoli di turbamento ed eccitazione crescente, anche se indesiderata e non voluta. Cercavo di nasconderlo a lui ma soprattutto a me stessa.

Sfregando la fessura la penetrò ancora con il dito, affondandolo tra la folta peluria nera.

“Ti stai inzuppando lo sticchio (figa) di umori.” Disse ridendo.

Non risposi e restai rigida. Speravo con tutta me stessa che non se ne accorgesse. La vergogna che provavo per quello che mi stava succedendo e per l’inaspettata resa del mio corpo davanti al mio violentatore al suo masturbarmi mi provocava turbamento, mi sconvolgeva.

A un certo punto smise di manipolarmi il sesso e si adagiò su di me, tra le mie cosce allargate, avvertendo il peso del suo corpo sopra il mio.

“Quando fai la denuncia, le dirai pure questo, che ti ho fottuta (chiavata)…” Mormorò.

Restai ferma a occhi chiusi ad attendere che l’incubo si compiesse e finisse, finché non sentii la sua asta nuda, calda ed eretta contro la coscia destra, e lui riprendere ad accarezzarmi la peluria, cercare con le dita il foro vaginale, appoggiargli contro il glande, puntarlo e spingere sul mio sesso, tra le grandi labbra con il suo glande come una testa d’ariete che apriva tutto al passaggio. Avvertii che alla pressione si dischiudevano le grandi labbra lasciandolo entrare lentamente ma inesorabilmente dentro me. L’ho sentito divaricarmi le pareti vaginali, sfregargli contro con il glande al passaggio fino ad entrare tutto, completamente fino in fondo, dandomi un brivido di disgusto e piacere, facendomi d’istinto inarcare a quella introduzione violenta, non voluta.

“No…no…no…!”

Esclamai, ma ormai la sua asta rigida, calda e pulsante era dentro di me.

Lo sentivo man mano che avanzava riempirmi la vagina della sua carne dura e calda dandomi la sensazione di pienezza vaginale e iniziare a muoversi dentro di me. Mi aveva penetrata e ora mi stava possedendo. Piangevo in silenzio ed ero strana e confusa, e mi chiedevo perché proprio a me doveva capitare, succedere una cosa simile.

Ero turbata, eccitata, confusa, d’istinto alla reazione della penetrazione appoggiai le mani sulle sue spalle, ma non per allontanarlo in un gesto di resistenza o repulsione ma nemmeno per tirarlo a me come facevo con mio marito; ma non so perché lo facevo, probabilmente era un riflesso all’introduzione.

Ero lì, passiva pronta a sacrificarmi e non vedevo che l’ora che tutto finisse.

Lo sentii dentro di me muoversi e mentre cercava di baciarmi in viso e sulle labbra non ricambiato da me, spingere con forza cercando di infilarmi la lingua in bocca, mentre io restavo sdraiata, con la bocca e i denti serrati, assente, vuota e sporca dentro a guardare incredula il tettuccio dell’auto.

Ero scioccata, al movimento della sua asta dentro di me.

Inaspettatamente avvertii un gran calore nella pelvi e la vagina iniziarsi a contrarsi ripetutamente e a inumidirsi di più, mi spaventai di quella reazione del mio corpo che non coordinavo, aprii gli occhi e davanti al mio volto vidi il suo congesto, che sorrideva con il suo ghigno malefico, mentre mi toccava e stringeva il seno.

Dava colpi profondi, spinte in vagina con la sua asta dentro di me, fino ad arrivare a sentire il glande contro l’utero.

Lui cercava sempre di baciarmi, cercava la mia bocca per infilargli la lingua, ma io non gliela davo e visto che non cedevo mi baciava il viso, leccava il collo, l’orecchio. Sentivo la sua viscida e calda saliva sulla pelle, con un brivido di ribrezzo e turbamento.

In quella posizione osservavo la trama del tettuccio dell’auto, non ci avevo mai fatto caso che era in rilievo a quadratini, ma impressionata non mi capivo, so solo che lo sentivo muovere dentro di me, in vagina, forte, veloce e a volte toccarmi l’utero, ma avevo paura…

Paura di lui, paura di quello che poteva accadermi, e paura di non riuscire a controllarmi e lasciarmi andare e provare piacere. Guai, mai e poi mai avrei voluto provarlo con quella bestia.

Avvertivo caldo in vagina a sentire la sua asta virile muoversi e a sentire la vagina contrarsi con le pareti attorno alla sua asta eretta, che sempre più veloce correva dentro di me, come quando provavo piacere con mio marito.

A un certo punto gemetti e capii che, pur nascondendolo, godevo.

 

Sì, mi ha stuprata senza preservativo, e al termine quando ha finito il suo sfogo bestiale lo ha tirato fuori ed ha eiaculato il suo sperma caldo, viscido e abbondante sul mio ventre.

Non so quanto durò quella violenza, Il tempo sinceramente non so quantificarlo, forse cinque, sette o dieci minuti o anche più, non so… in quei momenti non c'ero con la testa.

“Maledetto, mille volte maledetto, maledetto... mi ha rovinata come donna e come moglie.”

 

Il dopo è stato terribile, lui si è staccato da me e con un balzo si è alzato in piedi uscendo dall’abitacolo, lasciandomi sdraiata a gambe larghe nel sedile posteriore con il ventre eiaculato del suo sperma e la vulva in mostra anche a quel ragazzino che guardava.

Si mise a posto mettendo il pene ancora rigido dentro i pantaloni, minacciando di farmi del male a me e a mia figlia se avessi detto qualcosa, se lo avessi denunciato. E forse per rendere più incisivo quello che aveva detto e quel momento, riprendendo la borsetta con tutte le mie cose dentro, riprese il portafogli con il documento e guardò non so se la patente o la carta d’identità leggendo a voce alta il mio nome: “Maria Rossi via degli arbusti 21 interno 12. C’è anche l’interno” Esclamò e sorrise proseguendo. “Stai attenta a quello che fai, ora se vuoi andare a denunciarmi vai, ma dovrai dirgli che ti ho fottuta e io dirò che ci sei stata e qui ho un testimone…” E fece segno al ragazzino: “E non te la farò passare liscia.”

Io impaurita restai in silenzio, chiusi le gambe vergognandomi e tirai giù il vestito a coprirmi, incurante che si macchiasse del suo sperma.

Lui allungò il braccio dentro, prese il mio e mi tirò facendomi alzare il busto, strisciare il sedere sul sedile per uscire, con la gonna del vestito che mi cadeva davanti… cercai le scarpe, lui prese le mutandine dicendo:” Queste sono tue…” E invece di darmele per mettermele le cacciò dentro nel sedile posteriore e chiuse la portiera e prendendomi per il braccio mi portò davanti alla portiera e al sedile del guidatore:

“Entra e vattene…e se vuoi essere fottuta ancora (chiavata ancora) vieni qui e prendi appuntamento con il garzone!” Disse sorridendo perfidamente: “Lui sa come trovarmi…” E vidi poco lontano anche quel deficiente di ragazzo che aveva assistito alla mia violenza, ridere.

Ero come un automa, traumatizzata, tremavo, il mio pensiero era solo quello di andare via al più presto.

Spaventata con la mano tremante accesi il motore e partii sobbalzando l’auto a scatti e uscii dal garage rifacendo la rampa d’accesso. Avevo gli occhi lucidi e una gran voglia di piangere, volevo andare alla polizia, poi all’ospedale, poi pensai a mia figlia che non le facesse del male, al disonore se si fosse saputo… alla vergogna e umiliazione e invece senza mutandine sotto e sporca del seme di quel bastardo, d’istinto guidai fino a casa, scesi e andai su. Appena entrai nel mio appartamento scoppiai in un pianto liberatorio, poi mi feci la doccia e lavande vaginali con il tantum rosa… Avevo paura che fosse malato, che mi avesse trasmesso qualche malattia o anche messa incinta. Non dissi niente a nessuno e passai giorni e settimane terribili con quei pensieri senza avere la forza e il coraggio di denunciarlo alla polizia o di dirlo a qualcuno visto che mio marito non c’era ed era imbarcato.

Poi decisi di non dire nulla, avevo paura che mi facesse ancora del male a me o a mia figlia o anche a mio marito quando fosse sbarcato, sapeva chi ero e dove abitavo. Volevo dimenticare tutto al più presto, anche se era impossibile.

 

I giorni seguenti ripresi la vita di prima, ritornai al lavoro ma passai giorni terribili, evitai di passare dalle parti dove avevo fatto l’incidente e dove c’era quella officina e portai l’auto da un carrozziere a riparare a mie spese. Volevo che tutto finisse, dimenticare, invece…. fu solo l’inizio di un incubo…

Era impossibile dimenticare, quando pensavo a quei momenti mi sentivo agitata e a volte turbata, non so nemmeno io perché, non volevo avere quei pensieri, ma erano più forti e tornavano. Era qualcosa che non volevo pensare, ricordare.

Mi aveva cambiato tutto interiormente, non ero più la donna di prima, cercavo di essere una buona mamma, ma con mio marito quando sbarcò, non provavo il piacere che avevo provavo con quel tipo quando mi violentò. Sarà assurdo e scellerato, ma da quel giorno per provarlo con mio marito, dovevo pensare ad altro...

 

Un giorno accompagnai a scuola mia figlia che aveva il rientro di pomeriggio, eravamo verso fine giugno e si intensificavano le lezioni per gli esami.

Come dicevo, quel dì era una brutta giornata di giugno, calda, afosa ma nuvolosa, il cielo minacciava pioggia. Dopo averla accompagnata uscii dall’istituto e mi avviai alla mia auto e appena l’aprii con il telecomando, lui che probabilmente mi inseguiva, con uno scatto felino aprì l’altra portiera e si infilò dentro. Erano passati un paio di settimane da quel fatto.

Lui mi guardava e non diceva nulla farei meglio a dire mi fissava mettendomi in corpo un tale disagio…

“Ma che fa?” Esclamai spaventata.

Lui si sedette tranquillamente dal passeggero e a nulla valsero i miei inviti e imprecazioni a che uscisse.

“Scenda…Scenda immediatamente dalla mia auto… per favore!” Gli dissi e intanto si era messo a piovere.

Ma lui rispose:” Dammi solo un passaggio, sta piovendo forte.”

Effettivamente era vero, in quel momento si era messo a piovere forte… ma non volevo, avevo timore di lui, lo disprezzavo, non mi fidavo e mi faceva schifo, ma avevo anche paura e non volevo restare in auto da sola a discutere con lui.

“Su dai! Solo un passaggio, non ti violento mica … e poi l’ho già fatto!” Affermò con una smorfia perfida sorridendo malvagiamente.

A quelle parole avvertii disgusto e repulsione e una rabbia enorme mi prese dentro, avrei voluto picchiarlo, sì picchiarlo io che ero una donna se potevo, ma non volevo fare come la volta precedente, reagire e dargli il motivo per alzarmi le mani addosso e picchiarmi e violentarmi, così con disperazione decisi di accompagnarlo.

“Va bene!... È lontano? Mi dica dove deve andare?” Esclamai per togliermelo d’attorno.

“No… non è lontano, in via Ercole, vicino all’ippodromo e allo stadio comunale...nella zona della Favorita.” Disse che era una via poco trafficata che portava verso il mare.

Tesa accesi il motore e partii e mentre guidavo nel traffico lui iniziò a parlare “Lo sai che sei bella donna? Un tipo di quelle donne che mi piacciono… Una siciliana verace. Ma sei proprio di Palermo o altre città?” Aggiunse parlandosi da solo e continuando: “Perché c’è differenza a essere una palermitana o una siciliana.” Dichiarò sorridente: “le palermitane sono meglio.”

Lo interruppi dicendo: “Guardi, di quello che è accaduto non ho detto niente a nessuno, non l’ho denunciata alla polizia, perciò mi lasci in pace, io sono sposata ho una figlia…”

“Lo so! Sei stata brava!” Ribatté.” Io mi chiamo Tommaso, ma tutti mi chiamano Masino diminutivo di Tommasino…” Intanto eravamo giunti nella sua zona:

“La lascio qui?” Dissi in fretta per sbarazzarmene.

“No giri per quella stradina là…” E mi fece segno con il dito a una traversa.

“Ma guardi ho da fare, devo andare a lavorare, non posso girare in quella stradina, perderei tempo, non può andare a piedi?” Gli chiesi inquieta che fossimo isolati e soli.

“Ma piove! Non vorrai farmi bagnare tutto, mi hai portato qui, ancora cento, centocinquanta metri e sono arrivato.” Disse.

Rassegnata e guardinga andai avanti finché pronunciò:

“Ecco accosti si fermi in quello spiazzo,” Era uno slargo tra due case diroccate. Mi fermai nel bordo strada, mi accorsi che era campagna e avevo paura, ma pensai:

“O finalmente! Ora scende e se ne va e mi lascia in pace.”

Ma lui invece di scendere all’improvviso allungando il braccio girò le chiavi dell’accensione e spense il motore togliendo le chiavi e mettendosele in tasca e iniziò ad allungare le mani, a toccarmi…

“Ma che fa?!... No.…non voglio mi lasci in pace. L’ho accompagnata qui come aveva chiesto ora mi lasci andare via, sia di parola, devo tornare al lavoro. Mi dia le chiavi dell’auto” Lo sollecitai mentre con quel sorriso perfido, sudato e bagnato con la sua grossa mano ruvida cercava di accarezzarmi il seno sopra in vestito.

“No mi lasci, non voglio…le ho detto!” Ribattei allarmata ma decisa allontanando la sua mano con la mia.

“Voglio io!” Rispose.

“Mi dia la chiave dell’accensione…” Ripetei rendendomi conto di essere caduta in una trappola.

“Dopo…” Replicò.

“Dopo cosa?” Ribattei spaventata e agitata.

“Dopo che ti ho chiavata ancora!” Esclamò chiaramente.

A quella frase mi si gelò il sangue nelle vene.

“No… questo no! Mai!” E cercai di aprire la portiera per scendere. Ero pronta a scappare e camminare sotto la pioggia pur di non essere posseduta ancora da lui.

Mi bloccò la mano e mi minacciò:” Se provi a scendere o a scappare te le do di santa ragione, qui in mezzo alla campagna, ti riempio di mazzate (schiaffi).” Disse.

Mi resi conto che stavo vivendo per la seconda volta un incubo, lo stesso di quello che era successo nel garage.

Ancora gli offrii dei soldi, che rifiutò e ripeté apertamente: “Voglio solo fotterti (chiavare) ancora una volta, fare sesso con te e poi basta, sparisco dalla tua vita.”

“No. Mai!” Esclamai iniziando a piangere… “Mi lasci andare la prego… l’ho accompagnata qui come ha voluto lei… ora mi lasci.”

“Dopo…” Insisteva:

“Voglio fare sesso ancora una volta con te, mi piaci, sai che lo farò comunque, con le buone o le cattive, devi solo scegliere tu, se prendere degli schiaffi e essere violentata ancora o farlo di tua volontà e finire tutto in fretta come l’altra volta!” E intanto mi mise la mano su e tra le cosce accarezzandole.

Piangendo cercai di togliergliela, ma fu inutile, era più forte di me. Vidi in volto che diventava cattivo e continuava a toccare:

“Dai tirati su la gonna, fammi vedere le mutandine… di che colore ce l’hai oggi?” Esclamò, tirandola su lui anteriormente con la mano che prontamente io abbassai.

Sentivo la pioggia cadere sul tettuccio in modo ritmato provocando un suono sempre uguale e continuo, Il parabrezza con l’acqua della pioggia che scorreva sopra, lasciava vedere immagini di alberi e campagna sfocate e deformate dall’acqua.

“Su dai! Dieci minuti è tutto finito e tu torni a lavorare.” Ripeté.

C’era caldo nell’abitacolo, sudavo e la pioggia cadeva forte e tamburellava sulla lamiera.

“La prego?” Insistetti ancora con le lacrime agli occhi, ma lui vedendo la mia debolezza, senza dire nulla manovrò la rotella laterale e tirò giù lo schienale del mio sedile facendomi quasi sdraiare … A quel punto mi alzò la gonna e sbottonandosi i pantaloni disse: “Tirati giù le mutandine, dai… levale… levale… che facciamo presto.” Si vedeva che era eccitato e io impaurita, spaventata ma turbata da quella situazione perversa.

Vedendo che non mi muovevo, all’improvviso si mise a urlare in auto:

“Togli sti mutandeeee! Se no te le faccio levare io a suon di schiaffi!” Alzando il braccio facendo il gesto di colpirmi.

Fu a quel punto non so nemmeno come che io mormorai: “Poi basta?”

“Si poi basta, torni a casa…o a lavorare, dove vuoi andare tu, è l’ultima volta poi non ci vedremo più… Su alza il culo, tirale giù se no te le strappo io…” Esclamò.

Con la morte nel cuore tirai su la gonna, staccai il sedere dal sedile e prendendo per l’elastico i bordi delle mutandine le tirai con angoscia e disperazione giù sulle cosce, con lui che guardava libidinoso il mio sesso nudo e peloso scoprirsi.

“Non voglio farlo così senza protezione!” Dissi, in un tentativo di protezione corporea.

“Che protezione? Vuoi la protezione? Te la do io la protezione dagli altri, divento il tuo protettore se vuoi!” Rispose facendo finta di non capire.” Poi vedendomi seria continuò, sempre prendendomi in giro: “Niente preservativo, non ce l’ho e poi con te mi piace farlo senza, mi fido che sei pulita e non sei malata e anche io non lo sono... quindi?!”

Era il contrario di quello che chiedevo ma non dissi più nulla.

Lui con i pantaloni abbassati aprì la portiera del passeggero e uscì fuori anche se pioveva:

“Di qua!... Passa di qua! Lo facciamo sul sedile del passeggero che staremo più comodi, se no ho il volante nella schiena e non riesco.” Mi sollecitò.

Come un automa pur di fare in fretta, tirata per un braccio da lui scavalcai il cambio e strisciando il sedere sul sedile mi trovai seduta dall’altra parte, dove si sedeva sempre mia figlia quando era in macchina con me.

Lui fece il giro, rientrò dentro bagnato dalla parte del volante e chiuse la portiera e con i pantaloni abbassati mi tirò giù le mutandine da metà coscia, alle ginocchia e poi ai piedi togliendole assieme alle scarpe, mentre io impassibile e impotente subivo e osservavo in alto il tettuccio con lo sguardo vitreo e rassegnato.

Lui si mise tra le mie cosce divaricate, in ginocchio sul tappetino mentre io piangevo silenziosamente. Sentii che me l’accarezzava con le dita sui peli ripetendo:” Bella! Bella! Ce l’hai profumata…”

E poi lo sentii premere con il glande sulla fessura e cedere e dischiudersi alla spinta della testa del suo ariete ed entrare ancora una volta dentro di me… tutto…fino in fondo, contro l’utero, incominciando a muoversi.

Mi irrigidii, voltai il volto dall’altra parte per non vederlo mentre le lacrime mi solcavano il viso. Mi avrebbe avuta nuovamente, passivamente, senza volontà, come un oggetto. Invece lui a un certo punto disse:

“Muoviti… baciami in bocca con la lingua, voglio che godi…” Ma non mi voltai continuai a restare in quella posizione.

“Baciami…baciami e godi… “Ripeté alterato e non mi scossi minimamente, ma lui ancora ripeté:

“Baciami…baciami e godi anche tu… se no ti sborro dentro e ti metto incinta…” Mi si gelò il sangue nelle vene a sentire quella frase...

“No.…no... questo no…” Esclamai terrorizzata.

“E allora se non vuoi che ti sborro dentro e ti metto incinta fai come ti ho detto, baciami in bocca con la lingua, stringimi e godi… devi godere…”

Nel timore che mettesse in atto quello che diceva, quando mi mise la bocca davanti alla mia e spinse la lingua dentro pur con ripugnanza lo lasciai fare e sentii la sua lingua viscida, calda e insalivata che sapeva di tabacco entrarmi e muoversi nella mia bocca, mentre mi accarezzava e stringeva il seno e io lo lasciavo fare per timore.

Non so cosa mi accadde, io non volevo, a un certo punto lo sentii dentro di me muoversi, il suo glande salire in vagina seguito dalla sua asta di carne dura fin su contro il mio utero a cui dava colpi profondi e i suoi inguini battere violentemente contro i miei mentre io lo baciavo forzatamente bocca a bocca, lingua a lingua. All’improvviso pur non volendo sentii un enorme calore nella pelvi, nella vagina e contro la mia volontà iniziai godere…

Involontariamente dalla mia bocca uscì un gemito forzato di piacere, lui se ne accorse. Mi guardò e sorrise compiaciuto.

“Mi sembra che cominci a piacerti dolce signora. Vedo, che non sei indifferente alle mie mani e che ti piace il mio cazzo in figa che ti fa godere.” Esclamò soddisfatto continuando ansimando:

“Brava, sei già tutta bagnata, lo sento che godi, che ti piace la mia minchia…” Ripeté e mi strinse, facendo per reazione al piacere io lo stesso abbracciandolo partecipando.

Stavo contribuendo a quella violenza fisica e mentale. Assurdamente condividevo quell’amplesso e mi piaceva, paradossalmente in quel momento mi piaceva essere chiavata da lui, mi stava facendo godere davvero. Provavo un misto di vergogna e umiliazione verso me stessa che godevo di lui.

Dentro di me mi vergognavo, ma era più forte, godevo e involontariamente mi concedevo a lui partecipando.

Il suo sarcasmo sul piacere che provavo suonava come un insulto, ma non riuscivo a reagire, non trovavo un appiglio mentale per resister e ribellarmi.

La sua voglia di potere su di me era più che evidente, voleva sentire la paura dentro me e il piacere fuori che mi usciva dal corpo, perché questa era la benzina che gli dava la forza di sentirsi superiore.

Mentre continuava imperterrito nella sua opera di possedermi, la sua bocca si avvicinò al mio collo, le sue labbra si posarono sulla pelle delicata e, quasi a voler rimarcare il suo possesso su di me, iniziò a succhiarmi il collo, facendomi e lasciandomi un vistoso succhiotto.

Mi rendevo conto che ero in una situazione assurda, godevo ad essere brutalizzata da lui e non volevo, e una lacrima scese sulla mia guancia.

Chiudevo gli occhi per non vederlo, estraniarmi scacciare quella ennesima umiliazione, ma facendo così assentandomi da me stessa mentalmente, paradossalmente godevo di più, con vergogna ma godevo.

Sentivo il mio sesso bagnato e dilatato e i miei umori vaginali bagnare anche la sua asta.

Mi sfuggì ancora un gemito di piacere, volevo evitare di farmi sentire e vedere coinvolta da lui, in un rapporto non desiderato brutalizzato. Ma invece mi ritrovai a provare piacere alle sue carezze, nel sentire la sua lingua calda e insalivata nella mia bocca. Mi rendevo conto con timore, che c’era una parte di me che non conoscevo e che ora si dava a lui. Una latenza perversa e masochista.

Le sue carezze diventavano sempre più pressanti, sentivo il mio corpo non rispondere alla mia volontà, abbandonarsi e reagire alla sua possessione sessuale con contrazioni e sussulti, la mia soglia del piacere stava montando, gradatamente. Due colpi veloci contro l’utero e gridai in modo continuo di piacere, avevo l’orgasmo, un caldo improvviso come fuoco si impadronì di me, della mia pelvi, della mia vagina che iniziò a contrarsi involontariamente, inumidendosi di più, dandomi più piacere fino arrivare a staccare il sedere dal sedile e spingere il bacino contro di lui, per averlo e sentirlo maggiormente dentro di me, abbracciandolo e baciandolo io.

Finché anche lui con un grugnito animale, mi spinse indietro con la mano, lo sfilò, tirò fuori e iniziò ad eiaculare abbondantemente sulla mia pancia, riversando tutto il suo sperma il suo seme caldo, bianco e filante, con getti che arrivarono sotto il reggiseno sporcandolo assieme alla maglia e alla gonna. Per poi guardarmi sfinita, con la sua espressione trionfale, aveva vinto, mi aveva fatto godere e involontariamente avevo partecipato. Il suo sguardo era profondo e il sorriso superbo.

Mi trovavo in una strana situazione e sensazione, ero pentita di avere avuto quella reazione e quel piacere ed essermi lasciata andare con lui, ma mi era piaciuto.

Masino si tirò su trionfante dicendo:” Hai visto che hai goduto anche tu?! Che ti piace anche a te chiavare con me…?” E sorrise malizioso mentre io piena di vergogna abbassavo gli occhi. Purtroppo era vero, non volevo ma mi era piaciuto in quel momento.

E mentre scemava il piacere sessuale provato e ancora presente in me, realizzavo che ero sotto la pioggia con la mia auto, sudata. Mi sentii sporca e oltraggiata e in silenzio pensai a mia figlia e mio marito e due lacrime mi scesero dagli occhi.

Odiavo quell’uomo, lo odiavo con tutte le forze, mi aveva fatto godere e non volevo e mi aveva rovinata psicologicamente e sessualmente. Con che coraggio avrei guardato mio marito negli occhi dopo aver goduto con lui?

Mi passò dei fazzolettini dalla tasca dei pantaloni e a fatica mi pulii del suo sperma vischioso, filante e viscido. Poi vedendo che tenevo i fazzolettini sporchi in mano, aprì con il pulsante elettrico il finestrino dicendo:” Butta fuori… qui è pieno di fazzolettini e preservativi usati, ci vengono le buttane a fottere…” E rise da solo. Mi sentii doppiamente umiliata dalla sua risata e da quel luogo dove mi aveva portato.

Cercai e presi le mutandine e le misi, lui si rimise in ordine e tirò su il mio schienale aprendo la portiera e scendendo sotto la pioggia dicendomi come un comando:

“Passa di là ora!”

Quando scavalcai e fui al posto di guida rientrò e mi diede le chiavi dell’auto.

Agitata le inserii, accesi il motore mentre lui presa la mia borsetta frugava dentro dicendomi:

“Portami sulla statale e lasciami lì…”

Nel contempo prese il mio smartphone. Fece il suo numero e lo fece squillare per poi spegnere dicendo rimettendolo nella borsa:” Ora tu hai il mio numero e io il tuo, ci sentiremo ancora. Ora vai al lavoro…”

Mi fermai dove aveva detto e scese e ripartii veloce. Avevo gli occhi gonfi dal pianto e dalla vergogna che con la pioggia quasi non vedevo la strada, ma non andai a lavorare, non me la sentivo, telefonai dicendo che non stavo bene e tornai a casa a lavarmi e piangere, ero stata ancora sua, ero caduta nella sua trappola, mi maledicevo dicendo:

“Perché gli ho dato retta… Perché l’ho accompagnato…. Perché mi sono fidata?... Non dovevo…non dovevo” … Ma quello che mi bruciava di più era aver goduto con lui, aver provato un piacere intenso che non avevo mai provato e mi dicevo: “Come ho potuto perdere la ragione ed essermi lasciata andare… provare piacere con quella bestia…. Ora con che coraggio guarderò negli occhi Renzo mio marito, come potrò stringerlo a me, abbracciarlo e baciarlo… sorridergli dopo quello che ho fatto?”

Sapevo, sentivo che certamente si sarebbe fatto avanti ancora, ma che potevo fare? Andare dalla polizia e dirgli che c’ero stata due volte, che ero stata io ad andare in quel luogo con la mia auto e fare sesso? Mi avrebbero creduto? Sarebbe stato uno scandalo e pensavo più che a me, a mia figlia e mio marito.

Non potevo parlarne con nessuno e mi sentivo impotente, non riuscivo a fermarlo e non sapevo come fare.

Mi sedetti in soggiorno, mi sentivo una donnaccia ad essermi accoppiata con lui. Comunque cercai di dimenticare.

 

Dopo qualche settimana mio maritò sbarcò e venne a casa. Fummo tutti felici. Alla sera come era comprensibile, dopo mesi di astinenza, mio marito volle fare l’amore, non mi ero più toccata da quel giorno che ero stata con lui, che mi aveva violentata e acconsentii. Quella sera a letto lo abbracciai e baciai volevo dimenticare tutto, mio marito non era come lui, mi stimava e considerava, rispettava le donne, era gentile, delicato e dolce. E invece mentre facevo l’amore con mio marito involontariamente tornai a pensare a lui a quel bastardo che mi aveva rovinato la vita, lo odiavo, ma in quei momenti che mio marito mi penetrava, lo immedesimavo e desideravo. E godetti ancora con lui pensandolo mentre facevo sesso con mio marito, era più forte di me pensavo a lui, mi compariva in mente all’improvviso.

 

Passarono alcune settimane e mi messaggiava e chiamava con lo smartphone; cancellai il numero ma lui chiamava lo stesso, ma io non rispondevo. Mi controllava e seguiva…. Quando uscivo con mia figlia o con mio marito, lui mi pedinava, passeggiava dietro a noi o ci veniva dietro in motorino, ci incrociava e guardava me, mettendomi a disagio e paura. Finché un giorno mi fermò sola e mi disse:

“Quando va via tuo marito? Quando parte?”

“Non so…” Risposi agitata e allarmata che qualcuno che conoscevo ci vedesse assieme:” … lo mandano a chiamare loro della compagnia marittima, non decide lui.”

“E quando lo chiamano?”

“Non lo so, forse un mese…” Risposi mentendo, sapendo che lo avrebbero chiamato prima.

“Un mese?!... No… non resisto così tanto, ti voglio chiavare. Ti voglio incontrare ancora, voglio fare l’amore con te e se non trovi il modo o non vieni dove ti dico vengo io da tuo marito e gli dico tutto… che sei la mia amante.

“Ma io non sono la sua amante!” Ribattevo.

“Si invece…” Rispondeva lui deciso.

Mi minacciava puntandomi addosso l’indice mentre parlava, puntandomelo contro e muovendolo, mi avvertiva che se non avessi fatto quello che mi chiedeva lui me l’avrebbe fatta pagare. Diceva che si era invaghito di me e mi voleva, mi intimoriva e io non sapevo reagire, ma resistetti, non ci andai. Restai con mio marito, lo sfidai.

 

Passò più di un mese, nel frattempo mio marito era partito, lo avevano chiamato da Genova e si era reimbarcato, eravamo di nuovo sole come altre volte io e mia figlia. Lui le prime settimane insistette a chiamarmi e a farsi vedere, ma visto che non rispondevo e lo snobbavo sembrava che avesse rinunciato e lasciato perdere. Le ultime settimane erano tranquille senza quegli ossessivi messaggi e squilli dello smartphone. Pensai che avesse capito che non c’era niente da fare con me e vista la mia resistenza si era tirato indietro; e passai delle giornate serene, sia sul lavoro che con mia figlia, facendo anche qualche gita a Mondello a fare i bagni al mare.

 

Una mattina ero sola in casa, ero di riposo lavorativo, mia figlia era andata al mare con la sua amica e sua mamma ed io ero sola in casa che riordinavo un po' di cose, ero ancora in camicetta da notte leggera quando sentii suonare alla porta. Pensai che fosse un condomino, visto che la suonata era interna e non dal citofono. Mi avvicinai alla porta e comunque per prudenza domandai chi fosse.

“Amministratore!” Sentii rispondere e non conoscendolo, non frequentandolo non ne conoscevo il timbro di voce, presi e mi misi la vestaglia da casa che mi arrivava ai piedi e così aprii e mi venne un colpo, mi trovai lui davanti, Masino, credo che la pressione sanguigna mi sia salita a 200 mmg di mercurio. Mi venne un colpo, non capivo come potesse essere entrato dal portone visto che era sempre chiuso, probabilmente qualcuno l’aveva lasciato aperto oppure aveva aspettato qualcuno che uscisse per entrare.

“Che vuole?” Domandai socchiudendo la porta per richiuderla, ma lui veloce mise un piede tra essa e lo stipite e spinse, l’aprì ed entrò di forza e prepotenza in casa.

“Ma che fa?! Esca fuori da casa mia… che vuole?” Dissi. “Vada via…vada via la prego che se la vede qualcuno o lo viene a sapere mio marito sono guai. La prego!”

“Tuo marito non c’è, è imbarcato, arriverà solo tra qualche mese e tua figlia l’ho vista andare via con la sua amica e un'altra signora. Si è fatta una bella ragazza tua figlia, è quasi in età da marito ...” Esclamò minaccioso, precisando:” Ma io non sono qui per lei...io sono solo venuto a prendere il caffè…Fammi il caffè!” Esclamò autoritario.

Non sapevo che fare, ero spaventata e tremavo a quelle minacce velate su mia figlia, non potevo gridare o alzare la voce per timore che sentissero i condomini o gli inquilini affianco e arrivasse qualcuno. Sapevo che non c’era da fidarsi ma d’stinto dissi:

“Ma poi va via?”

“Certo che vado via… fammi il caffè e vedere la casa e poi me ne vado.”

E intanto e senza autorizzazione aprì le porte e curiosò dentro casa, soggiorno, bagno, studio, camera di nostra figlia e poi la mia e quella di mio marito, soffermandosi a fare battute:”

E qui che chiavi con tuo marito?” Pronunciò sorridendo guardando il letto ancora sfatto.

Per allontanarlo dalla mia camera lo esortai: “Venga le faccio il caffè, ma dopo vada via che se arriva qualche parente o conoscente … guai.”

Si accomodò in soggiorno nella poltrona come se fosse a casa sua e dopo aver bevuto il caffè si alzò, ma non per andare via, ma per tirarmi per il braccio e spingermi in camera mia cercando spogliarmi, di togliermi la vestaglia da casa e sotto avevo soltanto la camicia da notte, iniziando a spogliarsi anche lui.

Capii subito le sue intenzioni come l’ultima volta in auto e opposi resistenza:

“No che fa!?”

“Lo facciamo qui nel tuo letto così quando ti sdrai penserai a me…” E sorrise: “Intanto ti piace farlo con me lo sai… ti piace la mia minchia.”

“No.…questo no… mai!” Risposi agitata e impaurita.

Ma fu inutile, all’improvviso mi prese per le braccia e mi scrollò poi portò la mano dietro la nuca, afferrò i capelli e mi schiaffeggiò sul viso dicendo:

“La devi finire di fare così, mi devi ubbidire l’hai capito?!” E intanto tirava i capelli forte:

“Quando ti voglio chiavare devi essere pronta, non fare tutte queste storie, se no te la faccio pagare a te e a tua figlia…. Vi taglio la faccia a tutte e due…”

“No.… non dica così Masino… non dica queste cose ...” Balbettai allarmata.

“E invece sì, e lo faccio se non mi ubbidisci. “Affermò gettandomi sul letto.

E mentre si slacciava la cintura dei pantaloni proferiva:” Fai tante storie… che piace anche a te chiavare con me! Ti sei scordata come godevi in macchina l’altra volta? Dai fai la brava spogliati, nuda, ti voglio nuda oggi e lo facciamo nel letto e vedrai che godremo tanto. So che ti piace… ti piace più con me che con tuo marito… lo so…” Dichiarò.

Ero intimorita, impotente, che potevo fare? Mi avrebbe picchiata, aveva minacciato me ma anche mia figlia. Avrei potuto gridare aiuto e invece ancora una volta pur di nascondere tutto e finire tutto in fretta, impotente e tremante balbettai:

“Ma in casa mia. Nel mio letto no… Ci vedremo fuori…oggi…” Per prendere tempo e mandarlo via.

“No adesso e qui!” Rispose autoritario puntando l’indice sul letto.

Non volevo farlo sul mio letto, dove facevo l’amore con mio marito e dove avevo concepito mia figlia e pensando veloce dissi ancora:

“Nel letto no! Lo facciamo sul divano allora.”

“No! Qui invece… sul tuo letto dove chiavi quando c’è tuo marito. E spogliati, sbrigati! Tutta nuda devi essere e mi sto spazientendo. Nuda ti voglio!” Ripeté.

Impotente e tremante per evitare conseguenze peggiori, con gli occhi lucidi lo feci, mi spogliai.

Sbottonai la vestaglia lentamente mentre lui mi guardava e tolta, la gettai sulla sedia della camera rimanendo con la camicetta da notte leggera, trasparente e senza maniche che mi arrivava alle ginocchia.

“Tutto!” Ripeté come un mastino da guardia che ringhiava.

Con gli occhi lucidi presi i bordi inferiori e la tirai su facendola uscire dalle maniche e dalla testa, rimettendomi a posto i capelli, ero senza reggiseno, solo con le mutandine, lui sorrise:

“Hai capezzoli dritti, sei già eccitata ...” Mormorò.

Mi prese la rabbia e inventando risposi i miei sono sempre così, è lo sfregamento del capezzolo sul tessuto che li fa inturgidire.

“Non ci credo…Vedremo dopo se è vero …” Continuò. “Ora leva le mutande!” E intanto si spogliava anche lui.

Chiusi gli occhi e con la forza della disperazione presi per i bordi dell’elastico e le tirai giù a mezza coscia e piegandomi in avanti, giù alle caviglie e togliendo le ciabatte da camera, un piede alla volta le tolsi. Fui nuda. Completamente nuda con lui che mi scrutava il sesso, i peli, le mammelle e il sedere facendomi morire di vergogna. Avrei voluto sprofondare in quel momento.

Lui mi guardò ancora, continuò a scrutarmi:” Però ai un bel culo pienotto, da vera signora e femmina siciliana e anche le cosce, belle lunghe e piene… un po' di pancetta e un bel seno grosso e pendente. Sei una falsa magra…” Mormoro proseguendo nella sua volgare descrizione: “Leggermente formosa, come le femmine che mi piacciono a me.”

Continuò con libidine ed eccitazione a osservarmi nuda e nel frattempo si era spogliato anche lui e ce l’aveva già in erezione, dritto e lungo con il glande che puntava in alto. Era inquietante osservarlo. Lui se ne accorse:

“Ti piace eh… ti piace la mia minchia…” Disse volgarmente:” … Guarda che bella che è! Bella dritta e dura come il ferro ...altro che la minchiuzza (cazzetto) di tuo marito, ed è tutta tua ora. Vieni toccala dai!... Non avere paura. Possiamo fare un patto io e te, quando non c’è tuo marito ti chiavo io, quando c’è lui solo qualche volta che mi viene voglia.” Lo guardai con la voglia di piangere e non dissi nulla. Lo odiavo… lo odiavo e mi turbava… Era solo, un porco, bastardo, maledetto che desideravo con tutte le mie forze che sparisse, che morisse, perché mi aveva cambiata, rovinata sessualmente, psicologicamente e affettivamente verso i miei cari.

“Da che parte dormi tu?” Mi chiese.

“Qui dove sono…” Risposi.

“Bene! Resta lì, io farò tuo marito oggi anche se ti chiaverò meglio di lui.”

Si sdraiò anche lui nudo vicino a me accarezzandomi e allargandomi le gambe dicendo: “La sai la regola no… se non partecipi e godi ti sborro dentro e ti metto incinta…” E sorrise perfidamente.

Iniziò ad accarezzarmi, le mammelle e i capezzoli e poi scese giù sulla pancia fino ad arrivare al sesso e giocare con i peli. Iniziò ad accarezzarmi e sfiorarmi la fessura tra le grandi labbra su vicino al clitoride e una carezza più decisa delle altre mi fece emettere un forte gemito di piacere involontario.

La sua voce mi sussurrò: “Brava… che ti ho detto? Vedi stai già godendo… ho piacere che godi, ma vedrai come godrai quando la mia minchia entrerà in te.”

La sua frase fu tagliente ed offensiva come una lama, mi trattava con volgarità, considerandomi davvero sua, la sua femmina. Ma ero troppo prostrata per reagire. Lo lasciavo fare e parlare, tanto sapevo che reagire non serviva a niente e sapevo a cosa andavo incontro se lo avessi fatto, mentre la sua mano continuava a masturbarmi facendomi sentire sporca e colpevole.

Pensavo che mi penetrasse subito come aveva fatto le altre volte, quasi lo aspettavo, lo attendevo, lo sentivo armeggiare con le dita sul mio sesso.

“Chissà che gusto ha la figa di una bella signora come te!” Esclamò improvvisamente e prima che intuissi cosa volesse fare continuò:” Ho voglia di assaporarla un po'…”

E con quella decisione lampante si alzò e si mise in ginocchio sul letto, con una mano mi afferrò una caviglia e mi allargò bene le cosce e poi si avventò su di me, sul mio sesso. La sua bocca s’incuneò fra le mie cosce e la sua lingua percorse la mia fessura leccandola, succhiando i miei umori vaginali assieme ai peli e al clitoride con avidità. Mi leccò e penetrò con la lingua, ne seguì ogni anfratto, aspirando e stuzzicando con abilita il mio clitoride ormai allo stremo da quel trattamento involontario mai praticato.

Mi trattenevo dal gemere ma non resistevo era un porco, un maiale, un bastardo… ma era tremendamente bravo e all’improvviso fui invasa ancora dal calore e mi scoprii vogliosa sessualmente, sempre più vogliosa e donnaccia. Sentivo che stava arrivando il momento del vero piacere. Si tirò su sdraiandosi su di me e mi baciò in bocca e la pressione del glande sulle labbra della vagina mi fecero intuire che il suo pene stava per violare ancora la mia fessura e scelleratamente attendevo. Attendevo con la giustificazione interiore che ero obbligata a farlo per finire tutto, subire, invece in alcuni momenti lo desideravo, lo volevo davvero che mi penetrasse, ma per provare piacere.

Ancora per l’ennesima volta lo supplicai di non possedermi, ma erano parole gettate al vento. La sua voce mentre mi penetrava in modo svelto e brutale diventò più calma, più tranquilla, meno ansiosa e quasi con dolcezza mi disse: “Mi piaci, sei la mia femmina, la mia buttana… Vedrai piacerà anche a te”.

E intanto sentivo il suo pene aprirsi la strada dentro di me, le grandi labbra della mia vagina schiudersi come un’ostrica e il suo pene penetrando venire lubrificato dalla sua stessa saliva che depositò quando mi leccò il sesso e dal mio umore vaginale formatosi dal piacere in abbondanza.

Il suo inguine aderiva alla pelle del mio, sentivo i suoi testicoli al movimento su e giù urtare le cosce e il perineo e i suoi peli sessuali nella spinta unirsi ai miei sfregandosi contro. Il piacere che provavo a essere posseduta da lui, mi spiace dirlo, ma era enorme. Il mio stupratore si muoveva con abilità, con movimenti cadenzati e lenti, il godimento che provavo mi svuotava la mente da ogni altro pensiero.

Non so quanti minuti passarono, ma il suo movimento diventò più profondo da toccarmi con il glande l’utero e più irruento, dandomi dei colpi in vagina e sbattendomi con i suoi inguini contro i miei. Mi stava possedendo con la foga e l’ardore di un uomo affamato di sesso.

Il suo pene s’incuneò dentro la vagina sempre più in profondità, i nostri corpi si urtarono sudati con un rumore sordo e cupo. Mi artigliava sui fianchi con le sue mani ruvide e mi sballottava a destra e a sinistra, sentendo dentro di me aumentare il godimento, venendo risucchiata dal vortice dei sensi e i miei gemiti aumentano d’intensità, marciando di pari passo con il ritmo sempre più cruento e brutale di lui su di me. Il suo corpo sudato s’incurvò sul mio come se si fondessero e all’improvviso anche se non volevo ebbi l’orgasmo, ancora, come l’ultima volta in auto, lo baciai io lingua a lingua e lo strinsi a me, mentre il mio letto matrimoniale sotto i colpi scricchiolava.

Non so cosa mi prese, nell’orgasmo istintivamente mi avvinghiai a lui, al mio violentatore muovendo il mio bacino di pari passo con il suo….

Non capivo più niente, non ero io, all’improvviso lo incitai a muoversi ancora di più:

“Ancora… ancora… più veloce …” Balbettai facendomi morire le parole in gola vergognosamente e godendo animalescamente:” Voglio che mi tocchi l’utero…Voglio che arrivi in fondo … “Ero troppo eccitata e urlai dal godimento.

Mentre lui sudato e affannato diceva: “L’ho sempre saputo che dietro la tua patina di santarellina c’era una puttana. Ora sei la mia puttana… solo mia!”

Mi stava violentando e godevo, assurdamente lo incitavo a continuare. L’orgasmo continuò ancora fino a quando emisi un urlo quasi disumano e un suo grugnito mi avvertì che stava venendo anche lui.

 

Non lo nego avevo paura, paura che mi venisse dentro, non prendevo nessuna precauzione e per giunta ero nel periodo dell’ovulazione, tanto che paradossalmente fui contenta quando mi eiaculò sul ventre e sentii il su sperma caldo colpirmi. Fu come una contentezza assurda l’essere felice che mi eiaculasse addosso oltraggiandomi fisicamente, ma almeno non mi veniva dentro come più volte aveva minacciato.

Si sfilò e lo tirò fuori, lo prese in mano e spostandolo lateralmente sulla mia pancia e su il bacino, mi innaffiò di fiotti caldi di sperma filante che colpirono il mio addome e spossata e distrutta mi lasciò sul letto a gambe larghe ad assaporare ancora il suo piacere mentalmente... con brividi e fremiti nel corpo e sulla pelle.

Poco dopo si alzò, andò in bagno e si fece la doccia, usando le mie cose e quelle di mio marito, si rasò anche, poi si vestì, si risistemò gli abiti, e avvicinandosi mi sussurrò:

“Per il tuo bene e quello di tua figlia, per ora vergine, ricorda che non è successo nulla. Ricorda che mi devi ubbidire, sempre… che sei la mia femmina… ricordalo. ci rivediamo. E uscendo chiuse la porta.

 

Rendendomi conto dell’accaduto scoppiai a piangere, mi gettai sul letto sfatto e ancora caldo e sudato del nostro amplesso e singhiozzai, oramai ero in mano sua che mi considerava la sua donna…che potevo fare? Minacciava me e mia figlia.

Con lentezza mi alzai mi misi la vestaglia senza niente sotto e la sistemai alla meglio. Non avevo nemmeno più la forza di piangere e piano piano, intontita, andai in bagno a lavarmi anch’io, avviandomi poi come un automa, come se non fosse successo niente in camera e cucina a mettere in ordine. Ancora provavo quella rabbia, quella sensazione per aver goduto con lui. Oramai ero rovinata sessualmente, capii che ero sua succube e che avrei dovuto accontentarlo.

Assurdamente in me era entrata l’impotenza e di seguito la rassegnazione di accettare quello che diceva, di essere la sua femmina come voleva lui, di dividerlo con mio marito quando non c’era, almeno non mi avrebbe tormentata ed ero tranquilla per me e per mia figlia soprattutto, che così non le avrebbe fatto del male.

So che era solo una vigliaccheria quella, una mia giustificazione morale al doverlo incontrare di nuovo dicendomi: “Lo devo fare per forza, se non faccio così, se non faccio la sua femmina, chissà come reagisce, cosa mi fa lui…” Ma non era solo quello.

 

E così su sua richiesta lo incontrai una quarta volta e poi ci fu una quinta e non più in auto ma a casa sua nel suo letto…. Era come se fosse diventato il mio amante e io la sua femmina davvero e nei periodi in cui sbarcava mio marito mi lasciava tranquilla, ci sentivamo solo per messaggio o qualche telefonata. Si era innamorato davvero di me.

Mi chiese di dargli del tu, cosa che alla fine feci anche se era troppo confidenziale e non volevo la sua confidenza, ma presi a chiamarlo Masino…

Sessualmente mi soddisfaceva più di mio marito, era diverso da lui, brutale e vigoroso oltre che più virile, non lesinava di schiaffeggiarmi le mammelle e il sedere quando facevamo sesso, facendomi subire e accettare metodologie nuove, volgari ed estreme. Arrivando anche ai rapporti orali, dopo che lui lo aveva praticato a me, e prima della penetrazione me la leccò parecchie volte, ma poi volle che io lo succhiassi (sugassi come si dice da noi) a lui e avere rapporto orale. Subito non volevo, ma al mio rifiuto mi diede due schiaffi sul viso e prendendomi per i capelli me li tirò finché non glielo presi in bocca e succhiai. Non ero pratica, ma ogni volta mi diceva lui come fare per insegnarmi:

“Ti insegno io a fare i bocchini…” Diceva… E così fu anche per i rapporti anali, la sodomia, essere presa contronatura da lui che rideva mentre lo praticava.

 

Passai sei mesi a incontrarci e ad avere rapporti sessuali completi, uno due volte alla settimana, lui mi riteneva sua… e, quando c’era, era geloso anche di mio marito. In quei mesi mi ha fatto praticare atti che mai avrei pensato di effettuare, atti sessuali ripugnanti anche solo al pensarli. È stato un disonore per me, una vergogna quella relazione, ma sessualmente anche se in maniera negativa una scoperta di qualcosa di nuovo che non avevo mai attuato.

Un pomeriggio che andai a casa sua per un incontro sessuale, vidi le macchine dei carabinieri e della polizia sulla strada e davanti al portone. Curiosa e sospettosa chiesi a una negoziante vicina cosa succedesse e mi rispose che avevano fatto una retata e l’avevano arrestato.

Ebbi un tuffo al cuore, fui felice, dove non ero stata capace di arrivare io, c’era arrivata la legge degli uomini e di Dio che aveva ascoltato le mie preghiere.

Tornai a casa segui la tv   e seppi che avevano arrestate 15 persone per associazione mafiosa tra cui compariva anche lui. Avevo il timore che cercassero anche me, ma non avvenne mai.

Passai giorni felici, segui tutto alla tv e sui giornali. E visto che sullo smartphone mi continuavano ad arrivare messaggi da lui, lo cacciai in mare, denunciando lo smarrimento o il furto e acquistandone uno nuovo con un numero nuovo, diverso che diedi solo a pochissima gente intima e fidata.

In quel periodo a mio marito proposero un posto a Genova, con la compagnia con cui navigava, era una opportunità e gli dissi subito di accettare, cosa che fece e andammo ad abitare a Genova. Seppi dai giornali che fu condannato a otto anni e sono tre che viviamo a Genova in piena tranquillità, tanto che sto cercando di rifarmi una nuova vita.

 

Non crediate che non abbia provato a ribellarmi, lo feci, ma fu inutile, avevo paura, avrei dovuto farlo subito uscita da quel garage, invece oramai era troppo tardi. Se lo avessi fatto dopo avrebbe detto che avevamo una relazione e in parte era vero anche se da me non voluta. Avrebbe detto che ero la sua amante e che godevo con lui…che andavo io a casa sua a fare sesso e tante altre cose e sarebbe stato uno scandalo e avrei rovinato la vita a me, mia figlia e mio marito. Meglio il silenzio.

Mi capita di ripensare ancora oggi allo stupro e a lui anche quando faccio sesso con mio marito, ma allontano subito quei pensieri, non provo piacere, non voglio provare piacere pensando a quel bastardo. Ma è inutile, mi torna sempre in mente.

Non è che non goda con mio marito quando facciamo l’amore, ma è un piacere diverso, rispettoso, lui è dolce, non è brutale come quel tipo. Purtroppo non riesco a scacciarlo da me quell'uomo a volte è più forte della volontà, specie quando non c’è mio marito e sono sola il desiderio di essere presa da lui che entra in me e mi travolge lo avverto ancora. Mi sento prigioniera di lui, debole e sottomessa, incapace di difendermi e lui lo sa e se ne approfitta.

 

La parola “provato” che ho scritto più volte non è esatta, ma è giusto e corretto dire che ho “subito”, perché anche un piacere si può subire contro la propria volontà e soprattutto perché una violenza carnale non è mai una prova, ma una sopraffazione violenta sia fisica che mentale.

In me è cambiato tutto, non sono più la donna di prima, con mio marito non provo piacere nei rapporti sessuali, per provarlo, devo pensare ad altro... a lui e quando penso a quei momenti a volte mi sento turbata, non so nemmeno io perché, ma non voglio parlare di questo, è qualcosa che non voglio pensare, ricordare.

L’averne scritto mi ha dato una sensazione di sfogo, come se gridassi nel vento quello che ho subito e sopportato, come se facessi uscire la mia paura e l’ira da me e poi respirassi meglio; e sapere che qualcuno leggerà la mia storia, il mio accadimento mi dà una sensazione di comprensione da parte dei lettori e lettrici, nel considerare che sto corrispondendo con qualcuno che non mi importa se si ecciterà nel conoscere quello che mi è accaduto o che è della stessa mentalità del mio stupratore, ma io almeno ora mi sento libera di gridarlo a tutti.

 

Maria.

 

 

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