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STORIE E RACCONTI EROTICI
VIETATI AI MINORI DI 18 ANNI
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L'ETA' DEL DISINCANTO
VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI.
Note.
L’amore non muore mai di morte naturale. Muore perché noi non sappiamo come rifornire la sua sorgente. Muore di cecità e di errori e tradimenti. Muore di malattia e di ferite, muore di stanchezza, per logorio o per opacità.
(Anaïs Nin)
CAP. 18 L’ANALISI.
A settembre pochi giorni prima della fine dell’ultima settimana partii, prima andai giù in Sicilia dai parenti di mia madre dove restammo una settimana e poi ritornato su andai in collegio. Iniziavo le superiori e mia madre come diceva mio padre mi aveva iscritto nei preti…. e loro iniziavano l’anno scolastico prima perché da loro si studiava di più.
Il 25 settembre era un giovedì, e me lo ricordo ancora perché cadeva a due mesi dell’onomastico di Cristina e del suo litigio con Giulio e poi a quello successo sulla spiaggia che diede il via a tutto e alla relativa presa di possesso da parte di Cumpà su di lei.
L’ultima volta che vidi Cristina me la ricordo ancora, era con Cumpà, eravamo tutti al minigolf, a giorni sarebbe partita anche lei, aveva dei Jeans scampanati strettissimi e una camicia rossa a fiorellini gialli annodata all’ombelico. La sigaretta tra le dita e stava salendo dietro sulla moto di Cumpà, che ci aveva detto chiaramente davanti a lei che la portava alla madonnetta a chiavare e poi sarebbero tornati. Ricordo che sempre guardandola mi avvicinai al jukebox, misi cento lire e la canzone “Ti amo” di Umberto Tozzi dell’ano prima. E dietro le note di quella bellissima canzone e della sua musica struggente li vidi partire, lei stretta a lui, con le zeppe sui pedali posteriori e il culo tutto fuori… i capelli al vento che si allontanava. Le mandai anche un bacio mentalmente e forse dentro di me piansi in silenzio... Non l’ho mai più rivista.
Come dicevo, quando rientrammo dalla Sicilia lo stesso giorno entrai a studiare dai salesiani e ritornai a casa soltanto per le vacanze di Natale. Ma a differenza di come faceva sempre tutti gli anni per le feste natalizie lei non venne.
A Pasqua ritornai per le vacanze, sperando di vederla ancora con la primavera, la pensavo sempre nonostante quello che le aveva fatto Cumpà dentro di me l’amavo sempre, la enfatizzavo, ma ancora lei non venne. A Pasqua e nemmeno Cumpà che l’hanno prima era arrivato con i parenti a marzo per lavoro tornò, era restato al suo paese.
L’estate dopo l’aspettai, ma non ritornò e neppure gli anni seguenti, nemmeno sua nonna, e nemmeno Cumpà c’era più.
Provai a domandare a qualche amico, ma nessuno sapeva niente, Nofrio e gli altri dissero solo quello che sapevano di lui, che era andato in Sicilia con i suoi fratelli e non era ritornato.
Chiesi ancora in giro, ma nessuno sapeva niente, così una sera a casa, domandai a mia sorella che oramai come Cristina aveva compiuto 19 anni.
“Maria…” Le dissi quasi senza guardarla:” Non l’hai più vista a Cristina?”
Lei mi guardò stupita:” Ancora a quella milanese pensi? ...” Rispose con distacco e indiferenza:” … Ma ti ha fatto innamorare così tanto?” Disse guardandomi con un sorriso di compatimento.
“No… è solo un’amica…” Replicai io.
“Ma quale amica e amica se non ti cagava nemmeno quella chiavainculo…” Rispose volgarmente muovendo la mano con le dita unite.
“Non chiamarla così!” La redarguii infastidito.
“E come la devo chiamare?... Cry come i milanesi? Lo sai meglio di me che tutti la chiamavano Cristina chiavainculo…” In quel momento entrò mia madre che domandò:” Che sono sti parole?”
“Ma niente …” Disse mia sorella:” È un soprannome che hanno dato a una ragazza…”
“Bel soprannome, chissà che ha fatto per meritarselo. Comunque non parlate in questi termini.” Ci ammonì, prese alcuni indumenti e uscì.
“Non dissi più niente, restai in silenzio e mia sorella vedendomi abbattuto e dispiaciuto venne a sedersi vicino a me dicendo con dolcezza:
“Non l’ho più vista Lillino… ho sentito qualche amica che diceva che è a Milano e studia e che forse qui non verrà più…”
“Perché?” Domandai.
“Il perché non lo so, ti dico quello che ho sentito in giro... che Cumpà sessualmente le ha fatto di tutto, l’ha fatta diventare una buttana… una buttanella…” Si corresse subito.
“E lui Cumpà?” Domandai:” Che fine ha fatto?” Scrollò le spalle:
“Quello finisce male… in galera… Non so! … Non si è più visto nemmeno lui, dicono che è tornato al paese e vive là!”
Mi guardò con tenerezza appoggiando la mano sul mio braccio dicendomi:” Dimenticala Lillino, quella non era una ragazza adatta a te!”
Mi alzai per uscire e prendendomi e accarezzandomi la mano pronunciò:
“Lasciala perdere a quella Cristina Lillino, trovatene e pensa a un'altra. Sei un bel ragazzo, ce ne parecchie anche delle nostre parti, del nostro paese, figlie di compaesane…che sono serie, lascia perdere le milanesi… Con tutto quello che le ha fatto Cumpà quella non è una ragazza per te, lo sa tutto il paese perché la chiamano chiavainculo.” Disse seria e uscii.
L’ho pensata tanto, l’ho desiderata e amata al punto che avrei soprasseduto a tutto quello che le aveva fatto Cumpà, a perdonarla pur di averla mia. Ero proprio innamorato. Tante volte mi ero masturbato pensando a lei sia in collegio che a casa.
Cumpà dentro di me lo odiavo, aveva distrutto il mio sogno giovanile, il mio amore segreto.
In soli due mesi aveva rovinato Cristina sessualmente, le aveva rubato la verginità, la sua purezza e aveva distrutto i miei sogni, il mio amore per lei, Quell’estate passata sia io che Cristina uscimmo dall’età del disincanto, un periodo fatto di romanticismo, sentimento e affetto ed entrammo in quella adulta, fatta di bugie, prevaricazioni e sesso.
Passarono molti anni, alcune decine...quasi quarant’anni per la precisione e mi tornava sempre in mente lei:
“Chissà che fine avrà fatto? Sarà sempre con quel Cumpà?” Mi chiedevo:” Si saranno sposati? Sono spariti tutti e due e non sono più venuti qui.”
Si, tra le altre cose pensavo anche che si fossero messi assieme e forse avrebbero avuto dei figli e vivevano chissà dove, a Milano o in Sicilia. Ma riflettendo poi mi dicevo di no, che non era possibile, perché a lui interessava solo averla sessualmente e non amarla.
“E poi lei si sarà svegliata? Da giovinetta si ragiona in un modo, da donna adulta in un altro. E lui? …. Che fine avrà fatto? Era una testa matta, attaccava briga con tutti…Comunque avrà fatto una brutta fine… troppo prepotente e possessivo. “Pensavo anch’io come mia sorella.
Io avevo studiato in quegli anni, dopo il diploma dai Salesiani mi ero iscritto alla scuola di tecnico di radiologia e mi ero diplomato. Ero diventato un tecnico di radiologia, anzi lo sono ancora nella Asl del comprensorio dove vivo.
Noi della banda ci eravamo persi tutti crescendo, chi era immigrato, chi tornato al paese e chi come me andato abitare nel paese vicino e con quei pochi rimasti non ci incontravamo quasi più e se avveniva era con le mogli affianco, un ciao distaccato e via.
Dopo qualche anno a 25 mi sposai anch’io con una ragazza delle mie parti, me l’aveva fatta conoscere mia sorella:” Così smetterai di pensare a quella chiavainculo…” Disse una volta presentandomela e portandomi a casa sua...
La mia futura moglie era molto bella, una bellezza mediterranea, siciliana, tutta diversa da Cristina, aveva una chioma lunga e vaporosa di capelli nerissimi e gli occhi scuri, e mi piaceva e poi era vergine, non era ma stata con nessun altro prima di me. Ma io a Cristina la pensavo lo stesso, non più come amore e passione, ma come un bellissimo ricordo di un sogno lontano non realizzato.
Sposato, moglie, figli, figli grandi e nonno, arrivai ai nostri giorni ancora con il pensiero di Cristina.
Erano passati quasi quarant’anni da quegli episodi e non avevo mai saputo nulla di loro. Ma qualche anno fa accaddero due episodi che mi chiarirono in parte i pensieri.
Un pomeriggio che ero di turno alla radiologia del pronto soccorso, portarono un bambino che piangeva, che scivolando si era rotto il polso, la frattura di Colles ed era assieme ai nonni che parlavano dialetto milanese tra di loro.
Feci le lastre e poi li feci accomodare davanti all’entrata dello studio nell’attesa che il radiologo le refertasse e l’ortopedico le mettesse un tutore all’avambraccio e al polso.
Mentre attendevano li guardai, lei era la tipica milanese, che teneva il bambino sulle ginocchia, ma osservaianche lui.
Scrutandolo bene mi pareva di conoscerlo dai lineamenti, lo guardavo e riguardavo tanto che se ne accorse che lo osservavo e mi guardava anche lui; erano passati tanti anni, aveva i capelli grigio bianco, ma assomigliava a Roberto l’amico di Giulio.
Mi avvicinai e glielo chiesi:
“Scusi lei si chiama per caso Roberto?”
“Si!” Rispose guardandomi stupito sorridendo.
Capii che era lui dall’espressioni del volto e allora dissi dandogli del tu:” Non ti ricordi di me?”
Lui continuava a guardarmi e scuotere il capo e anche la moglie mi osservava.
E aggiunsi: “Tu parecchi anni fa uscivi con una ragazza che si chiamava Ilaria.”
Si aprì in un sorriso e anche la moglie che mi osservava, precisando subito lui:
“Si, ma quarant’anni fa!” Facendo gesto con la mano indietro come se fosse passato un secolo.
Poi voltandosi verso di lei mi informò quello che avevo già intuito:
“Questa è mia moglie…” Affermò:” Con Ilaria sono uscito un’estate solo al mare quando avevo iniziato l’università e poi tutto finito. È lei la mia sciura…” Esclamò passandole il braccio sulle spalle e abbracciandola.
“Piacere signora…” Esclamai sorridendo:” Stiamo parlando di 40 anni fa…” Precisai. Sorrise.
“Si all’incirca quarant’anni fa!” Ripeté lui.
“Eh… ma tu chi sei?” Mi chiese come riprendendosi dai ricordi.
“Io sono, anzi farei meglio a dire ero Lillino e facevo parte della compagnia dei meridionali… non so se ricordi, sai che c’erano i terroni e polentoni?”
“Ah sì mi ricordo, il ragazzetto che veniva anche con noi...”
“Si…esatto!” Ribattei.
In quel momento visto che il bambino piangeva e non stava fermo per il dolore e non tenendo il ghiaccio sulla parte fratturata, la nonna lo portò fuori a distrarlo e nel corridoio io e lui restammo a parlare da soli. E facendoci domande e risposte reciproche, parlammo del più e del meno di quei tempi, e io friggevo, volevo chiedergli dopo tanti anni cosa fosse successo a Cristina e non persi tempo, non l’avrei lasciato andare via senza chiederglielo.
“Ma quella ragazza… ricordi… “Dissi:” …era con voi in compagnia, anche lei milanese. Quella bella ragazza bionda che era sempre con voi, che si chiamava mi pare …Cristina…” Pronunciai fingendo di non ricordare bene il nome. “… usciva con un ragazzo che si chiamava Giulio…” Precisai.
“Ah sì… il Giulio, eh me lo ricordo bene, lui è andato a lavorare all’estero, si è sposato con una inglese…” E senza lasciarlo finire di rispondere domandai ancora:
“E quella ragazza, Cristina… quella bionda che usciva con lui?”
“Ehh la Cristina… le sempre a Milan, lei si è sposata, ed è nonna anche lei ora, lavora in una Asl, è dirigente. Le sempre bela anche da vecia… (È sempre bella anche da vecchia…)” Mormorò in milanese.
Come se facesse memoria continuò:
“Si me la ricordo, si era messa assieme a quel terrun… scusa il termine ma quello là era proprio un delinquente…”
“Lo so!” Affermai facendogli capire che la pensavo come lui e che non mi interessava il termine che usava.
“Eh ma non sai che dopo la seguita a Milano e la curata (pedinava), voleva portarla al sud…. al suo paese. Così lei ha chiesto aiuto ai genitori e hanno scoperto tutto quello che era successo quell’estate in riviera, gliela confessato lei e poi hanno domandato a noi amici per conferma. I suoi erano andati dall’avvocato che ha chiamato i carabinieri per allontanarlo e mandarlo via. Gli avevano dato la diffida a venire a Milano senza preavviso e di non avvicinarsi a Cristina, neanche di cercarla telefonicamente. Lei non ha più voluto vederlo quando è stata a Milano…”
“Ma non sono più venuti in vacanza in Liguria…?” Domandai ancora.
“No… macché! Avevano paura di incontrare ancora quel terrone o qualche suo amico che si vendicasse. Così i suoi hanno venduto la casa e ne hanno comprata un’altra sull’adriatico e hanno iniziato ad andare a Rimini…”
“Già Rimini e Riccione…” Pensai:” …in quegli anni andavano di moda… e nessuno la conosceva e sapeva cosa avesse fatto in Liguria con Cumpà e soprattutto non avrebbe più incontrato lui.”
“E di lui non sai niente?” Domandai ancora:” Di questo Cumpà?”
“No mai più visto, e meno male… un brutto tipo, sarà turnado in cicilia o giù de lì, a me parea un calabrot (calabrese)…” Esclamò aggiungendo:
“Cristina sì l’ho rivista ancora, dopo quella parentesi già prima di Natale era rientrata in compagnia con noi, aveva riallacciato con le amiche e studiava economia e commercio all’università, era andata alla Bocconi… si è Laureata, è dottoressa…” Affermò:” … E poi l’ho rivista anche quand’era mamma…”
“Ha dei figli?” Chiesi.
“Si tutti e due del primo matrimonio, la ragazza bellissima com’era lei, anche loro laureati e dottori in qualcosa…
“E con Giulio?”
“No… finito tutto, lui ci ha sofferto tanto…era veramente innamorato della Cristina.”
Poi come se si ricordasse all’improvviso esclamò:” Lei si è sposata con un milanese… un benestante, un dottur anche lu… (un dottore anche lui…). Se sposata due volte, la prima è durata 15 anni con un medico, l’altro matrimonio continua ancora, lui è un magistrato, ora in pensione, anche lui si era innamorato di Cristina.” E sorridendo aggiunse:” Ehh… era difficile non innamorarsi di Cristina…”
Sorrisi anch’io, avrei voluto dirgli:” Anch’io segretamente ero innamorato di Cristina…” Ma in quel momento arrivò il radiologo con la lastra in mano refertata confermando la frattura di Collies. E li mando dall’ortopedico che gli posizionò il tutore.
Rientrando con la nonna piangeva sempre il piccolo.
“Dai che ti sei guadagnato un bel giocattolo quando sarà finito tutto.” Gli dissi sfregandogli i capelli con la mano, mentre aveva le lacrime agli occhi. La nonna sorrise.
Dopo ci salutammo e andarono via.
Ero contento di aver appreso quelle informazioni, quelle verità, che Cristina avesse lasciato Cumpà e si fosse risposata due volte con due milanesi fino a diventare nonna.
Per curiosità nei giorni seguenti tramite pc e internet curiosai e guardai sui siti Asl di Milano, cercai Cristina XXX, conoscevo il cognome e la trovai, era diventata Direttore di Struttura Complessa di Economato… aveva anche fatto carriera. Vidi anche delle sue fotografie in concorsi e inaugurazioni ospedaliere, la cercai anche su faceboock e la trovai, era sempre molto bella e seducente anche a sessant’anni, ben tenuta d’aspetto con i capelli tinti color cenere e le labbra rosse di rossetto carminio.
In quel periodo mi cullai in quello che avevo saputo e nel ricordo del tempo passato.
Trascorse ancora del tempo e quasi un anno dopo mentre lavoravo, portarono con il letto un paziente ricoverato a fare delle lastre al torace. In quel periodo non ero più nella radiologia del pronto soccorso, ma giù nella radiologia centrale, nella camera chiara, dovevo fare le lastre alla colonna vertebrale a un paziente ricoverato, quando lessi la richiesta sorrisi si chiamava:” Onofrio XXX”
Era lui, il mio amico di giovinezza, Nofrio. Andai a trovarlo, mi riconobbe quasi subito, fu contento di vedermi e mentre la mia collega lo preparava mi misi a chiacchierare con lui e dopo aver parlato del più e del meno gli chiesi quello che mi premeva.
“E quel tipo che chiamavamo Cumpà… ricordi? Che fine ha fatto? Sai qualcosa!”
“Cumpà? Quello che ci portava a spiare la buttanedda che si fotteva?... La chiavainculo?” Disse.
“Si!” Risposi. Anche lui si ricordava di Cristina.
“Ma qui c’è stato poco, solo una stagione estiva?” Rispose.
“Si!” Dissi io, quello...
Mi fece segno con la testa scuotendola, mormorando:” Cumpà l’ammazzaruno… è morto sparato.”
“Ah non lo sapevo…” Risposi sorpreso di quello che mi diceva.
“Eh sì!... Se ne era andato prima a Milano dietro a quella chiavainculo, poi lei quando è stata la non l’ha più voluto, ha detto tutto ai suoi genitori che lo hanno denunciato per molestie e i carabinieri mandato con il foglio di via giù al suo paese e non è più tornato su. Laggiù faceva la malavita…si era messo con gente che è meglio non conoscere…” Mormorò.
“Ma quando è successo?” Domandai.
“Circa venti anni fa, si era sposata con una paesana, aveva tre figli e poi…” Disse non finendo la frase aprendo le mani e facendomi capire:” …lo spararono.”
Mentre la mia collega eseguiva le lastre uscii e lo guardai attraverso il vetro piombato che fermava le radiazioni.
“Certo…” Pensai:” Il tipo che era Cumpà doveva fare quella fine… rompeva il cazzo a tutti, faceva il delinquente il superiore e qualcuno gli ha sparato. Finché era con ragazzetti come noi andava tutto bene, da adulto avrà trovato qualcuno più cattivo di lui.”
E subito mi venne da pensare:” Chissà se lo saprà Cristina…? Forse non lo sa!... Oppure lo sa e non gliene frega niente.”
Al termine uscii a salutarlo e ci lasciammo così, non lo rividi più.
In quegli anni mi domandai più volte nella mia ingenuità, perché a quell’età Cristina non reagisse, perché non lo dicesse ai suoi genitori che lui la trattava male. La umiliava eppure lei gli era sempre assieme in quel periodo e lo ha fatto solo dopo che è rientrata a Milano.
Pensavo che forse si era innamorata, ma nessuno dei due lo era veramente dell’altro. Pur essendo bellissima e avrebbe fatto innamorare chiunque, Cumpà la voleva e possedeva oltre che per il suo piacere fisico, solo per una sorta di rivalsa sociale e di classe, come se fosse solo una conquista, un trofeo da mostrare agli amici, ai parenti, dove lui aveva portato via la femmina a uno di loro e l’aveva sottomessa e imputtanita. A una ragazza del nord, una milanese e voleva mostrarlo a tutti, mortificarla, fare vedere che era come diceva lui:” Le femmine del nord tutte puttane chiavainculo.”
La trattava male, la offendeva e a volte la scrollava davanti a tutti noi solo per farsi vedere e far capire che lui era il capo di quella banda di ragazzi che lo seguivano e ammiravano. Lei sì che si lamentava, ma non faceva niente, non reagiva o quando lo faceva brontolava e recriminava soltanto e si giustificava come se a sbagliare fosse lei, che non faceva niente di male se non a concedersi a lui.
“Sono attratti dal sesso…allora se stanno assieme.” Mi dicevo in quel periodo, e in parte sì, era vero, ma non completamente.
Certo a tutte due piaceva chiavare, a quell’età lì a chi non piace. A Cumpà piaceva quella bella ragazza milanese, bionda castano, altezzosa un po' con la puzza sotto il naso a cui non piacevano i terroni e che tutti i ragazzi volevano. E anche lei sotto un certo aspetto era attratta da Cumpà, dai suoi modi di fare volgari, brutali, dal che fosse un capetto con il suo branco, dal non considerarla e perdersi dietro lei come avrebbe fatto chiunque altro, ma anzi invece di essere sdolcinato era duro e severo. Anche se lui non era il suo tipo di ragazzo ed era così diverso da Giulio caratterialmente e fisicamente anche nell’aspetto, Giulio era il ragazzo che aveva amato e forse amava ancora, bello, intelligente, educato e rispettoso verso di lei.
Cumpà non era Giulio che quando si appartavano le faceva solo ditalini e la limonava in bocca, lui l’aveva sverginata, la chiavava con vigore, le faceva fare i pompini e la possedeva anche dietro… Era un ragazzo che sapeva fare sesso, che andava a puttane, chiavava le puttane, sapeva come fare e come far godere una ragazza e anche Cristina cadde nella sua trappola e con lui godeva molto di più che con Giulio e scoprì che le piaceva praticare sesso e godere.
Giulio non le leccava il seno e succhiava i capezzoli, non ne era capace, non glieli baciava nemmeno, lo stesso a leccarle la figa, invece Cumpà si, lui era un porco e anche se giovane sapeva come fare. La chiavava e faceva godere lui e anche per questo la legava a sé sessualmente, le faceva scoprire il sesso e la sessualità quella con la esse maiuscola, arrivando a farle anche il culo, sverginandola pure li come nella figa e in bocca, e la chiavava in culo cosa che Giulio per rispetto e incapacità forse non le avrebbe mai fatto.
Diciamo che con Giulio era un amore dolce, romantico e sentimentale, fatto di baci e carezze e con Cumpà di invece carnale e vigoroso, con schiaffi sui glutei, succhiate e morsichetti al seno e alla figa.
Quando lui aveva voglia, le diceva chiaramente che voleva chiavare, la faceva salire in moto e la portava alla madonetta, si fermava, la faceva scendere e dietro a un cespuglio o nella radura la chiavava oscenamente e forse era proprio quello che attraeva lei.
Ma erano solo mie supposizioni quelle che pensavo, anche se vicine alla realtà, mancava il motivo vero, psicologico perché lei accettasse quella condizione e che io non conoscevo.
Lo stesso le sue amiche non si capacitavano del suo comportamento, lei così dolce, fine, educata, raffinata con quel “barbaro” come lo chiamavano a volte loro in alternativa a zulù. Le frequentava poco in vacanza, lui non voleva che lo facesse, per lui erano tutte buttane chiavainculo, andava al mare solo quando c’era l’alibi dei genitori a parlare con loro, se no nei momenti che lui era libero e non lavorava restava con lui.
Stupiva tutti, come una ragazza di buone maniere, cortese e per bene come lei, di cultura e intelligente, con una vita privata di tutt’altro tenore, vedesse in lui un vincente.
Viveva una relazione malata un amore non corrisposto, se si può chiamare amore quello di Cristina. Penso che lei era convinta che se fosse stata abbastanza brava come voleva lui, le cose sarebbero cambiate, Cumpà l’avrebbe rispettata e per ottenere quell’intento anche con lui giocava la carta della seduzione, presentandosi come una ragazza diversa, ma ideale, sexy, dolce al punto giusto come voleva lui. Affettuosa ma non troppo, allegra e di buon umore quando lui scherzava e silenziosa quando lo era lui, dipendente dal suo umore, dai suoi desideri e dalle sue voglie, accettando le sue richieste. Una femmina che si conformava a quello che gradiva lui, come una buona meridionale di quel tempo. Asserviva i suoi bisogni e desideri personali a quelli di lui.
Seppi poi con il tempo che in genere queste ragazze si innamorano più del potenziale uomo che vedono loro, che dell’uomo vero e reale che hanno davanti.
Il partner viene idealizzato, di lui si vedono solo gli aspetti migliori, ci si concentra sui rari momenti in cui lui è disponibile e affettuoso e si ignorano i momenti ben più frequenti in cui lui è freddo, insensibile, egoista e brutale.
Quella era la caratteristica peculiare degli amori patologici di quel tipo, perché tale secondo me era il loro. Ma poi ne ebbi la conferma, era che il maltrattamento fisico e psicologico da parte di lui, (anche la freddezza e l’indifferenza erano una forma molto sottile di maltrattamento), sembravano far innamorare di più lei. Anzi, più lui era stronzo, più lei si adattava, sembrando coinvolgersi sentimentalmente aggrappandosi a quella relazione.
Scusate ma a quella età non lo capivo… non capivo la causa, il perché si comportasse così, del perché lo frequentasse….
Ma il comportamento predominante della condotta di Cristina lo conobbi molti anni dopo, oltre quarant’anni dopo, raccontando una notte, a un collega laureato in psicologia che per puro caso eravamo insieme al pronto soccorso, essendo stato lui chiamato perché un tizio dava di matto… e gli parlai di quel contegno giovanile di Cristina.
Non riuscivo a capacitarmi perché lo seguisse e si sottomettesse a lui, era il mio chiodo fisso, la mia ossessione.
Quando gli spiegai quel ricordo giovanile che nella lunga notte per restare svegli gli raccontai, lui mi rispose:
“Il suo è stato un comportamento comune nelle donne, specie nelle ragazze giovani, quello di legarsi a un uomo o ragazzo anche se le maltratta…” Fece una pausa e proseguì:” … ed è più comune di quello che si pensa anche ora, solo che in quegli anni non si conosceva la definizione, la causa a una reazione comportamentale di quel tipo.”
E oggi si conosce?”
“Si per un 90%...” Rispose:” …e anche più. La risposta si chiama Sindrome di Stoccolma, ma è stata si può dire scoperta e studiata proprio in quegli anni che la tua amica si comportava in quella maniera. Si è iniziata a studiare da un episodio accaduto nel 1973, quindi pochi anni prima di quegli episodi e si è sviluppata negli anni seguenti fino a diventare certezza e scienza psicologica. Sai cos’è?” Mi domandò.
“Più o meno il legame tra vittima e carnefice…” Risposi, e lui continuò:
“Si!... Nonostante sia definita come una sindrome, in realtà non è considerata una patologia clinica e non rientra nelle malattie psichiatriche, poiché secondo gli specialisti del settore non presenta i requisiti necessari. Le cause precise che determinano la sindrome di Stoccolma non sono ancora molto chiare.”
Mi guardò e io ripetei:” Sindrome di Stoccolma?”
“Si ma non nel senso letterario e scolastico della definizione, del sequestratore e della sequestrata, vittima e carnefice. Quello veniva considerato all’inizio dello studio della sindrome, ora è diverso anche se la matrice è la stessa, si parla di un sopraffattore e una vittima a livello psicologico. Oggi ha molteplici aspetti e sfaccettature, è molto più soft della definizione originale e avviene anche in famiglia, in una relazione romantica o in una relazione interpersonale in generale. Ora è un atteggiamento che si può definire da “sopraffattore” su chiunque aggredisce psicologicamente qualcuna e in qualsiasi modo genera una reazione in lei, che si può definire da “assoggettamento o dipendenza” in chiunque subisce e si sente invasa in qualsiasi modo, da questa dipendenza fisica e psicologica nella sua sfera intima, nel suo Io.” Fece una pausa e continuò:
“Il sopraffattore potrebbe essere chiunque, il marito, ma anche la moglie, il fidanzato o la fidanzata, il padre o la madre, l’amico o il detentore di qualsiasi altro ruolo in cui l’abusante è in una posizione di controllo o di autorità su qualcuna.
È perciò importante capire le componenti della sindrome di Stoccolma per essere in grado di capire perché una persona reagisca in un determinato modo.”
Lo guardai e sorrisi e lui continuò:
“L'espressione <sindrome di Stoccolma>, nel caso di quella ragazzina che dici tu, è utilizzata per indicare una situazione paradossale in cui una persona (lei)in questo caso, è la vittima di un atteggiamento abusante o di altri tipi di sopraffazione fisica, verbale e psicologica da parte del suo amante. È una dimostrazione palese di un legame traumatico.”
“Si ma lei ai sui abusi non ha mai reagito. Perché?” Dissi io.
“Perché l’ha sopraffatta, questa ragazza Cristina che mi dici, avvertiva inconsciamente un sentimento di simpatia, empatia, fiducia, attaccamento e persino emotivo nei confronti di chi le praticava angherie e soprusi e che deteneva su di lei per la prima volta una posizione di potere nei suoi confronti. Che mi hai detto si chiamava Cumpà questo tipo.” Fece una pausa e riprese:
“Lei probabilmente anche se assurdo, avvertiva un sentimento di attrazione, di emozione, affidamento, attaccamento e persino amore nei confronti del suo prevaricatore, quel Cumpà che dici tu. “
Mi guardò, sorrise e mi chiese: “Capisci quello che dico? Mi segui nel discorso?”
“Si…sì… vai avanti.” Risposi. Era interessante quel lato psicologico di Cristina che mi spiegava.
“La sindrome di Stocolma, è stata rilevata e studiata poi in tutto il mondo, proprio a partire dai fatti di Stoccolma. Il soggetto affetto dalla sindrome, in questo caso quella ragazza Cristina, durante i maltrattamenti subiti, provava un sentimento positivo nei confronti del suo approfittatore, quel Cumpà che dici tu.
Che può spingersi oltre l’attrazione, fino alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra sopraffattore Cumpà e la sopraffatta Cristina, che può essere anche sessuale.”
“Anche se giovani?” Chiesi.
“Certo, motivo in più per condizionarla psicologicamente, anche inconsciamente. Proprio questo paradosso psicologico prende il nome di “Sindrome di Stoccolma”, una reazione emotiva automatica, sviluppata a livello inconscio, al trauma creatosi con l’essere “vittima, sopraffatta, sottomessa, invasa da lui. E dirò di più. Il suo atteggiamento e gli atti sessuali che faceva, con quel Cumpà, nell’inconscio si saranno liberati anche dopo… facendo sesso con un altro.”
“Vuoi dire che il desiderio e il piacere di quello che le faceva provare lui, in seguito lo ricercava negli altri?”
“Certamente sì!” Mi disse:” Certamente lui, questo Cumpà non sapeva queste cose sulla Sindrome di Stocolma, ci si è trovato e ha ottenuto il risultato a sua insaputa.” Fece una pausa e riprese:
“Scusa analizza un attimo… questa ragazza…questa Cristina aveva 18 anni?”
“Si!” risposi.
“E quel ragazzo, quel Cumpà…!?”
“Lui 19 anni.”
“Quindi appena un anno in più e il ragazzo di questa Cristina che lei ha lasciato?”
“Giulio? ...Aveva 18 anni anche lui, quasi 19 anni.” Lo informai.
“Quindi tutti coetanei, stessa età, ma estrazioni sociali e culturali differenti. Educati e rispettosi la coppietta e maleducato e prepotente lui. Dico bene?”
“Si!”
“Allora, partendo dal fatto che erano giovani in età adolescenziale, con la voglia di rivalsa sociale di questo Cumpà, e di superiorità sociale e di rapporto interpersonali della coppietta, si può dire che erano molto diversi.
Partiamo dalla spiaggia quando è nato o perlomeno è successo tutto, perché inconsciamente i sintomi della Sindrome c’erano già, solo dopo si sono manifestati e diventati consci a tutti.”
Fece un’altra pausa e sorrise:” Seguimi nel discorso che te lo spiego psicologicamente…” Disse.
“Mamma…” Risposi:” …ma posso interromperti?” Domandai.
“Certo, quando vuoi, ma alla fine del concetto.”
“Va bene!” Risposi.
“Allora… in spiaggia c’è una festa, i due fidanzatini erano litigati ma lui voleva fare pace e lei non lo sapeva? Giusto?”
“Si, più o meno!”
“Lui, questo Cumpà che dici, chiamiamolo l’invasore, che altro non era che l’abusante, che si mise a ballare con questa Cristina davanti a lei gli Sheik … suscitando la gelosia del suo maschio ufficiale, questo Giulio. Lei vanitosa e irritata come tutte le ragazzine di quella età che litigano con il proprio ragazzo, vuole farlo ingelosire e inizia inconsapevole un gioco pericoloso, accettando di ballare con questo Cumpà, e le rivolge falsamente e stupidamente le sue attenzioni, perché lo mette allo stesso livello del suo ex ragazzo. Praticamente competitivo con lui. Lo scopo era solo quello di fare ingelosire il suo ragazzo Giulio e nient’altro, che difatti mostra insofferenza verso il loro atteggiamento confidenziale. Fino qui ci siamo Lillo?” Mi chiese.
“Si!” Risposi e proseguì.
“Poi dal mangiacassette esce una canzone da ballare lenta… lui si fa avanti la prende per le braccia, lei non vorrebbe dargli tanta confidenza, perché per fare ingelosire il suo ragazzo Giulio gliene ha già data troppa e ne è consapevole. Ma si sa a quell’età lì si è perfide e vanitose e prima di concedere il perdono a questo Giulio, vuole spingere il coltello nella ferita, fino in fondo e accetta, balla il lento tra le altre coppie con quel tipo lì, il Cumpà che probabilmente si monta la testa e pensa di piacerle davvero.
Quel Giulio la guardava geloso e risentito dell’atteggiamento verso quello zulù come lo chiamavano loro, mentre lei invece era superba e soddisfatta di vederlo ingelosito e tormentato…
Quel Cumpà, ballando la tocca. Accarezza la schiena e il sedere facendole capire fisicamente di desiderala e con quegli atti di considerarla sua. Lei non vorrebbe essere toccata ed è infastidita, ma lui la sopraffà con i gesti e le toccate… Ci siamo fino qui Lillo?”
“Si!” Risposi.
“Bene! ...” Esclamò:” Ecco qui ce la prima sopraffazione, fisica di Cristina da parte di Cumpà, che alle sue <molestie> chiamiamole così, cerca di allontanargli le mani. Ma alle sue insistenze, non si oppone drasticamente, non va via, non si stacca da lui, ma stupidamente, involontariamente ride divertita e resta a ballare, in un certo senso interpretativo da parte di lui, di concedergli, autorizzandolo a toccarla come se fosse sua. E questo Cumpà, nella psiche vive e interpreta quell’atteggiamento di lei come risposte positive ai segnali che lui aveva mandato, e Cristina inconsapevolmente non se ne rende conto e continua, apparendo agli occhi di lui come se lo volesse lasciarsi toccare e fosse sua oramai… tanto da permettergli di accarezzarle il sedere e oltre. Tutto questo mentre il suo ragazzo ufficiale Giulio guardava geloso.” Fece una pausa e pronunciò:
“Diciamo come avviene oggi, che lui ci provava e lei ci stava?... Oppure lui ci provava e lei non rifiutava, che è la considerazione più logica, inviandogli così senza volerlo e scelleratamente un segnale pericoloso di accondiscendenza.”
“Ci siamo?” Mi domandò ancora.
“Si…sì vai avanti…” Era interessante quello che diceva e proseguì.
“Il suo ragazzo Giulio era geloso che quel terrone o zulù come lo chiamavano loro, quel Cumpà toccasse quella che anche se litigati era ancora e considerava la sua ragazza, la sua Cristina, perché fino a quel momento era ancora tutto così. Loro sì che erano litigati, ma erano sul ciglio di fare pace e avevano i loro sogni e programmi futuri comuni… E non era la prima volta che litigavano e facevano pace e lui non voleva che quel tipo la stringesse, toccasse, palpasse, con lei non si opponeva, non diceva niente e faceva sorrisini solo per ingelosirlo. Forse Giulio aveva intenzione di alzarsi e fermarlo…oppure farlo lei, ma non lo sappiamo, e non l’hanno fatto.
All’improvviso cosa avviene?... Iniziano i fuochi d’artificio e tutta la compagnia insieme, terroni e milanesi corrono verso il molo a un centinaio di metri a vedere meglio. Restano solo vicino al fuoco che si stava spegnendo, quel Cumpà con Cristina che stavano ballando ancora e Giulio che non corre con gli altri, ma resta lì, dove c’è la sua ragazza, per riprendersela e tu, che fatti pochi metri ti fermi, giri e li guardi. Giusto.”
“Si!” Risposi.
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