I NOSTRI CONTATTI

IMMORALEX

SEGUI I NOSTRI SOCIAL:

angeverd53@libero.it

123456789


STORIE E RACCONTI EROTICI

VIETATI AI  MINORI DI 18 ANNI

All Right Reserved 2022

L'ETA' DEL DISINCANTO

cap. 13 lo spettacolo.jpeg

VIETATO AI  MINORI DI 18 ANNI 

 Note:

 

“Il tuo nudo corpo dovrebbe appartenere solo a chi amerà la tua nuda anima.”

(Charlie Chaplin)

 

CAP. 13 LO SPETTACOLO.

 

Dopo averle leccato un po' la figa con lei adesa a un albero, Cumpà si tirò su e senza doversi alzare in punta di piedi perché lei con le zeppe ai piedi era già più alta di lui, con il cazzo duro nella mano, puntò la cappella sui peli, tra le labbra vaginali ormai fradice di umori e saliva. E sempre con lei adesa all’albero con una spinta del bacino verso l’alto fece entrare la cappella e la penetrò lentamente ma inesorabilmente in su fino in fondo a fermarsi con il glande contro l’utero, impalandola di carne dura e calda in un solo colpo. Glielo infilò dentro tutto, oramai dopo più una settimana che la chiavava quasi tutti i giorni, la sua verginità era un ricordo, la via era aperta e la vulva dilatata.

Lei a sentirselo entrare con la cappella come una testa d’ariete e scorrere dentro la vagina si inarcò lasciando la schiena appoggiata all’albero, ma staccando per reazione con un colpo dei lombi il bacino verso lui, e con quell’atto involontario ma di reazione, auto penetrandosi di più guardandolo negli occhi ansimando. E baciandosi in bocca Cumpà incominciò a chiavarla. 

“Se la fotte... la sta fottendo(chiavando)…” Bisbigliò Nofrio contento. 

Cumpà l’afferrò per le natiche e la tirò un po' su staccandola da terra, portandosi le sue cosce sui fianchi e le gambe con i piedi pendenti dietro alle sue, e in quella posizione eretta cominciò a chiavarla, a spingere in su e Cristina per inerzia a scivolare con la schiena lungo il tronco dell’albero di faggio grigio chiaro e liscio come una colonna di marmo, auto penetranosi sempre di più.  A sentirselo dentro in vagina, lungo e duro iniziò a dimenarsi freneticamente, mentre le grosse e ruvide mani di Cumpà abituate al lavoro manuale sostenendola per i glutei li stringevano, rilasciando e impastando con le dita il suo bel culo sodo, facendola ansimare e contorcere. 

Era così bagnata di umori vaginali che ogni volta che Cumpà si tirava indietro, dalla figa si vedeva la parte di asta lucida e umida vicino ai peli neri uscire e rientrare. 

Cristina ansimava e godeva con il seno adeso al petto di Cumpà, premuto tra loro due dal suo torace glabro contro le sue mammelle, e dalla foga del rapporto sessuale si scuoteva con tutto il corpo in sincronia con gli alti e bassi delle sue spinte peniene in vagina e ai toni dei suoi gemiti di piacere. Avendo piccoli orgasmi continui.

Lei godeva e lo baciava in bocca e le accarezzava i capelli neri, lunghi e anche se lavati stopposi sulle spalle, con le basette a vista davanti alle orecchie, come si usava allora, proprio come i terroni o i sud americani. Ma in quel momento non gli importava chi fosse, se un terrone o un milanese, Cumpà la faceva godere e a lei piaceva gioire e le bastava.

Da dove ero io si vedevano quasi di lato e vidi la gamba sinistra di lei scendere, allungarsi e appoggiarsi a terra per mantenere bene l’equilibrio e non gravare con il peso del corpo su Cumpà, e l’altra quella destra dalla mia parte inconsciamente tirarla su dietro di lui come ad avvinghiarlo alla vita. E in quella posizione vedevo bene la sua figa e il cazzo di Cumpà entrare e uscire dalla vulva, andando avanti e indietro e anche quando glielo piantava tutto fino in fondo.  Era tremendo e impressionante osservare la ragazza che amavo chiavare con un altro e proprio con lui. E poco dopo sotto l’orgasmo sentirla gemere e vederla tremare tutta abbracciandolo sul collo e lasciandosi dare colpi di cazzo in vagina che la spingevano in alto e sollevavano staccandola e riappoggiandola al tronco dell’albero. Vedevo l’unica sua gamba che la sosteneva tremare e cedere contraendosi tutta per restare eretta. Era tenuta e sostenuta dritta dal suo cazzo in figa e dalle sue mani che scese la sorreggevano una sul fianco e l’altra sul gluteo per non farla scivolare giù, godendo e venendo mugolando con la testa piegata o indietro contro l’albero o in avanti sulla sua spalla; aggrappata a lui per non cadere dalla spossatezza del godimento e dai colpi di minchia che gli dava quel bastardo. Pronunciando lui parolacce oscene che faceva sentire anche a noi, del tipo:

” Buttanella… ti piace la minchia di Cumpà… Ti faccio diventare una suga minchie io…” 

Era in una sistemazione e situazione quasi sacrificale la sua adesa all’albero e stanca, per avere una posizione più stabile tirò giù anche l’altra gamba che aveva alzato dietro a lui e in piedi sulle zeppe a gambe larghe si lasciava chiavare contro il tronco dell’albero.  Era bella nuda con tutti i capelli sciolti che le scendevano dietro le spalle e sul seno, alla portata della sua bocca che baciandola li prendeva tra le labbra. Io la immaginavo dentro di sé bollente, accogliente e provavo una vera e propria sensazione di gelosia e di invidia per il godimento profondo che le sapeva dare quel bastardo di Cumpà. In quei momenti seppur eccitato l’odiavo perché le procurava orgasmi e godimento, quello che avevo sempre sognato di darle io. 

Lei gioiva intensamente e quando i mugolii e i gemiti divennero vere e proprie grida di piacere, fu colta da un orgasmo vigoroso che la invase nel corpo e la portò a fremere tutta facendola tremare e scuotere la testa e i capelli, come se le sensazioni di piacere cerebrali le bruciassero il cervello e lei sbattendo il capo e scuotendo il corpo volesse spegnerle. Le sue grida di piacere si levarono verso il cielo tra gli alberi e le foglie, probabilmente vergognandosi lei stessa di lasciarsi andare a godere così tanto con Cumpà.

Noi li sentivamo godere masturbandoci chi venendo e chi ancora no, e ci si guardava stupidi e sorridenti, stranamente felici che lui la facesse godere, come se fossimo noi a chiavare e dar piacere alla milanesina. 

Lì, vedendola in quello stato di gioia esaltata, capii che con Giulio aveva finito e chiuso tutto davvero, definitivamente. Lui non le avrebbe mai fatto vivere le emozioni e le sensazioni di piacere che le faceva provare Cumpà, che sessualmente l’aveva iniziata, ma rovinata.

E tenendola impalata contro l’albero con il suo chiodo di carne dura dentro la vagina, con le gambe unite tra le sue divaricate, con la radice del cazzo e dei suoi peli neri contro e a mischiarsi con quelli più chiari del sesso di lei, avvertendo che era vicino al culmine del godimento e alla eiaculazione; uscì dalla figa, lo tirò fuori lungo ed eretto. 

Le sfilò l’asta dura e umida dei suoi umori dalla vagina che ancora dal piacere si contraeva eccitata e venne anche lui, che emettendo un grugnito animalesco le sborrò sulla gamba abbondanti fiotti bianchi di sperma caldo che le colarono dalla coscia in giù verso il ginocchio.

L’afferrò per la vita e lentamente vedendo che lei in preda al rapimento e l’estasi si lasciava andare completamente, accompagnandola la fece scivolare sul tronco e accovacciare inginocchiata alla base dell’albero, seduta con il sedere sui talloni e le zeppe, ansimante, con tratti di apnea, estasiata. Mentre anche lui abbassatosi di fianco a lei, le fece aprire le gambe e si mise ad accarezzarle la figa esternamente ancora umida e dilatata dal rapporto sessuale. E con due dita, muovendole in modo circolare sul margine come ne seguisse il contorno del foro vaginale, come se gliela disegnasse, osservava il suo interno corallino, vivo, lucido e bagnato dal piacere. E guardando verso noi che avevamo terminato la nostra masturbazione spiando Cristina chiavata da lui, sorridendo mormorò come a dire:

” Visto?... Fa tutto quello che le dico. La stordisco dal godimento!”

Cristina alla base dell’albero, lasciandosela accarezzare circolarmente da lui, ansimava ancora di piacere e di tanto in tanto emetteva sospiri e gemiti di godimento, come degli:

“Oooohhhhhhhh!!!!!!” Prolungati che le morivano in gola.

Sembrava quasi svenuta tra il delirio, l’ebrezza del piacere e la vergogna che provava a lasciarsi andare così.

Il silenzio scese tutto intorno, gli uccellini smisero di cantare e la natura pareva osservasse la scena sorridendo con gli occhi delle foglie.

Noi restammo immobili lei restò accovacciata all’albero ancora qualche minuto, non so, mi parve che avesse anche urinato in quella posizione accovacciata. Lui si tirò su e si mise a posto, era sudato fradicio. Con il margine inferiore della camicia si asciugò la fronte e il collo, poi si accese una sigaretta e venne verso noi, vedendoci e guardandoci silenziosamente fumando, mettendosi davanti a noi a pisciare e farci l’occhiolino.

Restammo fermi accucciati.

Poi ritornò da Cristina e prendendola per un braccio l’aiutò ad alzarsi e nuda e sudata la portò al centro della radura mostrandocela ancora dopo che l’aveva appena chiavata. Lei appena la lasciò, traballando quasi, andò vicino l’albero, tolse da sopra gli indumenti e frugò nella borsa, prese dei fazzolettini e si asciugò il mento e le labbra, e con un altro si asciugò la figa e lo sperma sulla coscia, tenendolo con due dita tra l’indice e il pollice come se le facesse schifo toccarlo. E con altri ancora si asciugò la fronte e le tempie che sotto quella lunga chioma sudava molto.

Poi mentre nuda lui l’accarezzava ancora sulla schiena e le natiche, prese e sbatte le mutandine e vi guardò attentamente dentro, a controllare che non ci fossero animaletti e le indossò. Lo stesso fece con il reggiseno e lo mise, e lui dietro glielo agganciò mormorandole qualcosa all’orecchio che la fece sorridere ma che non capimmo. Di seguito sbattendoli prima rimise la gonna di jeans e poi la canotta a top che infilò dalla testa. Prese il pettine nella borsa e piegando il capo e portando tutti i capelli in avanti fino in fondo quasi a toccare l’erba, iniziò a pettinarli in giù per sbrigliarli dall’attaccaticcio del sudore. Poi alzandola, con un colpo di testa li cacciò tutti indietro sulle spalle continuando a pettinarsi riordinandoli, osservando in giro, tanto che Cumpà vedendola in quell’atteggiamento intimo e signorile la osservò trionfale e superbo.

Afferrò l’astuccio porta trucco a forma di volto di gatto, l’aprì e prese lo specchietto e si ci guardò dentro muovendoselo davanti al volto, visto le dimensioni ridotte. 

“Che guardi? Che minchia ti trucchi?” Disse lui vedendola prendere la matita.

“Eh sì… devo farlo, devo andare al mare, c’è mia madre, non posso mica arrivare in questo stato… lei pensa che sono stata da una mia amica…”

E intanto mentre parlava si passò la matita e poi l’ombretto e si ritoccò gli occhi e successivamente il rossetto che ripassò sulle labbra e rifece il trucco.

Quando fu pronta, la vidi con i miei occhi, si avvicinò a Cumpà e all’improvviso gli diede un bacio sulla guancia, un bacio inaspettato, di contentezza, forse d’affetto o qualcosa di più o solo per il piacere che gli aveva fatto provare.

Lui invece di abbracciarla rispose infastidito a suo modo: “Che è stata cosa?” 

Contrariato di quella tenerezza, passandosi la mano sulla guancia e togliendosi il gesto che le aveva fatto e il rossetto sulla pelle. Accese la moto e lei salì dietro e si mise in posizione con i manici della borsa da spiaggia alla spalla, lo strinse alla vita abbracciandolo e posò il volto di lato sulla sua schiena con una smorfia di sorriso sulle labbra e lui partì con lei che lo stringeva…  

E pensai con rabbia e invidia: “Forse lei a forza di chiavare con lui prova qualcosa … “

Appena andati via uscimmo anche tutti noi e iniziarono a commentare:

“Minchia ragazzi avete visto come la sottomessa? “Disse Turi.

“La fottuta anche…” Rispose qualcuno e qualche altro aggiunse:

“Se le fatto sugare!”

“Cumpà si che ci sa fare con le femmine…” Dichiarò Nofrio.

E dopo chiacchiere e commenti più o meno volgari su Cristina, partimmo anche noi con me si eccitato, ma triste e malinconico.

 

Da quel pomeriggio surreale ed euforico, dove vedemmo Cumpà possedere carnalmente Cristina e sottometterla sessualmente, passarono parecchi giorni, forse una settimana. Li vedevo assieme durante il giorno girare in moto o lui venire prenderla al minigolf e andare via e spesso lo diceva apertamente dove andava… a chiavare. Oppure fermarsi e sedersi entrambi nel dondolo ad ascoltare le canzoni, incurante che poco lontano c’era il gruppo di Milano con le sue amiche e Giulio.

Alcune sere ci incontravamo con Cumpà, non tutte, quando lui non incontrava Cristina che era con i suoi genitori o la nonna. Ci si riuniva e ci raccontava cosa aveva fatto con lei, oltre quello che avevamo visto con i nostri occhi. Si esaltava superbo spiegandoci come la faceva godere e come bisogna fare per fare godere una ragazza e noi tutti ascoltavamo attenti.

A volte capitava che vedendoli seduti da soli, anche il pomeriggio, come facevo quando frequentava Giulio, anche con loro mi sedevo vicino e restavo in silenzio, e li guardavo e ascoltavo parlare. Qualche volta lei si rivolgeva direttamente a me chiedendomi qualcosa e mi faceva sempre battere il cuore ogni volta che lo faceva. Era sempre bella, per me la più bella di tutti. Oramai a tutti gli effetti era la ragazza di Cumpà, la sua femmina, sapevo che chiavavano tutti i giorni o quasi, che lei gli faceva anche i pompini e provavo invidia e ammirazione per lui e sempre attrazione, e nonostante tutto ancora amore per lei.

 

Un pomeriggio eravamo solo noi tre, Cumpà si alzò per andare a prendere da bere e mettere della musica. Introdusse cento lire al jeu box per sentire tre canzoni e mentre le sceglieva Cristina con la sua voce dolce e squillante gli disse alzando la voce:

“Cumpà metti l’ultima canzone della Bertè… quella nuova… Non sono una signora…”

Ma lui di spalle non le rispose. 

Le piaceva e forse si immedesimava in quella canzone.  Subito dopo averglielo detto si voltò verso me fumando la sua HB, dicendomi:

“Speriamo che la metta... lui inserisce sempre le canzoni di Mino Reitano e Orietta berti… le piacciono quelle lì, musica terrona…” Pronunciò ridendo guardando me e lui che non l’ascoltasse… Poi sempre sorridendo aggiunse:” A te piacciono quelle canzoni lì? “ 

“Un po' poco ma anche le altre. Piacciono soprattutto a mio padre e mia madre.”

E seduti al tavolino mentre lei dava boccate alla sigaretta appoggiandoci le labbra, come avevo visto fare quando faceva il pompino alla minchia di Cumpà, per attaccare discorso con lei le chiesi di sua nonna.

“Come sta tua nonna Cristina?”

“Bene grazie!” Rispose sorridendomi affettuosamente, mettendosi a parlare con me anche se ero più giovane. E mi domandò all’improvviso con mio stupore di mia sorella:” Ha il ragazzo?” Chiese.

“Si… esce con un ragazzo…” Risposi.

“Uno di voi?” Ribatté curiosa.

“Si... meridionale …” Replicai.

Lei sorrise dicendo all’improvviso:” Fanno sesso?”

Quella domanda mi infastidì, non mi andava che mi chiedesse di mia sorella Maria in quel modo: “Non so!” Risposi:” Ma non credo lei è una ragazza seria…”

“Anch’io lo sono, ma sai Lillino è tanto bello fare sesso…” Dichiarò ridacchiando sottovoce come se non volesse farsi ascoltare da altri all’infuori di me.

“Eh sì…” Risposi non sapendo cosa dire.

“Tu lo fai?” Mi domando imbarazzandomi con il suo sorriso curioso. 

Diventai rosso come il fuoco, balbettai:” Per ora no…”

“Ho capito! Ti fai pugnette come tutti gli altri, come dite voi.” Esclamò aggiungendo:” Ce l’hai la ragazza?”

“No…” Ribattei emozionato e imbarazzato da quelle domande.

“Ma c’è qualcuna che ti piace?” Chiese ancora.

“Si!” Dissi:” …Per esserci c’è!”

“Mentalmente avrei voluto dirle:” Sei tu Cristina quella che mi piace… il mio amore… “

Ma in quel momento tornò Cumpà con le bibite. Mentre nel jeu box Loredana Bertè iniziava a cantare:” Non sono una signora.”

“Che fai mi importuni la femmina...” Mi disse probabilmente scherzando, vedendomi parlare con lei 

“No.…no... Cumpà…” Pronunciai intimorito:” … non mi permetterei mai...” Mentre Cristina guardandomi sorrise della mia paura per lui:” No… abbiamo parlato di mia nonna...” Aggiunse aiutandomi e togliendomi dall’imbarazzo.

“Ah…!”  Rispose con un sorriso dubbioso Cumpà e si sedette e cambiarono discorso.

Mentre la canzone di Loredana Bertè andava e lei ne cantava le parole muovendo le labbra, si fermò ed esclamò:

“L’hai messa!” Sorridendogli, e prendendolo per il braccio si avvicinò per darle un bacio sulla guancia, come se mettendole quel disco che lei voleva e le piaceva, le avesse fatto un regalo o chissà cosa. Ma lui rispose a suo modo allontanandola:

“Ehh… che sono tutte queste smancerie…ti ho detto che non mi piacciono…” Allontanandola in malo modo.

“Ehhh… ma come sei bruto…” Replicò lei imbronciandosi e staccandosi:” Ti volevo solo dare un bacino.”

“Non ne voglio bacini, non mi piacciono queste minchiate… mi piace quando me lo suchi!” Controbatté sfacciatamente ridendo.

Lei mi guardò e alzò le spalle scuotendo la testa come dire è sempre così, portò il bicchiere sulle labbra e si mise a bere.

Intanto che il jeu box andava e ascoltavamo la canzone, lei fumando e bevendo, nelle pause la canticchiava, forse sentendosi la protagonista.

Quello fu l’unica volta che parlai con lei intimamente, lo ricordo ancora.

 

Una sera in cui Cumpà era con noi a raccontare e pavoneggiarsi, su nostra richiesta di farcela rivedere ancora come la prima volta mentre la chiavava, acconsentì e ci concesse ancora la possibilità di spiarla mentre facevano sesso, con le stesse modalità e condizioni precedenti. Si sentiva superiore con noi che le facevamo quella richiesta. E un pomeriggio concordato ritornammo alla madonetta molto prima che arrivassero loro, a preparaci i nascondigli e a organizzare da dove avremmo potuto vedere meglio.

Come la volta precedente mentre attendevamo li sentimmo arrivare nella radura. Arrivati Cristina alzare la gamba e scendere dalla moto e posare la borsa sull’erba, lo stesso fare lui e tirarla sul cavalletto. Restarono a parlare un po', accendendosi la sigaretta, Cumpà una Colombo a filtro bianco e lei una delle sue HB.

Mentre fumavano vicino alla moto lui la incalzò subito:

"Spogliati, che fa caldo… mettiti nuda!” Gli chiese.

“Di nuovo nuda?” Ribatté lei.

“Si!” Rispose, e lei non disse più nulla. 

Vidi Cristina flettersi, sulla borsa, non più come aveva fatto quel giorno in cui Cumpà scazzato le aveva fatto cadere le sue cose dalla borsa, flettendo pudicamente le gambe con il sedere verso i talloni piegandosi su di essi, come le avevano insegnato a fare educatamente sua madre e sua nonna. Ma la vidi piegarsi volgarmente a 90 gradi a gambe erette iniziando a slacciarsi i cinturini degli zoccoli di tela per toglierli, mentre dietro la gonna le saliva vertiginosamente mostrando il retro cosce e le mutandine.

"No, le zeppe no!... Le puoi tenere.” Disse. “Ti serviranno per camminare qui attorno. Facciamo una passeggiata con te nuda.” 

“Nuda? Ma dai Cumpà lo sai che ho paura!”

“Di chi hai paura se non c’è nessuno?” Rispose lui.

“Ma può arrivare qualcuno all’improvviso, qualche agricoltore vicino e io mi vergogno che mi vedano nuda…”

Lui rise:” No.… dai che non viene nessuno.”

“E poi ci sono gli animaletti, i ragnetti, le api e lo sai che ho paura…” Aggiunse lei.

Ma quali animaletti:” Spogliati dai!” Pronunciò autoritario.

Lei lo guardò e rimise le mani dentro la borsa per prendere il suo grosso asciugamano di spugna ben piegato da mettere a terra, visto che si era organizzata pur di non stare sull’erba, che le dava preoccupazione per gli animaletti che potevano esserci nell’erba, chiedendo a Cumpà:

” Questo lo stendo intanto? “Domandò riferendosi all’asciugamano.

“No per ora no...”   Rispose lui.

“Ma non fottiamo oggi?”  Chiese ridendo e schernendosi, facendo la stessa domanda con la sua stessa terminologia, che dimostrava quanto si stesse assimilando a lui.

Vedendo la sua esitazione e scazzato dalla sua lentezza la esortò: “Dai su! Togli il gonnellino e la maglietta. Dai, fai presto."

Lei ubbidì, si levò la minigonna e la maglietta da sola, non più aiutata, ma lui non era ancora contento e perfidamente esclamò: 

"Togli tutto, anche il reggiseno, così vedo ancora perché Giulio impazziva per il tuo seno.”

Facendole ricordare Giulio in quei momenti sessuali con lui, verso cui provava ancora sentimento. Lo tolse, e piegando le braccia e portando le mani dietro le scapole lo sganciò e sfilò dalle spalline sulle braccia. 

“Togli anche le mutandine…” La esortò la sua voce severa:” … così vediamo la figa e capiamo perché a Giulio piacesse tanto accarezzartela e farti i ditalini, anche se ce l’hai come tutte le altre... come le terrone. " Asserì sorridendo.

Vergognandosi si levò il reggiseno e le mutandine e le posò assieme agli indumenti sulla borsa. Era completamente nuda, ad eccezione dei sandali a zeppa che le sarebbero serviti a camminare sull’erba, qualche braccialetto e collana. 

Faceva molto caldo e si sudava sotto il sole rovente, mentre nascosti dalla vegetazione, i miei amici facevano a bassissima voce quasi muovendo solo le labbra commenti offensivi nei suoi confronti, insultandola e ridicolizzandola. Ma io la sentivo mia.

La stava umiliando e facendo fare cose e atti che mai aveva e avrebbe praticato nella sua vita di ragazza educata e per bene se non avesse conosciuto lui. 

Poi come faceva sempre si avvicinò e la bacio in bocca con la lingua succhiandole la sua e le accarezzò e strinse il seno, e abbassandosi con il capo glieli leccò con grande meticolosità sull’areola e intorno al capezzolo.  A lei piaceva farselo leccare e succhiare, si vedeva dall’espressione del viso e da come si lasciava andare e le offriva.

Di seguito Cumpà piegò il busto e si abbassò con la testa lungo l’addome fino a raggiungere il pube e passò a leccarle la figa, con lei che lo lasciava fare sussultando dal piacere al sentire la sua lingua grossa ruvida ed esperta sui peli della sua giovane vulva. Gliela divaricò con due dita spingendo la lingua dentro le labbra vaginali, penetrandola nei suoi umori di piacere, iniziando a leccare all’interno. Infilò la lingua dentro più che poteva e la roteò in un modo meraviglioso a vedere l’espressione del volto di Cristina, che appoggiando le mani sui suoi capelli neri, gli muoveva il capo osservando il cielo e gli alberi, provando sensazioni di estremo piacere. Sapeva fare anche giochi di lingua quel bastardo. I suoi fratelli gli avevano anche insegnato a leccarla. 

Il mio uccello non ci mise molto ad irrigidirsi come quello degli altri affianco a me, puntando la cappella verso lei che ignara di noi tra i cespugli e le foglie, in piedi si lasciava leccare la figa da Cumpà.

Lui all’improvviso stacco le labbra e la lingua dalla sua figa e si tirò su e gliel’accarezzò con le dita:” Ora fottiamo! (Chiaviamo!)” Mormorò.

Lei sentì ronzare e vide arrivare un’ape che volava da cespuglio in cespuglio da fiore in fiore:

“Ahh…!! Guarda la Cumpà! Un’ape!” Urlò intimorita facendo segno con il dito.

“Non è niente va via da sola!” Rispose lui.

“E se non va via e mi punge?” Ribatté lei.

“Non ti punge stai tranquilla!” Replicò Cumpà.

“Ma io ho paura…  sono nuda! “Mormorò Cristina spaventata.   

Effettivamente era nuda in piedi vicino a lui con quell’ape che le ronzava vicino. Visto che Cumpà rideva e la prendeva in giro, impaurita si mise ad agitare le mani da tutte le parti per mandarla via, gridando e abbassando la testa e il busto per schivarla visto che gesticolando l’aveva attirata e le girava attorno:

“Aiuto…. Aiutami Cumpà mi punge…” Gridò postandosi e muovendo le braccia, in tutte le direzioni, la testa e i capelli per allontanarla. Lui si voltò e ridendo con un gesto della mano deciso l’allontanò, mentre lei nuda grattandosi un avambraccio esclamò:

” È pieno di insetti qui…”

“Ehh… ma non fanno niente …” Rispose Cumpà:” Te l’ho già detto altre volte.”

“Eh sì!... Lo dici tu!”  Ribatté nuda davanti a lui mentre si metteva a posto i capelli e guardava attorno.

“Pensa se fosse un serpente allora?” Esclamò lui ridendo.

“Ahhh!!...Noo!!!...Nooo!!!“Si mise a gridare…” No Cumpà… non dirmi che ci sono i serpenti qui!... Non dire queste cose, ho il terrore, mi fanno schifo.”

E lui per prenderla in giro, divertito e ridente esclamò:

“Guarda ce n’è uno lì…!” Esclamò ridendo facendo segno con il dito verso i suoi piedi.

“Ahhh… noooo…nooo!!!  Doveeee!?...Dov’è!!??” Si mise a urlare saltellano.

“Vicino ai tuoi piedi… l’ho visto muoversi…” Continuò lui stronzo, ben sapendo che aveva paura ed era veramente terrorizzata.

“Ahhhh… nooooo… Cumpà aiutami… aiutami ti prego!” Gridò veramente spaventata alzando e battendo gli zoccoli e la zeppa per terra come una bambina che non sa fare altro per difendersi che piangere e battere i piedi a terra, facendo con quel gesto di saltellare, dondolare le sue giovani e pur sode mammelle dai capezzoli turgidi.

“Ho paura…ho paura!” Gridò portandosi vicino a lui abbracciandolo quasi a salirgli addosso e alzare le gambe e i piedi per proteggersi, pronunciando:

“Aiutami Cumpà...dov’è? … Aiuto…!” E intanto allarmata lo abbracciava. Era spaventata davvero…

Lui rideva, baciandola in bocca e sulle labbra, dicendole:” Stai tranquilla non ce ne qui serpenti… te l’ho detto per scherzo… ora calmati”

“Davvero?!” Domandò lei impaurita guardandosi intorno e vicino ai piedi cercando di tranquillizzarsi.

“Si, non ce ne sono …. se no non ti avrei portata qui… sei la mia femmina...” E sorrise. 

Poi per rassicurarla rendendosi conto anche lui che era davvero spaventata affermò:

” Guarda!” Si tolse gli zoccoli e andò scalzo dov’era lei, che guardandolo muoversi sicuro un po' si tranquillizzò.

“Non farmi più questi scherzi Cumpà, lo sai che io ho paura dei serpenti e degli insetti…” Pronunciò osservandosi ancora intorno e i piedi.

“Macché serpenti qui al massimo ci può essere qualche biscia…”

“Ahhh c’è??...  C’è??? Cumpaà…” Ripeté gridando.

“Ma no l’ho detto così, per dire…le bisce scappano se sentono rumore e vivono vicino all’acqua non qui!”

“Ma a me fanno paura lo stesso!” Rispose lei.

“Ti ho detto che con me non devi avere paura di niente… devi essere tranquilla, ti proteggo io, sono il tuo protettore.” E rise accendendosi una sigaretta al che lei cercando di calmarsi vedendolo fumare gli domandò: 

“Ma andiamo via o fottiamo Cumpà? Se no mi rivesto…” 

Anche lei aveva sicilianizzato o meglio Cumpanizzato il suo linguaggio e non diceva come era coretto, facciamo l’amore, o il sesso, ma diceva fottiamo… in siciliano.

E fumando la sigaretta lui guardandoglielo rispose: “Prima o poi ti chiavo in culo…”

Lei non capendo il senso di quella frase e cosa c’entrasse nel discorso che faceva lo guardò con un sorriso superficiale. Rispondendo:

“Dai... però Cumpà, non farmi più gli scherzi, lo sai che ho paura io sono una ragazza di città, delicata… e poi sono la tua femmina oramai…” Assimilandosi ancora al suo pensiero nel dire che era la sua femmina. 

Noi avevamo assistito a tutto in silenzio divertiti. 

“Dai vieni qua!” La esortò buttando incoscientemente la sigaretta nell’erba:” Visto che hai paura a sdraiarti nell’erba metti l’asciugamano e mettiti sopra a pecora.”

A quelle parole sapendo già cosa volesse Tirando fuori dalla borsa l’asciugamano di spugna lo stese chiedendo:

“Vuoi in ginocchio a carponi o piegata a 90 gradi con le mani appoggiare alla sella della moto o l’albero?” Domandò.

“Ti ho detto piegata!” Esclamò lui.

Lei sapendo già come fare si piegò, non si inginocchio ma si avvicinò al tronco mettendosi a 90 gradi con le mani appoggiate e le gambe divaricate sull’asciugamano, e mettendosi in quella posizione gli sporse il culo in fuori pronto per essere presa e posseduta da dietro vaginalmente, lei in quella posizione le offriva la figa, ignara che lui volesse il culo … 

Oramai Giulio era solo un ricordo lontano, Cumpà era il suo nuovo maschio e lei lo aveva accettato.

Accarezzandole il sedere e appoggiando la cappella contro la fessura vaginale per penetrarla da dietro le mormorò:

“Qualche volta ti inculo! Ti svergino questo bel culetto!”

“No.… Cumpà questo no!  Non voglio, ho paura ...”

“Con me non devi avere paura ti ho detto, ti farò godere anche in culo vedrai, preparati per la prossima volta.” Le disse e rise.

La penetrò e iniziò a chiavarla, in quella posizione, detta dell'agguato. Con lei quasi in piedi e lui dietro lei anch’egli in piedi, possedendola alle spalle. Quella che seppi poi viene considerata in genere una posizione da sveltina, sculacciandola con una mano mentre si muoveva e prendendole stringendo le mammelle e rilasciandole con l’altra. 

Cristina godeva, presa dall’ansimare godeva e spingeva il culo in fuori a prenderlo di più in vagina, su fino ad arrivarle la cappella all’utero. La stava chiavando in una specie di pecorina. Lei stringeva la corteccia dell’albero con le dita e Cumpà continuava a chiavarla tenendola dietro il collo con tutti i capelli attorcigliati nella mano, finché a bocca aperta, boccheggiando aria e piacere in preda all’orgasmo lei venne scuotendosi tutta, tremando e fremendo. Probabilmente in quella posizione la cappella di Cumpà le toccava meglio il suo giovane utero, facendola gemere. 

All’avvertire arrivare anche lui l’orgasmo, lo tirò fuori e con getti potenti le sborrò sulle natiche, uno, due, tre getti o pullazioni, grosse e filamentosi come sputi, riempiendole il sedere di sperma. Poi strisciò sopra la cappella, pulendosi il meato urinario con ancora un rivolo che usciva.  

Lei fece scivolare le mani e le dita dal tronco, lui tirandola per i fianchi la staccò, la ruotò e baciò in bocca con brutalità e con la lingua dentro.

Avevano finito, questa volta era stato breve…

Dopo qualche minuto, vacillando Cristina, si piegò e prese il grosso asciugamano di spugna che aveva messo a terra, guardò e scrollò che non ci fossero animaletti sopra e attorno e si asciugò la figa. Poi torcendosi con il busto portò le mani dietro con l’asciugamano e si pulì il sedere, spalmandosi senza volerlo lo sperma di Cumpà come una crema sulle natiche. 

Lui guardandole il culo già pallido, ma reso ancora più chiaro dallo sperma cosparso, rideva dicendo:” Stai attenta a non toccarti davanti lo sticchiu… la figa come dite voi, se no fai il patatrac…”

“Non sono mica scema, sto attenta, stai tranquillo e poi appena arrivo a casa mi lavo e lavo bene anche l’asciugamano.”

“Stai attenta che oggi ai bagni non lo adoperi tua madre l’asciugamano per asciugarsi la figa lei, oppure si asciughi la faccia!” Disse irriverente ridendo ancora sarcasticamente.

Si portò vicino alla borsa, prese l’intimo, gli indumenti e si rivestì e rimise a posto, fumarono ancora e poi ripartirono e andarono giù al minigolf a bere qualcosa.

Noi uscimmo dal nostro nascondiglio e iniziarono i soliti commenti volgari e negativi su di lei e di compiacimento e positivi sulla bravura e virilità di Cumpà. 

 

Sapevamo già cosa faceva al miigolf, la esibiva, quando arrivava la faceva sedere nel dondolo affianco a lui e se capitava che c’era anche Giulio e lei aveva la gonna, voleva che lo provocasse facendosi vedere infilare e tirare su la mano tra le cosce, fino alle mutandine e se le lasciarsse accarezzarle da lui. Oppure se erano in piedi sia che avesse i pantaloni o la gonna, posava la mano aperta sulla sua natica e gliel’accarezzava e stringeva, mostrando a tutti quelli dietro cosa faceva, e che Cristina era sua.

Lei non voleva che avesse quel comportamento in pubblico e gliel’aveva detto più volte:

“Dai Cumpà, non toccarmi in quel modo davanti a Giulio o i miei amici e le mie amiche, mi imbarazzi, mi vergogno… mi dispiace per lui… e mi imbarazza farmi vedere così da loro.”

“Non me ne frega niente di lui… deve sapere che sei mia e che ti fotto! (chiavo!)” Rispondeva presuntuoso, e spesse volte fingendo di parlare con qualcuno di noi diceva apertamente facendosi sentire da loro:

“Oggi l’ho chiavata…” Di modo che sentissero, mettendola volutamente in imbarazzo.

Non riuscivo a capire il loro rapporto, non c’era tenerezza, dolcezza tra loro, l’intimità non era sentimentale, affettuosa o emotiva, ma solo sessuale. A lui non piacevano quelle manifestazione e effusione eccessivamente sdolcinate da smorfiosetta che le faceva Cristina e che sarebbe stato felice qualunque ragazzo di riceverle se gliele avesse fatte e che lui chiamava “smancerie”.  In genere era sgarbato, offensivo e rozzo verso lei, non la considerava ed era volgare, eppure lei era sempre attaccata a lui. Aveva la possibilità di andarsene, di lasciarlo, ma non lo faceva.

Mai una parola d’amore: “Cara, ti amo, ti voglio bene…” Dette da lui, però devo dire per onestà che non gliele diceva neppure lei. Come dicevo sopra, non lo chiamava neppure confidenzialmente Tano, il suo vero nome, come dovrebbe essere tra una coppia che fa sesso essendo lei la sua donna. Ma lo chiamava in modo distaccato e superiore Cumpà, come prima di mettersi con lui. 

Era uno strano rapporto il loro, fatto esclusivamente di sesso per entrambi, con lei che lo scopriva in quel periodo con lui e le piaceva praticarlo. Amore non so se c’era, forse con il sesso un pò da parte di Cristina che era più coinvolta emotivamente e non certo suo, per lui era solo un trofeo da esibire, mostrare, un giocattolo per divertirsi.

 

Ogni commento e suggerimento è gradito.

Grazie.

Inviare a “dressage1@hotmail.it

 

 

I contenuti presenti sul blog "Immoralex" dei quali è autore il proprietario del blog, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o ridistribuiti in forma parziale o totale senza previo accordo con l’autore stesso e citando sempre la fonte d’origine. 

È vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma. 

Copyright © 2022 Immoralex. All rights reserved