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STORIE E RACCONTI EROTICI

VIETATI AI  MINORI DI 18 ANNI

All Right Reserved 2022

ANALISI DI UN CUCKOLD IN TERAPIA

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VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI

 

ANALISI DI UN CUCKOLD 2° SEDUTA.

 

NOTE:

" Non so che cosa sia peggio: non sapere chi sei ed essere felice, o conoscere quello che hai sempre voluto sapere, e sentirti solo."

(Daniel Keyes)

 

 

CAP. 3 RICORDI DI ADOLESCENZA.

 

Il giovedì successivo stesso rituale… Dopo avermi fatto accomodare e mettere a mio agio sdraiato sul lettino, mise una lucina rilassante, che creava penombra attorno, si sedette a fianco, e poco dietro di me con penna e il bloc notes in mano, contò fino a dieci e iniziammo la seconda seduta.

“Bene, nell’altro incontro le ho spiegato alcune sfaccettature sul cuckolding e le ho posto domande sul suo rapporto da cuckold con sua moglie. Ho rilevato parecchi spunti di analisi interessanti che dovremo sviluppare e approfondire in seguito. Ora però, che mi ha spiegato a grandi linee e ho appreso come si è svolto il suo approccio e la sua esperienza a tale pratica, aspetti prima di continuare...” Fece una pausa e riprese:

“Prima di raccontarmi altro di lei e sua moglie e dei vostri rapporti sessuali, voglio partire dall’inizio, conoscerla meglio e approfonditamente nel suo «IO», nel suo sub inconscio e quindi farle qualche domanda particolare su di lei, sulla sua infanzia, adolescenza e giovinezza e parlare anche di lei da giovane e della sua famiglia.” E dicendo così pronunciò:

“Mi dica un po' di loro...”

“Non mi opposi essendo stato informato precedentemente al primo incontro che ne avremmo discusso, anche se non mi andava e personalmente non lo ritenevo utile, ma acconsentii pensando di liquidare tutto in poche frasi e pochi minuti… Invece mettendosi comoda sulla poltroncina con la penna in mano appoggiata sul bloc notes, domandò con la sua voce calda e tranquilla.

“Bene, incominciamo, si rilassi! … Mi dica, com’era formata la sua famiglia? Quante persone eravate?”

E dopo un breve sospiro iniziai:

“La mia famiglia?... Noi siamo meridionali. In quel periodo era composta da mamma da me, mia nonna, mia sorella poco più grande di me di quasi un anno e un fratellino di 4 anni. Tra me e lui c’erano 11 anni di differenza e tra lui e mia sorella 12 anni, era arrivato tardi, all’improvviso.” Asserii sorridendo. Proseguendo: “… E poi, quando sbarcava che non viaggiava, c’era anche mio padre che quasi sempre navigava e restava via lunghi periodi senza venire a casa; in quegli anni stava lontano anche 7-8 mesi di continuo e a volte un anno, per poi fermarsi quando ritornava un paio di mesi ogni volta... anche meno.

Mia madre si chiamava Maria Annunziata…”

“Maria Annunziata, che bel nome…” Disse la dottoressa interrompendomi.

“Si, la nostra famiglia era molto religiosa. Pensi che mia sorella si chiama Maria Assunta, anche lei il nome della madonna.”

“Proprio tradizioni cattoliche…” Esclamò sorridendo.

“Si…tutti i nomi di santi.”

“Continui, diceva di sua madre?”

“ Si, lei si  chiamava Maria Aannunziata,  ma tutti  i conoscenti la chiamavano Nunzia, solo i più intimi amici o paesani che l’avevano conosciuta anche da ragazzina, la chiamavano confidenzialmente Nunziatedda, ma erano in pochi. C'era mia sorella che chiamavamo Susi, diminutivo di  assunta, mia nonna Rosaria, mio padre Gaetano, ma lo chiamavano tutti con il diminutivoTano e mio fratellino Corradino.

Noi eravamo una famiglia di tradizione marinara, mia madre come sua sorella e mia nonna e altri parenti e conoscenti, era la moglie di un marittimo e tale era la vita del navigante allora, lontano mesi e mesi dalla famiglia e dai suoi cari senza vederli…”

E aggiunsi: “… non c’erano nemmeno i cellulari, ma si scrivevano mensilmente lettere, noi non avevamo nemmeno il telefono in casa e loro anche se raramente si facevano qualche telefonata, quando mio padre arrivava in qualche porto e la chiamava al centralino telefonico pubblico della Sip ...” La informai terminando di parlare.

“Come mai suo padre navigava e aveva scelto questo lavoro, di stare lungo tempo lontano da casa? Dalla moglie, dai figli?” Domandò.

“Certamente lo aveva fatto soprattutto per tradizione, venendo già da famiglie marinare o di pescatori… Difatti come dicevo, anche mia zia, nonna, e altri parenti e conoscenti erano tutte coniugate con naviganti. E anche perché in quei tempi c’era solo molto lavoro nell’edilizia e non era stabile come essere dipendente da una compagnia di navigazione, dove inoltre si guadagnava di più, e a lui probabilmente non piaceva il lavoro da edile.” Risposi.

“Quindi soprattutto per tradizione famigliare?” Affermò.

“Sì!” Replicai, mentre sentivo e vedevo con la coda dell’occhio che scriveva qualcosa.

“Bene!... E i rapporti tra di voi com’erano? Andavano bene, c’era concordia in famiglia? I suoi genitori andavano d’accordo tra loro?” Domandò.

“Sì i genitori … andavano d’accordo, quando papà sbarcava si amavano. Io dormivo con mia nonna in un letto matrimoniale e mia madre quando non c’era mio padre, con mia sorella e mio fratellino nel loro letto matrimoniale, però mia sorella aveva anche la sua stanza.” E a quei ricordi aggiunsi: “Ogni tanto la facevo disperare a mamma, come tutti i ragazzini, ma niente di più! Ci aveva educati bene nei valori morali e religiosi, abbiamo frequentato le scuole elementari in un istituto privato di suore a pagamento. La domenica mattina eravamo sempre a messa e io a servirla da chierichetto… e il pomeriggio in oratorio a divertirmi con altri ragazzi, oppure a giocare anche da solo alla spiaggia o nei palazzi in costruzione che c’erano a quei tempi…”

“Di che anni parliamo?” Chiese...

“A metà degli anni settanta.” Risposi.

“Bene!” Esclamò. E subito aggiunsi:

“Sa, noi eravamo una famiglia meridionale onesta e per bene e sentivamo molto il senso dell’onore, la moralità, l’educazione e quello che poteva dire la gente.”

Com’erano i rapporti con sua madre?

“Bene!... Belli!... Bellissimi! Ogni tanto qualche litigio perché non mi permetteva di fare alcune cose che volevo… ma niente di più!”

“Cosa non le permetteva fare che lei non voleva. Mi faccia un esempio?” Mi interruppe.

“Mah… parlo di quando avevo 15 anni, negli anni settanta, dove alcune sere con gli amici ci vedevamo al bar, specialmente il sabato e poi andavamo al cinema che finiva a mezzanotte. Ma mia madre non voleva che stessi fuori così tanto e visto che ritornavo sempre dopo l’orario di rientro concordato perché mi soffermavo a chiacchierare con gli amici, c’erano discussioni, alla sera stessa che rincasavo o il giorno dopo. Probabilmente aveva il timore che frequentassi cattive compagnie a stare fuori fino a tardi. E per farmi ritornare a casa in orario mi diceva:

«Devi rientrare presto... perché siamo sole in casa e tu sei l’unico uomo in famiglia! Noi siamo tre donne sole e un bambino piccolo e tu oramai sei grande e ci devi proteggere. Perché quando non c’è tuo padre sei tu il maschio di casa, di famiglia.»

E quindi dovevo rientrare a casa all’ora stabilita o alla sera restare in casa per proteggerle diceva lei e su questo non transigeva. Ma era una mamma buona, se poteva mi accontentava sempre e in tutto, mi voleva molto bene, come io a lei del resto.”

“Quindi lei si sentiva un po’ il loro protettore dai pericoli che potevano subentrare?”

“Sì… per forza, ero l’unico maschio grande in famiglia.”

“Sì certo… era l’unico maschio, escluso suo fratellino! Ma questa parola “maschio”, la usa lei adesso oppure era nel vostro linguaggio…” Non capivo cosa intendesse dire, ma risposi la verità:

“Era nel nostro linguaggio…” Affermai.

“Ahh… e cosa significava nel vostro linguaggio famigliare o dialettale essere maschio…?”

“Ma essere maschio significava essere uomo… altro non so, non mi viene in mente altro.” Risposi…

“Uomo tipo essere forte, vigoroso?” Precisò.

“Sì! Giusto…” Confermai.

“Virile anche!” Aggiunse lei...

“Sì!” Affermai sorridendo.

“E lei cosa provava a sentirsi responsabilizzato così, del compito che le dava sua madre di proteggere lei e tutta la sua famiglia?”

“Beh, al di là dei mugugni che facevo, mi sentivo importante, grande, uomo e soprattutto mi piaceva che mia madre mi prendesse in considerazione e mi rendesse così importante per loro, che lei si affidasse a me per essere protetta e proteggere tutti in famiglia, considerandomi un uomo anche se ero ancora un ragazzo.”

“E lei poi faceva quello che le diceva sua madre? Ubbidiva? Rientrava presto?”

“Sì, in genere sì, quando sapevo che tardavo glielo dicevo prima di uscire, piuttosto a malincuore rinunciavo a stare un’ora in più con i miei compagni e ritornavo da loro a casa. Mi sentivo responsabile davvero di loro, anche se poi in genere erano quasi sempre a letto che dormivano quando rientravo...”

“Bene quindi lei si sentiva responsabile della sua famiglia.”

“Sì… ma anche se mia madre diceva che ero io il maschio di casa, era sempre lei che comandava e decideva su tutto. Ma se ci fosse stato bisogno, c’erano anche gli zii, i fratelli di mamma e papà, i miei cugini, ma lei lo diceva soprattutto perché voleva che io fossi a casa a quell’ora, per responsabilizzarmi.”

“Con sua sorella com’erano i rapporti?” Domandò mentre scriveva sul bloc notes.

“Buoni, lei era più grande di un anno e qualche mese, si può dire che eravamo coetanei, studiava, era una bella ragazza mora, tipica mediterranea, piaceva anche ai miei amici che me lo dicevano apertamente.”

Sentii che come pensando mormorò: “Mmmhhhh!!!”

“Litigi ne avete mai avuti?” Chiese.

“Con mia sorella?” Domandai.

“Sì!” Rispose.

“Sì, spesso, anche se andavamo d’accordo e ci volevamo bene.”

“Per che motivo litigavate?” Puntualizzò.

“Mah, più che altro perché la prendevo in giro, le facevo i dispetti oppure…” E mi fermai d’istinto pensando di dire qualcosa di sconveniente.

“Oppure…?” Proseguì lei.

“Mah... a volte io entravo in bagno o in camera senza bussare quando c’era lei.”

“Entrava in bagno quando c’era lei?” Domandò subito.

“Sì, a volte, ma lo facevo per urgenza perché non volevo aspettare o anche in modo canzonatorio… per prenderla in giro, farla arrabbiare, mi divertivo così in casa da ragazzo stupido.”

“Anche con sua madre lo faceva?” Domandò immediatamente.

“No! Assolutamente… Con mamma non mi permettevo, mi avrebbe picchiato, preso a schiaffi. Se dovevo entrare per qualsiasi cosa in bagno che c’era lei, bussavo e chiedevo permesso e se potevo entrare. Lei voleva che facessi così anche con mia sorella, ma allora da ragazzo non lo facevo, ero irriverente e anche stupido nei suoi confronti, mi divertivo. Dopo sì, crescendo sono cambiato… iniziai a rispettarla anche nella sua privacy. Ma allora mi svagavo ad essere insolente e sfacciato con lei.”

“Le capitava di assistere volontariamente o involontariamente a particolari momenti di intimità sua?”

Riflettei, ero imbarazzato a ricordare quegli episodi e a dover dire quelle cose del mio passato intimo, ma dissi la verità: “Sì! ...A volte capitava…” Risposi.

“Quando?” Domandò ancora.

“Mah… a casa! E anche nei momenti di vita quotidiana.”

“Tipo?” Ripeté.

Quel suo essere precisa e meticolosa dei fatti miei personali della mia adolescenza e della mia famiglia mi innervosiva.

“Magari al mattino quando ci alzavamo, soprattutto d’estate che si era in libertà… faceva caldo e si ci vestiva poco.”

“Cioè? Mi spieghi meglio.” Puntualizzò ancora.

“Ehh cioè… d’estate al mattino quando ci si alzava, mamma a volte era solo in mutandine e reggiseno e anche mia sorella e io solo con lo slip… “A quel punto mi interruppi chiedendo seccato e infastidito:

“Mi scusi dottoressa, ma sono importanti queste cose di quasi quarant’anni anni fa e più? Sono fatti ed episodi lontanissimi che non mi ricordo quasi più… Sinceramente non vedo cosa c’entrano con il fatto che voglia sapere perché verso mia moglie io mi sono comportato in modo libertino, da diventare cuckold. Cosa c’entrano con mia madre o mia sorella di quasi cinquant’anni fa…?”

“C’entrano… e tantissimo! …” Rispose pronta: “Sono vitali per la valutazione perché tutte le manifestazioni che esplichiamo da adulti hanno origine nell’infanzia o nell’adolescenza e in genere in famiglia. Quindi se glielo chiedo non è per mia curiosità morbosa, ma perché fa parte dell’analisi, della terapia…” Precisando: “Come le ho detto, lei se vuole può non rispondere, ma in questo modo falsa tutto. Meglio essere sinceri che non rispondere. Io non sono qui per giudicare, ma per analizzare.” Affermò visibilmente seccata.

Vedendo il suo tono mi giustificai:

“Mi scusi sa se faccio certe domande dottoressa, ma non conosco la materia della psicologia e parlare di certe cose mi imbarazza, mi viene difficile collegare episodi che sono avvenuti tra loro a distanza di 30 anni, i primi di quando ero un ragazzino e li ho compiuti nell’adolescenza in famiglia, i secondi con mia moglie ed ero un adulto, razionale e consenziente.

“C’entra!” Ripeté lei sicura di sé… “Si lasci guidare, si fidi, magari le chiederò e farò ricordare anche fatti spiacevoli per lei, ma faranno parte della terapia… mi creda.”

“Va bè!” Borbottai rassegnandomi e cercando di rilassarmi.

“Riprendiamo…” Mi sollecitò passando a domande più personali, come se la discussione per quella mia interruzione gliene avesse dato lo spunto.

“Magari senza volerlo le ha mai viste nude? È successo? Ha detto che a volte le è capitato di vedere sua mamma o sua sorella in mutandine e reggiseno. Io le chiedo se le è mai capitato di vederle nude?” Domandò seria e distaccata.

Quella domanda mi stupì e infastidì, ci fu esitazione da parte mia, tentennai mentre lei attendeva la risposta, ma subito dopo risposi dicendo la verità:

“Sì! Qualche volta è accaduto, ma senza volerlo…” Precisai subito a giustificarmi: “… è capitato in bagno, o in camera al mattino come le ho detto, quando ci alzavamo oppure alla sera prima di andare a dormire, quando si spogliavano per andare a letto, soprattutto d’estate, più che altro mia sorella e mamma, nonna non tanto.”

“Com’è che capitava di vederle? Domandò.

“Come? In che senso dottoressa… come mi capitava?” Risposi.

“Sì, lei ha detto che le capitava di vederle mentre si spogliavano, ma lo facevano davanti a lei, con lei in camera?”

“Certo che no!” Ribattei subito infastidito.

“Allora si spogliavano lasciando la porta aperta?”

“No! Nemmeno!” Risposi, non capendo in quel momento che le sue erano domande trabocchetto.

“E allora come faceva a vederle che si spogliavano o vestivano?” Chiese decisa.

Restai in silenzio, non mi piaceva quella impostazione di fare domande, mi dava la sensazione di un interrogatorio. Comunque da donna intelligente e professionale aveva capito che non era vero quel «capitava» che le vedessi per caso. Esitai, mi sentii in imbarazzo e non risposi e lei vedendo la mia esitazione e imbarazzo andò avanti.

“Dunque diceva che capitava… ma come capitava? Andava a spiarle in camera loro?”

“No… anzi a volte sì, ma accadeva casualmente e involontariamente…”

“Come accadeva involontariamente, mi spieghi, mi aiuti a capire…”

“Spesso succedeva che mamma e mia sorella si chiudessero a chiave nella camera da letto di mamma a parlare, oppure quando mamma acquistava qualcosa di intimo nuovo al mercato o in qualche negozio per lei e anche per mia sorella, insieme in camera sua li provavano…”

“Abiti?” Disse la dottoressa.

“Sì… ma anche reggiseni, mutandine moderni, li indossavano per vedere come le stavano e se andavano bene le misure, se no se li facevano sostituire. E se era d’estate quando si spogliavano, si mettevano anche nude. A mamma piaceva rapportarsi con mia sorella, spiegarle, tirava tutte le sue cose fuori dai cassetti e le mostrava a mia sorella.”

“E lei le spiava?”

“Sì diciamo di sì, ma più che altro era per curiosità, per sapere e sentire cosa dicevano. A volte mamma parlava con lei di argomenti da donna, le spiegava il sesso… le insegnava come mettere il reggiseno per non averne fastidio e come fare a non sporcare le mutandine quando le venivano le mestruazioni., tutte queste cose…”

“E a lei non spiegava il sesso?” Mi domandò.

“No assolutamente…” Risposi: “…io ero maschio e queste cose dovevo impararle dai maschi. E mio padre non c’era quindi ne venivo a conoscenza dai miei amici. E così quando le vedevo andare in camera assieme o con la biancheria intima nuova in mano e chiudersi a chiave, io andavo dal lucernaio e le spiavo.

“Lucernaio?” Domandò stupita.

“Sì…” replicai: “la nostra era una casa vecchia nel centro storico, con le stanze grandi e sfalsate, con pavimento in altezze diverse e con scalino di rialzo per andare in camera, con soffitti a volta e siccome era nel centro storico, chiusa tra altre case e tetti vicini e aveva le finestre piccole, c’erano dei lucernai in ogni stanza per fare entrare maggiormente il chiarore del giorno, e io andavo sopra sul tetto e le guardavo dal lucernaio.”

“Le spiava vorrà dire…”

“Sì! Le guardavo…” Ripetei.

“Quindi le spiava da lì?” Ribatté lei.

“Sì ma il più delle volte andavo quando erano insieme, per curiosità, volevo sapere e sentire cosa diceva mamma a lei che non poteva dire anche a me… e come le ho detto, se era d’estate che provavano anche gli indumenti e intimo, spesso si spogliavano completamente e capitava nascosto dal finestrino, di vederle nude provarsi l’intimo o gli abiti, ma non era l’intenzione per cui andavo lì.”

Sentii che si mise a scrivere qualcosa nel bloc notes. Poi riprese:

“E cosa faceva quando le sentiva e vedeva assieme?”

“Niente, all’inizio facevo i paragoni.”

“Che paragoni…?” Domandò lei stupita.

Sorrisi… “Paragoni tra di loro, tra mamma e mia sorella Susi, tra i loro corpi, quello di mia madre maturo e quello di ma sorella sbocciato da poco. Guardavo i sederi, le mammelle e davanti… Mamma aveva il seno grande in confronto a mia sorella, molto più bello, Susi sì ce l’aveva bello, ma piccolo, lo stesso il sedere, quello di mamma era grosso e formato, alto, quello di Susi piccolo, un culetto da ragazza e poi davanti, i ciuffi di peli. Quelli di mamma erano bruni e tanti, invece quelli di mia sorella erano neri come la pece e folti come i cespugli.”

“E comunque le spiava…”

“Sì…” Pronunciai chiudendo gli occhi e ritornando con il ricordo a quel periodo con le loro immagini giovanili nella mente. E lei sempre scrivendo continuò:

“E capitandole di osservarle nude in aspetti privati, le è mai successo di vederle in atteggiamenti intimi solitari?”

“Toccarsi?” Domandai capendo.

“Sì!” Rispose.

“Assieme mai, mamma era seria su queste cose.”

“E separatamente?”

Esitai.” Mia sorella sì, l’ho vista qualche volta toccarsi, masturbarsi solo esternamente con le dita, sfregandosela solo e dandosi piacere così, sapendo di essere vergine.”

“E sua madre?... L’ha ma vista?”

“Non ho mai saputo o scoperto se mamma in quel periodo si masturbasse da sola per sfogarsi, un po'come vedevo fare a mia sorella spiandola, credo di no, lei apparentemente era molto seria. Quella di mamma, di nascosto da lei, fu il primo sesso femminile reale che vidi in vita mia e restai estasiato ed eccitato da quella visione, il secondo fu quello di mia sorella. In quegli anni eravamo entrati tutti e due nella adolescenza e naturalmente quando c’era mio padre, mia sorella non dormiva con mamma nel lettone matrimoniale, ma in camera sua. E quindi io avevo più possibilità di spiare, e quello di  mia sorella era coperto da una peluria nera che cresceva sempre più. Così come anch’io, il mio sesso, la mia piccola asta si era contornata di una peluria nera che aumentava nei mesi e quindi significava che sessualmente stavamo diventando adulti e pronti per copulare e riprodurre.”

“E provava interesse, attrazione a osservarle? Cosa pensava a parte i paragoni che faceva quando le vedeva nude?” Chiese.

Esitai ancora, non sapevo cosa rispondere: “Cosa pensavo? ...” Replicai: “… Beh, non so!... Cosa pensavo?” Mi domandai: “… Le guardavo! Cercavo di vedere e scoprire più sessualità che potevo di loro, di scorgerne i particolari, ero un ragazzino e scoprivo il sesso, in quegli anni, non c’era internet, gli smartphone con i video dove adesso si vede tutto, allora le scoperte si facevano in famiglia e quindi…” Esitai ancora al suo silenzio dicendo: “So che non era giusto, non era un fare corretto, ma penso lo abbiano fatto anche altri ragazzi…”

“Certo!” Rispose sicura la dottoressa prendendo appunti, domandando:

“Ma erano tutti episodi casuali e involontari come ha detto lei pocanzi oppure capitava qualche volta che era lei che ricercava la casualità per vederle?” Richiese ancora ritornando sulla domanda di prima.

E ancora ci fu silenzio da parte mia. Non risposi.

“Guardi che non c’è nulla di male, come ha detto lei capita a tanti ragazzini e io le ripeto non sono qui per giudicare, ma per valutare e aiutarla e vedendo la mia esitazione affermò:

“Le riformulerò meglio la domanda. Succedeva a volte che la sua curiosità di conoscere e vedere l’anatomia del corpo femminile, la spingesse a osservare di sua iniziativa il corpo nudo di sua madre e/o sua sorella oltre la casualità, ma con intenzione di vederle nude?”

Ci fu ancora una breve pausa dove ripetei: “Di mia iniziativa?”

“Sì, diciamo di suo interesse personale e non casuale…” Precisò.

A quel punto era inutile girarci attorno, aveva capito benissimo che le spiavo anche di mia iniziativa e risposi:

“Sì! Qualche volta è successo...”

“Quindi… a volte era lei che cercava l’occasione, diciamo la casualità per vederle nude.”

“Sì!” Risposi con esitazione ma sinceramente.

Senza che me ne rendessi conto mi aveva portato a farmi dire quello che voleva lei, la verità. E continuò:

“Aveva una preferenza a osservarle oppure una valeva l’altra, andava bene sia sua sorella che sua madre?” Fece una pausa e riprese dicendo: “Mi spiego meglio in parole semplici, non nella casualità di chi le capitava di vedere, ma nella sua ricerca e scelta intenzionale dell’occasione diciamo che creava lei, chi preferiva cercare e osservare nuda, sua madre o sua sorella?”

Restai ancora in un lungo silenzio… poi non senza imbarazzo pronunciai:

“Preferivo osservare mia madre se potevo. Non che mia sorella non mi piacesse, tutt'altro…”

Sentii la penna scrivere qualcosa sul bloc notes e lei chiedermi:

“Perché si sentiva attratto di più dall’osservazione di sua madre nuda che di sua sorella, da preferirla nella sua curiosità e interesse … diciamo così sessuale?”

“Sinceramente non so!... Mia sorella era giovane, era una bella ragazza, aveva solo un anno e qualche mese più di me, ne aveva 16 o giù di lì, aveva un corpo giovane perfetto, che si stava formando. Ricordo i suoi peli pubici nerissimi, triangolari, il sedere e il seno appena sbocciato, sodo e alto, era come se avesse il seno e il sedere più piccolo di quello di mamma, in miniatura in confronto a lei. Mamma invece aveva 40 anni o poco più, era una donna matura, formata, il seno grande con i capezzoli rosa, anche il sedere era pieno e arrotondato e mi affascinava di più, era più bella e attraente di mia sorella per me. Lei era bionda naturale per essere meridionale, con gli occhi chiari, si diceva siciliana discendente dai Normanni, in quel periodo portava i capelli un po' mossi sulle spalle come usavano le signore quarantenni di allora, era di moda. Mia sorella invece assomigliava a mio padre, era nera di capelli, mossi e lunghi sulla schiena, con gli occhi scuri e sembrava subito a prima vista una terruncella… di lei si diceva discendente dagli arabi, dai saraceni...” Dissi ridendo. Era così il modo di dire popolare sul colore dei capelli, della pelle e gli occhi.

“Lei invece a chi assomigliava?” Mi domandò.

“Io?... A mia madre… ero castano sul biondo di capelli e con gli occhi chiari anch’io e a detta di tutti, le somigliavo moltissimo anche nei lineamenti del viso. E poi lei comandava, non so come dire era più attraente, mi attraeva di più.”

“Vuol dire che ne subiva l’autorità e il fascino dell’essere gestrice di tutto e quindi appariva più erotica?”

“Sì esatto, mamma era più erotica di mia sorella, ma anche di molte altre donne che conoscevamo o c’erano in giro, per questo mio padre era geloso. Mamma era come un simbolo per me, ed era una conquista spiarla, un trofeo per me stesso se vogliamo… allora la sentivo così, era più proibito spiare lei, che non mia sorella. Con mia madre era rischioso, se mi scopriva guai, mi avrebbe picchiato ma mi piaceva rischiare, mentre con mia sorella no, lei mi importava meno, non mi incuteva timore, anche se quando la vedevo nuda e se ne accorgeva gridava e diceva che glielo avrebbe detto a mamma, ma poi non lo faceva mai, facevamo pace.”

“Quindi capitava che per un motivo o per un altro le vedeva in désabillé o nude!?”

Sì, ma se eravamo in casa, e se mamma senza volerlo o pensarci era in déshabillé, come si accorgeva che la osservavo si copriva e mi diceva subito di voltarmi, di non guardare o di uscire dalla stanza o di non entrare.”

“Ricorda qualche episodio che sua madre gli disse di non guardarla, di girarsi dall’altra parte?”

“Beh, ce ne sono stati alcuni…”

“Qualcuno in particolare che l’ha colpita, me lo dica…”

“Ma episodi particolari che mi ricordi, sessuali, non so!" Feci una beve pausa ricordando, poi mormorai: “Sì ce n’è uno che mi ha colpito più degli altri.”

“Quale? Me lo vuole raccontare?”

“Sì. Niente di particolare, anche se è imbarazzante ricordare e dirlo.”

“Su… stiamo facendo una seduta di psicoanalisi.” Ribatté lei seria: “E non dei pettegolezzi…” E iniziai:

“Un giorno l’accompagnai da mio padre che era arrivato con la nave in un porto italiano, si fermavano poco, due giorni, il tempo di scaricare e poi ripartire. E lei decise di andarlo a trovare, per stare un po' con lui in intimità, era il suo uomo, suo marito ed erano ancora giovani e quarantenni.

Arrivammo presto quel giorno, la nave era ancora in rada e aspettammo in un bar del porto che attraccasse. Io avevo 14-15 anni, e vedevo che gli uomini del bar la osservavano e lei se ne accorse, mamma come dicevo era davvero una bella donna.

Restammo un po’ lì seduti, poi le scappò di fare la pipì, di andare in bagno e per paura che quegli uomini la seguissero o la vedessero si fece accompagnare da me, quando fummo nella toilette, dandomi la sua borsetta lasciò la porta socchiusa per paura di restare chiusa dentro, visto che aveva la serratura difettosa. E mi disse:

«Girati, non guardare. E stai attento che non arrivi nessuno.» Lo feci, ma con la coda dell’occhio la vidi tirarsi su la gonna abbassare un poco le mutandine, e piegandosi leggermente senza sedersi urinare quasi in piedi a gambe larghe e sentivo il rumore della pipì sulla tazza, il suono di un getto lungo che sembrava non finisse più. Ecco in quel momento mi sentii il suo protettore che provvedeva che nessuno la vedesse nella sua intimità e nel fare pipì, che quella visione fosse riservata solo a me… quel di vederla urinare a sua insaputa e questo mi gratificava.”

“Quindi l’ha vista anche urinare?” Domandò.

“Sì per caso, senza intenzione…” Ribattei per giustificarmi.

“Ma bastava che non si voltasse e non l’avrebbe vista Mimmo…” Rispose maliziosa, facendomi intendere che era stato un gesto cercato e voluto da me, osservarla in quella situazione. Comunque seguitò:

“Altri episodi particolari che l’hanno colpita e che ricorda?” Chiese, aggiungendo subito: “Mi spiego meglio, c’è stato qualcosa di sua madre che la colpita maggiormente di tutto?”

“Ma riguardo a noi due?” Domandai.

“Sì, rapporti personali, lei ha detto che gli è capitato di spiarla, c’è mai stato qualcosa di sessuale verso lei?”

“No assolutamente, non c’è mai stato nulla di sessuale direttamente.” Risposi.

“E che tipo era sua madre, sia come mamma che come donna?” Continuò:

“Come mamma meravigliosa, unica, amava la famiglia, i figli, il marito, mio padre…” Feci una pausa per ricordare e prosegui: “Come donna penso che fosse un po' scontenta della sua vita, un po' delusa… Penso anche che mia madre bevesse qualche bicchiere di vino a tavola per lenire la solitudine, le ansie e angosce che aveva, non si sentiva valorizzata come donna, ma solo come madre e moglie fedele.

Era una vedova bianca come si suole dire di queste donne con i mariti lontani per lunghi periodi, anche quasi un anno, per poi rivederlo solo per pochi mesi e di nuovo via… com’erano state mia nonna, mia zia e qualche cugina e cognata e varie conoscenti e paesane. Era un modo di essere, di vivere della mia famiglia e di molte altre famiglie marinare quello, accettato da loro fin da giovani come una tradizione, che doveva essere così. Le giovani donne dovevano sposarsi vergini e le mogli dovevano restare fedeli ed in astinenza finché il loro marito non tornava.

Oggi è inconcepibile, nessuno lo accetterebbe mai, ma allora le giovani mogli di marittimi e naviganti e per giovani si intende dall’età della pubertà fino alla menopausa, vivevano sotto controllo stretto dei parenti, così anche mia madre.”

“Come vivevate? Mi ha detto che non eravate soli in casa?”

“No, mia nonna con la scusa di aiutarla perché io e mia sorella eravamo piccoli venne ad abitare con noi, essendo mia madre sola in casa. In quel modo controllandola quando usciva e perché, con chi parlava e perché, in maniera da evitare cedimenti di debolezze sessuali, sbandate o infatuazioni con qualcuno che a volte capitavano.”

“Una forma di controllo famigliare dalle più anziane.” Disse.

“Sì, in più ricordo che quando uscivano, anche solo per fare la spesa o per una passeggiata, c’era sempre nonna con lei, oppure aspettava mia zia, sua sorella più grande di molti anni, anche lei sposata a un marittimo che navigava e con figli, che l’accompagnava sempre.

Usciva quasi sempre assieme con mia zia più grande di lei di dieci anni o con mia nonna, oppure si incontravano in tre o quattro paesane, anche di età diversa tra loro, tutte mogli di marittimi e facevano gruppo a chiacchierare, a passeggiare, in questo modo controllandosi a vicenda.

Mamma per uscire a fare la spesa aspettava l’arrivo di mia zia sotto il portone e scendeva quando dalla finestra la vedeva arrivare, o si dava appuntamento con lei lungo la via centrale; non andava mai da sola, anche per sua scelta. E questo era accettato da loro e da lei, era un fatto normale, l’usanza, era l’essere moglie di un marittimo, diventare a 20-22 anni sposandosi, se non ancora più giovane una vedova bianca che incontrava il marito ogni 7-8 mesi; e i primi anni ogni  volta farsi ingravidare e restare subito incinta una, due, tre volte di seguito sformandosi fisicamente. E apparentemente erano tutte consenzienti di quella vita di limitazioni e vincoli d’onore, prigioniere di sé stesse, delle loro culture, per loro doveva essere la normalità quella.”

“Già…!” Rispose la psicologa.

“Praticamente era sempre controllata da parenti o conoscenti, ma allora si usava così ed era accettato anche da loro stesse che lo ritenevano normale essere e vivere in quel modo. Sembra assurdo oggi dottoressa, ma era così…!” Precisai.

“Lo so! Ho avuto altri casi simili…” Mormorò.

“Quindi sua madre accettava quel modo di vivere?” Mi chiese.

“Sì, come detto, faceva parte del vivere normale per loro, come l’essere fedele e aspettare il marito che tornasse.

In quel periodo che le parlo io lei era sposata da 17 anni con tre figli e il rapporto sessuale e affettivo con il marito, cioè mio padre, era saltuario, direi raro… intenso all’inizio quando arrivava che sbarcava e tiepido, con scarse attenzioni e manifestazioni d’amore e di attenzioni in seguito. Ma tutte quelle affettuosità e premure iniziali, poi si perdevano nella quotidianità della vita di tutti i giorni con litigi e discussioni, con mamma che piangeva da desiderare in quei momenti che se ne andasse via, che si imbarcasse, salvo poi quando accadeva davvero che lo mandavano a chiamare, piangere perché doveva andarsene e volere che restasse.”

“Una vita coniugale da solitaria quella di sua madre, ma c’è stato in quell’idillio qualcosa che la colpì in modo particolare?”

“Ma di sessuale o qualcosa di normale?” Domandai.

“Anche qualcosa relativa alla loro sessualità se vuole.”

“A questo proposito c’è un episodio che mi turbò molto. Una sera d’estate che papà era arrivato da poco, nonna era con mio fratellino a casa della zia insieme a mia sorella e loro in casa da soli.

Essendoci papà ritornai a casa più tardi del solito, mi fermai di più al bar con gli amici e rientrando a casa li sentii in camera litigare, forte, come dicevo a volte succedeva e non dandogli peso, ho avvisato a voce alta che ero rientrato e sono andato subito a in camera mia per andarmene a dormire; sarà stata mezzanotte.

Mentre mi spogliavo si aprì la porta e entrò mia madre come una furia, con una camicetta da notte a baby dolly trasparente e nuda sotto, dicendo:

“Vieni! ...Vieni un po' qua tu, che oramai sei grande, sei un uomo…” E mi portò tirandomi per il braccio nella loro camera. C’era mio padre in piedi in mutandine stupito, e alla mia meraviglia mia madre disse: “Guarda!... Ti sembra giusto che io lo aspetto per quasi un anno intero, gli sono fedele e lui quando torna non mi tocca neppure?!” Aggiungendo subito: “Tuo padre è più di un anno che non mi tocca? Non una carezza non mi fa sentire donna… e ora che è qui, niente!”

Mio padre borbotto guardandomi: “Adesso è così, ho quasi cinquant’anni e non sempre riesco.” Si giustificò guardandomi.

“Cosa avvertiva lei in quel momento che era chiamato a fare da giudice e testimone da sua madre verso suo padre?” Mi domandò la dottoressa.

“Provai pena per tutti e due per quella situazione, per mio padre che si sentiva umiliato di non riuscire a fare sesso con mia madre che lo voleva e che io lo venissi a sapere, e per mia madre che probabilmente aveva voglia sessuale, desiderava essere penetrata e far sesso con lui e non poteva essere soddisfatta. Ci restai tanto male, mi sentii umiliato anch’io, tanto che me ne andai arrabbiato dicendo: “Ma cosa mi dite, cosa venite a chiamare me, sono cose che non interessano…” E me ne tornai demoralizzato per quella scena penosa in camera mia.

“Fu colpito da quel fatto?”

“Sì, anche perché non l'avevo mai vista in quel modo e non pensavo a mia madre così vogliosa di sesso… fu una sorpresa per me, una novità, una scoperta che mia madre fosse anche una donna sessuale. Era agitata e arrabbiata perché mio padre non ci riusciva…

Non avrei mai pensato e immaginato mia madre così attaccata al sesso alla sessualità… e mio padre che non riuscisse a penetrarla, ad avere un rapporto sessuale con lei, che facesse cilecca, considerandolo un maschio attivo… Certo mia madre aveva le sue ragioni, erano mesi e mesi che lo aspettava…”

“E lei cosa ha fatto?” E mentre òa dottoressa scriveva sul bloc notes  risposi: “Io avevo già i miei problemi adolescenziali, non avevo ancora mai fatto sesso con nessuna ragazza, avevo i miei complessi di non riuscirci anch’io e lei mi veniva a parlare di quelle cose su mio padre.”

“E come è finita?” Mi domandò.

“Il mattino dopo, tutto normale, come se non fosse successo nulla, gli fece il caffè sorridendo, si diedero  bacini e si riprese la vita di prima, non accennarono mai più a quell’episodio, forse l’aveva soddisfatta in altro modo non so, o forse poi c’era riuscito. Questo per dire che mamma era agitata anche per la sua vita sessuale.”

“Tipico delle donne frustrate che sono obbligate a una vita di rassegnazioni che non desiderano.”

“La sua sessualità…” Dissi io, esplicando un mio pensiero da adulto su quei fatti e modi di essere di mia madre: “…pensandoci anche dopo in età adulta … per lei sono sempre stati molto conformi ai suoi valori, quasi obbligatori a sancire la funzionalità del matrimonio, curare gli interessi famigliari, educare i figli… con poco tempo libero per sé stessa e quel poco che aveva, controllato da parenti, non rimanendo quasi mai sola.”

“Credo, da quello che mi dice…” Dichiarò la dottoressa: “… che l’intimità sessuale per quel tipo di donne lì, sia sempre stata poco soddisfacente, soprattutto per sua madre, direi repressiva, anche se manifestava amore e desiderio alternandoli a momenti di aggressività carnale e verbale.

Sua madre viveva una vita sdoppiata, con le pulsioni e desideri del corpo vivi, accesi, ma la mente algida del dovere coniugale, di essere la moglie di un marittimo, una vedova bianca, che le imponevano di rispettare le vostre regole e tradizioni famigliari, e che mai avrebbe non solo tradito, ma neanche guardato un uomo con occhi nuovi di desiderio e di passione.

E quando questo magari avveniva, com’era ed è naturale che sia per una donna etero, di desiderare in astinenza sessuale il fallo… l’organo sessuale maschile, indipendentemente dall'uomo che lo rappresentava, lo viveva con sensi di colpa, per il desiderio e il pensiero di una vita sessuale appagante che a lei per tradizione era negata.” Fece una pausa e proseguì:

“Sua madre rispettando le vostre tradizioni e regole, faceva violenza a sé stessa… come altre, molte donne nell’analoga situazione. Reprimeva i desideri e le gioie sessuali che fantasticava, per dare spazio al rimorso, all’afflizione, all’avvilimento e mortificazione della carne e della psiche. Viveva dal punto di vista sessuale, con una gran confusione interiore che l’attanagliava e tormentava.” Si fermò un momento riprendendo:

“L’essere fedele e rispettare quel codice d’onore non scritto, anche se sorrideva, per lei era come una punizione. Il pensiero di desiderare il fallo di un altro uomo, la tentazione che derivava da quel pensiero di averlo realmente e la resistenza fisica e mentale che opponeva per scacciare da lei quelle voglie, la rendevano frustrata, delusa, insoddisfatta.

Io non la giudico in alcun modo sua madre, cerco soltanto di spiegarle da un punto di vista psicologico,  in che modo la faceva vivere l’astinenza. Quello che per lei era un vincolo, un decoro una correttezza e lealtà verso la vita che conduceva e il marito, altro non era che una insoddisfazione dell’essere donna, come tutte le altre mogli che facevano parte delle vostre regole.” Si soffermò e riprese a dire:

“I legami duraturi, caratterizzati dalle assenze continue e fatiche quotidiane, spesso tendono a sopire il desiderio sessuale, altre volte a farlo avvertire maggiormente. L’erotismo necessita di attenzione, di nutrimento, di mistero e di «manutenzione», cioè la capacità della coppia di dedicare tempo e spazio mentale a sé stessa ed alla vita sotto le lenzuola...” E si mise a scrivere ancora sul bloc notes.

Per poi chiedermi bruscamente guardando sul volto la mia reazione:

“Ha mai avuto attrazione verso sua madre?”

Restai sorpreso da quella domanda: “Attrazione come?” Pronunciai.

“Sessuale… desiderio sessuale di sua madre.” Precisò. Subito.

“Ci fu una pausa abbastanza lunga, non so se la feci per prendere tempo o per non rispondere e poi d’istinto ripetei:

“Ma desiderata come?”

“Carnalmente?” Precisò la dottoressa sempre calma.

“Carnalmente?” Ripetei.

“Sì carnalmente, sessualmente, desiderio di fare sesso con lei al posto di suo padre?”

Restai ancora in silenzio e poi mormorai:

“Ma guardi dottoressa ci tengo a precisare e a informarla che tra me e mia madre non c’è mai stato niente di sessuale, assolutamente, anche se era una donna sola senza marito, non avremmo mai fatto un incesto né io né lei…”

“Si masturbava o le è capitato di farlo quando la spiava nuda?” Chiese prontamente.

Stava entrando nel mio intimo, nel mio sub inconscio, ero imbarazzato che pensasse quelle cose di me e non mi credesse. E per valorizzare quello che dicevo, ormai trascinato mio malgrado in quel discorso su mia madre, anche se non avrei voluto, decisi di continuare a parlare e precisai proseguendo di mia iniziativa per fugare ogni dubbio, e ammisi:

“Sì, la spiavo quando si lavava e si cambiava e, lo ammetto, qualche volta nel guardarla mi sono masturbato osservandola, ma assolutamente non avrei nemmeno provato a fare qualcosa con o verso di lei, a parte che non ne ero capace, ero un ragazzino, ma io la onoravo e non mi sarei mai permesso di mancarle di rispetto e farle una cosa simile.

Un conto, secondo me, era guardare, spiare la madre o la sorella nude e masturbarsi guardandole e un altro conto sarebbe stato il fare sesso o qualcosa di libidinoso con loro. Non c’è mai stato incesto tra noi, glielo assicuro, mai… mai… solo guardare… e io masturbarmi.” Precisai non senza agitazione.

La sentii scrivere ancora e distaccata e senza emozione dirmi:

“Mi dica quando e come è avvenuta la sua prima masturbazione? Il primo passo verso la sua sessualità?”

Sospirai e ricordai:

“Fu un giorno, sentivo sempre a scuola i compagni che parlavano di masturbarsi: «farsi seghe» dicevano loro, io non l’avevo mai fatto, ma sapevo come si praticavano. Quel pomeriggio d’estate mamma si era fatta il bagno e poi uscita da esso fasciata da un asciugamano di spugna era andata in camera. Io fingevo di studiare e non so perché piantai lì, uscii di casa e nella scala presi la scaletta che portava ai lucernai. Quel giorno mi sentivo inspiegabilmente attratto da quella situazione di spiare mamma e fu tramite lei che conobbi il primo piacere sessuale.”

“Cioè si spieghi meglio.”

“Niente di particolare a me a quell’età venivano le erezioni spesso, al mattino mi svegliavo con l’asta dura in erezione dentro lo slip, ma lo toccavo  esternamente senza eiaculare, cioè mi accarezzavo un po' e poi smettevo.

Quel giorno mentre la finestrella a lucernaio sul soffitto che dava nella sua camera era aperta, perchè essendo la finestra normale a muro che dava sulla strada piccola e quindi lasciava entrare poca luce naturale; la spiavo osservandola canticchiando asciugarsi e in seguito si sarebbe vestita e truccata. Come facevo di solito mentre la osservavo nuda, mi toccavo il pene, che andava subito in erezione, muovendo la pelle del prepuzio su e giù a coprirmi e scoprirmi il glande in assoluto silenzio praticando la masturbazione a modo mio, accarezzandolo e scappucciandomelo come dicevano e facevano i miei compagni. E quasi senza rendermene conto a un certo punto per la prima volta inaspettatamente, sentii il pene irrigidirsi di più del solito e arrivare ad esso un forte calore, nello stesso  tempo i testicoli contrarsi violentemente e diventare duri come il ferro. Avvertii un piacere enorme e qualcosa scorrere dentro fino a uscire violentemente dal meato uretrale, con fiotti e filamenti lattici e cadere sul pavimento del terrazzino. Per la prima volta in vita mia avevo emesso lo sperma, avevo provato il piacere e il godimento dell’orgasmo e dell’eiaculazione. Ero incredulo, quasi spaventato, ma felice allo stesso tempo di vedere il mio sperma a terra e la mia asticella dura ancora in mano. Oramai ero uomo...”

“E questo è accaduto mentre spiava sua madre nuda?” Domandò la dottoressa prendendo appunti.

“Sì!” Risposi continuando: “…mi sentivo un uomo anche sessualmente, anche se la causa di quell’essere diventato adulto, di aver provato per la prima volta l’orgasmo era lo spiare mia madre. Come molti altri ragazzi della mia età avevo scoperto il piacere del sesso e ora sapevo come masturbarmi. Per questo le spiavo tutte e due mia madre e mia sorella, si può dire che ero un guardone in quegli anni…” Affermai precisando: “In quel periodo che avevo scoperto il piacere sessuale mi masturbavo molto, mi facevo tante di quelle seghe come le chiamavamo noi ragazzini allora…” Pronunciai sorridendo a occhi chiusi. “… che arrivavo a praticarne anche due e  a volte tre al giorno, pensando, spiando mamma o mia sorella o leggendo fumetti e riviste pornografiche che mi passavano i compagni…

“Certo! Certo!” Sorrise la psicologa e con una pausa portò la mano sugli occhiali mettendoseli a posto, e muovendo i suoi occhi sotto le lenti di vetro, esclamò:

“Le riformulo la domanda di prima, ma se vuole non risponda. Le faccio un’ipotesi!”

“Se sua madre una sera che foste stati soli, l’avesse invitata a dormire con lei, nel suo letto, al posto di suo padre che non c’era o di sua sorella, ci sarebbe andato?”

Restai in silenzio e poi esclamai: “Sì! Credo di sì! …Sì... ci sarei andato… certo!” Risposi.

“Quindi se glielo avesse chiesto o fatto capire lei, ci sarebbe andato pur sapendo che sarebbe potuto accadere qualcosa tra di voi?”

“Qualcosa come?”

“Poteva accadere di fare sesso tra di voi?”

“Ci fu ancora un lungo silenzio, maggiore degli altri e visto il protrarsi del mio imbarazzo la dottoressa rispose:

“Va bene. Non risponda se vuole”

“No!... Voglio rispondere…” Pronunciai deciso, più per rivalsa con me stesso che per replicare a lei: “… anche se sono cose che mi imbarazzano e di cui mi vergogno ad ammetterle… Sì… lo avrei fatto allora! Ma ero un ragazzino...”

“Quindi ... non è mai accaduto non perché lei non abbia voluto, ma perché sua madre non le ha creato le condizioni per farlo, perché avvenisse? Ma se ipoteticamente si fossero creati i presupposti lei ci avrebbe fatto sesso con sua madre?” Ripeté seria la dottoressa.

Esitai: “Probabilmente sì, ma mai di mia iniziativa!” Precisai inquieto.

“Certo!” rispose la dottoressa sicura di sé, tranquillizzandomi con quei certo.

“Quindi tornando al senso della domanda, lei avvertiva verso sua madre anche un desiderio carnale inconscio, di fare sesso con lei?” Aggiunse.

Esitai ancora. Ma poi risposi: “Forse sì!... Sì! Ma non lo abbiamo mai fatto!” Precisai nuovamente.

“Sicuro!” Rispose lei per tranquillizzarmi ancora vedendomi agitato a parlare di quell’argomento. Ma io per chiarire bene e togliere ogni dubbio rimarcai:

“Glielo assicuro dottoressa, con mia madre non è mai successo niente di sessuale se non qualche osservazione, spiata e masturbazione da ragazzino, non c’è mai stato incesto tra noi.”

A un certo punto la sua voce calma e scandita domandò:

Lei vedeva sua madre come qualcosa di perfetto, pulito, giusto e regolare, c’è stato qualcosa in quegli anni che le ha fatto cambiare idea su di lei?”

Feci una lunga pausa, poi dopo averci pensato interiormente a occhi chiusi mormorai:

“Sì c’è stato un episodio che mi è dispiaciuto molto, che ne porto il rimorso ancora oggi e e ci ho pensato a lungo negli anni”

“Riguarda il sesso?” Domandò.

“Sì!” Risposi esitando e recuperando mentalmente nei meandri del ricordo. “Quello che mi rode ancora dentro, nei suoi confronti, è essere stato io la causa che lo facesse con un altro…”

“Che sua madre facesse sesso con un altro uomo che non era suo padre?” Mi interruppe.

“Sì, per causa mia l’ho portata a tradirlo, sono stato uno stupido, un ragazzino scemo, ma di questo non ne voglio parlare…” Affermai.

“Me lo vuole raccontare?” Domandò invece lei.

“No… non è niente di interessante…”

“Lei me lo racconti!” Disse abbozzando un sorriso... “Poi vedremo assieme se è interessante o meno e utile all’analisi. “Ma al mio ulteriore diniego mi domandò:

“Perché non ne vuole parlare?”

“Perché è una cosa privata, intima, di cui mi vergogno molto e mi sento colpevole… Non ne voglio parlare.” Ripetei deciso.

E sentendo il mio tono di voce risoluto mi guardò dicendo: “Va bene Mimmo!” E, cambiando soggetto, domandò:

“E verso sua sorella provava le stesse attrazioni ed emozioni che provava con sua madre? Di fare sesso?”

“ Ma in quel periodo e a quella età le provavo con tutte e due, anche con lei, anche se come donna preferivo mia madre, con mia sorella Susi… era diverso si, mi interessava sessualmente, era bella, piaceva ai miei compagni che mi chiedevano di lei per uscirci insieme. Mi piaceva vederla nuda e se capitava la spiavo e mi masturbavo osservando anche lei, ma non era come quando lo facevo con mia madre, con lei non provavo lo stesso piacere. Non so… forse se me l’avesse chiesto o non ci fosse stata mia madre e mia nonna in mezzo a controllarci con lei avrei provato…e forse con lei sarei riuscito, sarebbe accaduto, in quel periodo visto che piaceva tanto ai miei amici e qualcuno mi chiedeva anche se la vedevo nuda, avrei provato ad accoppiarmi con lei... Con lei sarebbe stato più facile, non avevo tutte le remore e paure che avevo con mia madre, ma poi ci sarebbe stato un problema, lei era vergine e tale doveva restare per il suo futuro marito.”

“Però preferiva sua madre…” Ripeté la dottoressa.

“Sì, con mamma era diverso, tutta un’altra cosa, lei era il punto di riferimento, l’apice di tutto. Io dico che avrei potuto praticare rapporti sessuali con loro, ma c’è da tenere presente che anch’io ero vergine in quel periodo e non avevo mai fatto sesso e mai lo avevo visto fare.

Sapevo come si praticava perché leggevo i fumetti erotici e guardavo le foto sulle riviste porno, ma non lo avevo mai fatto e credo che da solo di mia iniziativa, non ne sarei mai stato capace; lo stesso mia sorella, era vergine anche lei e non era ancora fidanzata con nessuno, c'era solo un torinese che veniva in vacanza che le piaceva. Mamma la seguiva e la curava che non restasse sola con i ragazzi… sia cugini che amici e anche con me, per questo dormivamo in camere separate. Si sarebbe dovuta maritare, era quasi in età da marito, come si diceva una volta e secondo la nostra mentalità e usanza di quei tempi doveva arrivare vergine al matrimonio. Mamma per mentalità ci teneva alla purezza fino al matrimonio, come era stato per lei.”

“Ha mai annusato o ha avuto desiderio di farlo, di annusare la biancheria intima di sua madre o sua sorella?”

Quella domanda mi spiazzò, mi imbarazzava più che dirle che la spiavo.

“Annusato?” Ripetei.

“Si ha volte capita che chi ha un forte desiderio sessuale per una persona si appropri dei suoi oggetti e indumenti intimi  appartenenti a loro e le usi come feticci, li annusa, li odora.”

“Quella domanda mi imbarazzava enormemente perché come un mio compagno di scuola lo avevo fatto realmente, avevo annusato le loro mutandine usate, di mamma e Susi e sperando di deviare il discorso risposi:

“O.…non frugavo nei loro cassetti…”

“Non nei cassetti…” Precisò la dottoressa:” … dico in bagno, biancheria intima già usata, dismessa...”

Restai in silenzio e lei pronunciò:” Se non vuole non risponda…”

“L'ho soltanto guardata…” Pronunciai a bassa voce.

“Guardata come?... Dov’era?” Domandò.

“Era nella cesta della biancheria sporca… in bagno.”

“La presa in mano, la toccata?”

“Si…” Risposi.

“E perché lo ha fatto, cosa provava?”

“L’ho fatto in modo istintivo per curiosità…”

“Anche per eccitazione?” Pronunciò.

A quel punto risposi la verità, un: “Si...” Imbarazzato.

Ma lei  non si  scompose e come se fosse una cosa normale continuò: “Immagino che preferisse toccare quelle di sua madre? Giusto?” Domandò ancora.

“Si!” Ribattei.

Fece un sospiro dicendo:” Va bene, questa spiegazione basta…”

 

All’improvviso tornò sull’argomento precedente:

“Diceva prima di sua madre che è successo qualcosa per causa sua che l’ha turbato molto? Quasi sconvolto” Ritornando sulla confidenza che le avevo fatto, che per causa mia, mia madre aveva fatto sesso con un altro uomo…

Ma capii subito dove voleva arrivare: “Sì, ma non voglio parlarne dottoressa…” Ripetei deciso. Ma lei proseguì scrivendo qualcosa sul bloc notes:

“Quindi ha tenuto quell’episodio tutto per lei e non ne ha parlato con nessuno?”

“No mai con nessuno…” Risposi: “D’altronde non potevo farlo… e con chi ne avrei potuto parlare?” Dissi.

“Comunque le farebbe bene parlarne, per completezza analitica, ma soprattutto per liberarsi lei da quel fatto che la opprime e che, si vede, vive ancora adesso come una colpa che magari non è… Io potrei aiutarla, analizzarla anche per quello, su quell’episodio, che sono certa ha prodotto conseguenze in lei che l’hanno portato a modificare la sua sessualità ed è correlato con quello che ha vissuto dopo.”

“Sì ma non voglio parlarne dottoressa, non mi va, è stata una ragazzata di cui mi sono pentito amaramente mille volte, che mi spaventa ricordare e mi vergogno farlo…” Dissi. Ma lei sempre calma e continuò:

“Ma ci pensi tranquillamente questa settimana Mimmo, il prossimo giovedì potremmo parlare di quello che la opprime… non sia imbarazzato, oggi mi ha fatto altre confidenze su sua madre e anche quella se vorrà farmela non cambierà niente… io l’ascolterò, non giudico e potrei aiutarla.” Affermò.

“Ma non so…” Dissi esitante: “… e poi sarebbe lunga da raccontare…”

“Non importa! Se non basta una seduta la allungheremo o ne faremo due, lei si libererà dei suoi fantasmi… non ci corre dietro nessuno.” Pronunciò: “Ci pensi in questi giorni… ci pensi…” Ripeté, aggiungendo: “È anche mio interesse professionale venire a conoscenza e analizzare certi aspetti psicologici che non capitano tutti i giorni di seguire, ma si leggono solo sui libri di testo.”

Esitai: “Va bene, vedremo la prossima volta se mi sentirò… ma sarà difficile.” Risposi.

E lei alzandosi dalla poltroncina esclamò:

“Bene questa seduta è terminata, la prossima se vorrà parleremo di quello che mi ha accennato.”

Mi alzai da quel lettino a esse e mormorai: “Non so se ci riuscirò…”

“Io dico di sì! Che si sentirà di parlarne e liberarsi.” Replicò sicura di sé: “Ci provi a farlo e vedrà che dopo starà meglio.”

“Vedremo!” Risposi ancora.

Mi sorridendo mi accompagnò all’uscio, ci salutammo dandoci appuntamento al giovedì successivo e uscii.

 

Uscii con un senso di amarezza per quei ricordi che mi portavano indietro di quasi quaranta/cinquant’anni prima. Ripensavo tra me quello che era venuto fuori nei ricordi su quell’episodio e a quello che non le avevo detto, In fondo con lei non mi scandalizzavo a parlarle… forse perché donna… mi ci trovavo bene.

Ma nello stesso tempo mi sentivo anche finalmente libero di parlarne, di analizzarli assieme a lei, e forse era un’opportunità visto che lo avevo fatto tante volte da solo a modo mio, senza successo, anche se non riuscivo a vedere il nesso tra mia madre, la mia famiglia e il fatto che fossi diventato un cuckold con mia moglie.

 

Durante la settimana ci pensai e ripensai se dirglielo o no di quel mio segreto che portavo dentro me. Lei era molto brava, professionale, in quelle due sedute mi aveva messo a mio agio, ma ora si trattava di parlare di qualcosa che nulla aveva a che fare con il motivo per cui ero andato lì.

Mia moglie ignara non era a conoscenza che ero in analisi e parlavo di me, di lei e di noi… della nostra sessualità e dei rapporti sessuali che aveva avuto con altri uomini con me consenziente, con una psicologa; e che comunque lei considerava un’estranea a raccontarle i fatti nostri.

In quei giorni di ripensamenti alla fine decisi di aprirmi e raccontarle anche l’episodio che aveva assillato tanto la mia adolescenza, giovinezza e età adulta.

 

 

 

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